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sto viaggio la libertà dell'arbitrio e la virtude: ma cristianamente parlando, ove non basta la virtù morale, nè la morale felicità, ma bisogna teologizzare, era bene salire al Paradiso. Della felicità morale parla Dante, e vuol che ella si acquisti nel Paradiso terrestro nel canto 30. del Purgatorio, ove ironicamente dice a Dante:

Come degnasti di accedere al monte?

Non sapei tu che qui è l'uom felice?

Nè forse a salire al Paradiso bastava la libertà dell'arbitrio di Dante, se non come materia ben disposta e però dice:

Puro e disposto a salire alle stelle.

ma bisogna come cagione efficiente lo aiuto, non pur la compagnia di Beatrice. Però dice nel primo del Paradiso:

Beatrice tutta nelle eterne rote

Fissa con gli occhi stavą, ed io in lei

Le luci fissi di là su rimote.

e dichiarando questo suo atto nel canto 17. del Paradiso dice:

del cui bel cacume

Gli occhi della mia donna mi levaro.

La ragione, perchè il poema debba imitare una sola azione, detta da Averroe è assai bona: ma migliore è quella di Aristotile nella Poetica, e più appropria

ta alla poesia. Ma a parlar di ciò non si parta chi errar non vuole, da questa, che di una scienzia conviene essere un subietto, al quale ogni cosa nella scienzia considerata abbia attribuzione, e così è della istoria e d'ogni arte. Però altro non ne dirò, se non che'l poema di Dante ha un solo subietto e una sola azione: cianci poi chi non lo 'ntende.

Per tutta questa particola prova il Senese non manco esser li difetti di Dante rispetto a Virgilio, che quelli di Virgilio rispetto a Omero: e parla da bestia. e tutto nasce non meno dal suo poco cervello, che dalla inconsiderazion sua; perchè a parlar di Dante non comincia nè onde nè come dovria.

Drammatica si può dir la favola di Dante, nella quale Dante parla ora come poeta, ed ora come persona da se introdotta. Di scena qui non accade parlare, perchè non è commedia: però è drammatica, come è la epopeja. Ma già ho detto questo esser poema non d'arme o d'amore, ma di virtù, la quale è in ogni grado d' uomini, non pur ne' principi.

Il Senese a carte 64. risponde a se stesso, quando dice questo poema non essere epico: ma non a proposito; perchè vuol mostrare che'l poema di Dante non sia commedia, il che dico anche io; però vaneggia.

Continua pur la bestia allegando il Giraldi a provar quanto al verso, che tal poema non sia commedia, per la forma del verso, che non è sciolto da rima: e lauda il Trissino. Dì tu, che'l verso senza rima è rifugio delli ignoranti delle lingue e delle me

tafore, le quali mancando la rima non si usano; e chi le usa è forza che sia molto dotto, come dice Aristotile. e la rima fa imparar la ortografia: e tanto è il rispetto della rima, che per lei è licito al poeta far lungo Antioco, Elena, Arabi, inope, Etiope. Guarda chi allega la bestia, il Tasso, il Giraldi. Dell'Ariosto altra volta si parlarà, e si è parlato. Ma la rima è in tutti i versi delle lingue, che hanno i nomi indeclinabili, ove non casca numero di sillaba lunga e breve.

Ma di quel terzetto basta per risposta quel che ne dice il Senese carte 34. Del resto della particola non è da dirne altro.

Qual moralità si trovi nel poema di Dante si è detto in principio, ove si parla della cagione del fare tal poema; la quale è, in qual modo si possa convertire un peccatore abituato in far male, che è altro che dire, chi fa male ha male, e chi fa bene ha bene. Ma vi s'insegna le virtù morali e Cristiane, e che le morali non bastino alla salute, e la salute sia grazia, e non effetto nostro. e ciò si vede per la descrizione del limbo, del Paradiso terrestro, e del Paradiso.

Vegniamo a quel suo Maestro ser Brunetto, a' Senesi, a' Genovesi, a' Romagnuoli, a' Francesi, a' Tedeschi, a Virgilio istesso, li quali biasima, ora in detto, dicendone male, ora in fatto, mettendoli tra' dannati. Torno a dire che Dante parla di tutti costoro per la comune opinione, che se ne avea, come dice nel Paradiso, e per quello, che erano al tempo

suo, dal quale in qua sono molto mutate le nazioni: e con questo dovea il Senese difender la sua patria. Dante dice male e ben della sua; e non è cosa in terra, che ben e male non possa dire chi vuol parlarne; e del diavolo ancora si può dir bene e male. Che dica bene e male della sua patria, è cosa certa. Ma per una istessa ragione non dice male e bene; par che ciò non possa esser, benchè Virgilio ciò faccia, come dirò. Ma veggiamo se quando ne dice male, dica il vero; e perciò vedasi il canto . . . . del Paradiso e vedasi la Cronaca di Gio: Villani. Per le quali ragioni se Dante adesso risuscitasse, non ne potrebbe dir male, nè di Siena, nè di Bologna, nè di Pisa, nè di Pistoja, perchè ora non avrebbe ragione di dirne male, sendo mutati i costumi col reggimento. ed è bella cosa la ingenuità di Dante, che nel canto 27. dello 'nferno chiama i signori di Romagna tiranni, non ostante che il suo rifugio fussero i signori da Polenta; li quali nomina. Così dico che dir si debba di ser Brunetto, di Farinata, di Guido Guerra e d'altri tali. Fu cortese Dante verso Manfredi, considerando in lui quel che vuol costui che considerasse in Brunetto: e fu cortese verso Buon Conte da Montefeltro, e verso, non che altri, verso Provenzan Senese, e verso quelle due donne, e verso Carlo primo, e verso papa Bonifazio, quanto alla sua dignità, e quanto al dispregio, che ne fu fatto, come parla Ugo Ciapetta nel canto 20. del Purgatorio; e verso Ugo Ciapetta, e verso Fazio poeta, e non verso Virgilio, del quale potea dir per la sua

salute quel che poi disse nel Paradiso di Rifeo Trojano; il che non fa, per non esser riputato adulatore. Anzi Beatrice parlando seco nel canto secondo dello 'nferno, chiama lo stato di Virgilio miseria. E fu cortese verso il papa Genovese nel canto 19. del Purg. e verso Cunizza sorella di Azzolino, che fu e verso Raab P

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ancora

p. essa. Chiama il Soldanier traditore, benchè di Ghibellino divenisse Guelfo a favor del populo. Lauda Cesare, e dice che per voler di Dio si fe' imperator di Roma. non per tanto castiga Curione, che stimolasse Cesare a ciò fare nel canto 28. dello 'nferno; e loda Metello per buono nel canto 9. del Purg. benchè contradicesse a Cesare; e loda Catone nemico a Cesare, per aver voluto morir libero. Castiga in Inferno il padre di Guido Cavalcanti suo amico, e Fedrico secondo imperadore insieme: del qual fa dire nel canto 13. dello'nferno a Piero dalle Vigne:

Al Signor mio, che fu d'onor si degno.

Consideri, consideri il Senese queste cose, e consideri che Dante dice gran mal di se stesso, ma se ne pente: dice anche male del suo compagno Forese Donati, e lo castiga come goloso, e se stesso come superbo, invidioso, iracondo e lussurioso. Questa ingenuità oltre che è bella virtù, fa il suo poema verisimile. Ma che bisogna più dire per difender Dante, se il suo poema è cosa sognata? Parla costui di Brancadoria, che par vivo, ed è in inferno; nè sa che si dica: perchè in costui castiga Dante il ресса

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