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AL CHIARISSIMO SIGNORE

FILIPPO D. FANZAGO

A me pare felicissima, o Signore, la vostra idea di ripublicare, nell'occasione del Centenario di Dante, l'Apologia che del divino Poeta lasciò scritta l'illustre Padovano Sperone Speroni; come quella, che, mentre rinova la memoria d' un prezioso scritterello presso che dimenticato, è omaggio degnissimo alla gloria dell' Alighieri e raro argomento di lode alla nostra città, dell' altissimo Poeta quant' altra mai antica e sapiente ammiratrice.

Così potessi chiamar felice il pensiero che aveste allorchè, per le fisiche sofferenze, che vi tolgono per ora agli studii e con ciò v'impediscono d'illustrare colla sperimentata vostra valentia questo Discorso, vi siete rivolto a me, chiedendomi di fare per questa volta le vostre veci. Io nulladimeno non indugierò in considerazioni e proteste di quel genere, che i meno benevoli, molte volte a torto, sogliono chiamare raffinata vanità; e perciò eccomi a soddisfarvi come posso.

A tutti è noto, che la fama dell' Alighieri, come quella d'ogni altro grand'uomo, ebbe a subire ne' varii secoli varie vicende; avvegnachè i criterii estetici delle generazioni come quelli dell' individuo si uniformino sempre al grado di coltura, alle aspirazioni e predilezioni, in una parola alla generalità delle circostanze, che qualificano e contrassegnano la loro esistenza. Mutatosi pertanto col volgere dei tempi ne' suoi principali fondamenti lo stato della società, in grembo alla quale erano nati e cresciuti il Poeta ed il poema, alienatasi la Letteratura dal civile ministero, cui nel Trecento adempiva, rilegata dalle case e dalle officine del popolano nelle camere e nei ritrovi degli eruditi, vennero meno ai troppo dotti pronipoti i pratici interessi e criterii per comprendere e giudicar rettamente il civile Poeta. E però già nel Quattrocento fu necessario di scrivere in sua difesa contro quelli, che dicevano esser egli poeta da calzolai e da fornai. Se non che ben presto si fecero più frequenti ed ardite le censure; e la fama di valenti scrittori goduta da alcuni censori come Cecco d'Ascoli, il Bembo, il Della Casa ec. non tornò che a maggior danno del censurato.

È ben vero, che tosto sorsero d'altra parte i difensori; i quali se non sogliono mancare alle cause peggiori, sarebbe cosa singolare, avessero a fallire alle migliori. Di questo modo si diede principio ad una lunga controversia intorno ai meriti di Dante, condotta con grande apparato di dottrina e non minore animosità da ambe le fazioni. Durante tutto il

secolo decimo sesto, ma singolarmente negli ultimi tre decennii del medesimo moltiplicaronsi prodigiosamente gli scritti pro e contro il divino Poeta, nè l'ardore della contesa si acquietò prima che morte togliesse al combattimento i principali campioni.

Ma fino presso al settantesimo anno le accuse e le difese di Dante erano state trattate più o meno per incidenza in opere di maggior mole e di vario argomento; e primo fu un pseudonimo, di cui si contrasta il vero nome, a dedicare a questo soggetto uno scritto speciale, intitolandolo: Discorso di Ridolfo Castravilla ad un gentiluomo suo amico, nel quale si mostra l'imperfezione della Commedia di Dante. Prima ancora d'essere stampato questo Discorso era corso per le mani di molti; e prima e poi sollevò una serie di confutazioni, tra le quali la Bibliografia Dantesca di Colomb-de-Batines ne annovera sei tuttora manoscritte, dimenticando frattanto di registrare tra le stampate un primo Discorso del nostro Sperone rimasto inedito fino al 1760. Ma tra le risposte fatte di publica ragione quella, che più inaspri la contesa fu un Discorso di Jacopo Mazzoni in difesa della Commedia di Dante, venuto in luce a Cesena nel 1573. Poichè allora finalmente scese nell' arringo con Alcune Considerazioni (di 127 pagine in 4.) sopra il discorso del Mazzoni il più instancabile ed accanito oppugnatore di Dante, il Sanese Belisario Bulgarini; nè d'indi in poi depose più la penna finchè vita gli rimase. Questi avea riassunte le sue censure in varii capitoli, che gli piacque nominare Par

ticelle Poetiche; e ben tosto dovette levarsi a difenderle contro Orazio Capponi, Donato Roffia, Jacopo Mazzoni, Girolamo Zoppio ec. E furono queste Considerazioni del Bulgarini per l'appunto, contro le quali il nostro concittadino, già più che settuagenario, ma colla freschezza ed il vigore d'intelletto, che in 88 anni di vita giammai l'abbandonarono, dettava il suo secondo Discorso cioè la nostra Apologia. Qual meraviglia? In un secolo, in cui quasi tutto lo studio degli scrittori e quasi tutta l'ammirazione dei lettori si volgevano all' artificio ed alla lindura dello stile e della lingua, poco o nulla curando la sostanza; in cui per conseguenza prevaleva ormai potentissima l'autorità del Petrarca, Sperone avea fin dalla sua giovinezza tenuto in gran conto e fatto soggetto di lunghi e pazienti studii anche il divino Poeta; e quando pure a comprovare ciò non venissero le curiosissime e minutissime osservazioni inserite da lui nell' Apologia, basterebbero al certo le altre testimonianze, che ci rimangono nelle sue opere, le osservazioni, le citazioni, le lodi; e l'opinione ch' egli portava, che nell' Accademia degli Infiammati di Padova, di cui fu membro e principe, non si dovesse far leggere mai altro che Dante e Petrarca.

Nè sarebbe difficile dimostrare, chi avesse a ciò il tempo e l'opportunità, come quest' alta estimazione del Poeta non fosse nello Speroni opera del capriccio o del caso, effetto di bizzarro proposito, anziché di intrinseco convincimento; perchè egli, il filosofo, che avea impreso il primo a voler parlare e scrivere in

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