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le arti tutte andarono morendo, finchè, nel periodo di tempo che durarono le invasioni barbariche, non diedero più segno di verace vita.

Vuol però coscienziosità di storico che si faccia menzione della pittura del Sagrifizio di Abramo, si viva, che il pontefice Gregorio il Magno che la vide, dicesi ne fosse alle lagrime commosso. Teodolinda, inoltre regina de' Longobardi, fece dipingere nella basilica di Monza le gesta della sua gente; ma abbiamo ora ragione di credere che le fossero tutte una ben povera cosa.

Venne Carlo Magno, ed alcun movimento ebbero l'arti1; non tanto però che non ripiombassero, come cadaveri galvanizzati, nella loro primitiva morte nel secolo decimo, nel quale anzi furono barbare, quanto prima non lo erano state.

Non è vero pertanto che gli artefici greci giovassero all'arte italica: Costantinopoli penuriava di buoni artisti come noi, e quelli che di là ci erano arrivati al tempo della guerra mossa loro dagli Iconoclasti, settarj nemici delle immagini, non avevano fatto che mescolare la loro barbarie alla. nostra.

4 Una Madonna a Gravedona sul lago di Como, regnante Lodovico il Pio, pianse miracolosamente; altre pitture di poco posteriori sono rammentate nella chiesa della Cava, di Casuaria, di Subiaco, di Monte-Cassino. Alcune ancora sopravanzano, principalmente ne' mosaici, nelle miniature, ne' sigilli, nelle monete, e sono inamene figure, con occhi spiritati, mani assiderate, piedi in punta.-Cesare Cantù, Sioria degli Italiani. Vol. 4.o, pag. 100.

«

Immerse, dove più, dove meno, scrive Ferdinando Ranalli, erano la pittura e la scultura nella bizantina goffaggine. Della quale abbiamo un grande esempio nelle porte di bronzo della chiesa di S. Paolo in Roma, che l'anno 1070 dal pontefice Alessandro II furono fatte eseguire in Costantinopoli, dandone la commissione al cardinale Ildebrando, mandato in quella città a trattare un negozio coll' imperatore.

Nè si pensi che le sculture condotte in Italia, e da italiani artefici, mostrassino allora una maniera diversa e migliore. Ma più dalle pitture e da' musaici apparisce come le nostre arti erano generalmente di quella vecchiaja greca ammorbate; e non si può dubitare che gli artefici nostri non pigliassero i modi che avevano veduto tenere quei musaicisti, che erano stati chiamati per adornare il San Marco di Venezia, e il famoso monastero di Montecassino, al tempo dell'abbate Don Desiderio » 1.

Forse in Toscana camminavano le arti men peggio che altrove; ma come anche quivi si trovassero, lo espone il medesimo Ranalli. « Possiamo acquistare una più sicura ed ampia cognizione dell'arte toscana d'allora, dalle miniature de'codici che nelle nostre librerie, Laurenziana e Riccardiana, si conservano. Dalle quali, due ne fu

A Storia delle Belle Arti in Italia. Firenze 1845.

rono pubblicate e descritte in quell'opera che ha il titolo di Etruria Pittrice. Rappresentano, l'una

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un Giosuè che parla a' principi del popolo ebreo; e l'altra una Nostra Donna, seduta, e col Bambino sulle ginocchia, tutto vòlto a benedire l'abbate del monastero di Poggibonsi, che è davanti ginocchione, colle mani giunte. Certo nè proporzione, nè principio alcuno di rilievo e di prospettiva è nelle loro attitudini. Gli occhi son fissi, sparute le fisonomie, aguzze le mani, in punta i piè; e le figure ricinte di quel color nero che non d'altro ci fa sovvenire, che della brutta maniera de' vecchi greci, giustamente chiamati dal Vasari, piuttosto tintori che dipintori: checchè ne dica il Lami, e qualche altro, credendo di far onore all'Italia col volerle attribuire un' arte di cui dovrebbe vergognarsi come se non fosse più onorevole all' Italia l'aver ella (e ciò senza contrasto) risuscitato tutte le buone arti. »

In generale si può dire che figure lunghe, sigure volgari con occhi circolari e torvi, nessuna espressione nelle teste e nelle movenze, sciagurate composizioni con profusione d'oro e d'oltremare fossero caratteri certi, anteriormente al secolo dodicesimo, di quella maniera di pignere che si chiamò bizantina.

Nè progredi punto la pittura nel successivo secolo duodecimo, e ben di poche cose ci lascia

rono memoria gli scrittori di quel tempo, dove si eccettui della pittura all' encausto. Tutti rapiti dalle furie de' politici avvenimenti, che si andarono quel secolo in questa misera Italia succedendo, non degnarono d'attenzione, nè di menzione le arti, e molto meno poi la pittura, divenuta a que' giorni bassissimo mestiere. Noi Milanesi possiamo aver saggio del come la scultura si trattasse in Lombardia, nel bassorilievo dell'antico arco trionfale di Porta Romana, in cui gli uomini agguerriti, difilati a mo' di processione, fanno la figura degli aborti disposti in sale patologiche. Qualche altro bassorilievo abbiamo pur di que' tempi, ma non ha pregi maggiori che richiamino peculiari parole. Nè migliori son quelli del battistero di Parma, o quelli della facciata della cattedrale di Modena e d'altrove, che veduti seriamente, ci moverebbero a riso, se non fossero essi monumenti di storia.

Roma soltanto ebbe qualche pittura che, comunque sentisse della antica maniera bizantina, pure si meritò dagli istoriografi della pittura particolar nota; ricordandosi fra l'altre opere l'evangelario che la contessa Matilde mandò in dono a S. Benedetto di Mantoya. Tuttavia anche i dipinti a fresco della chiesa de' Barnabiti di Lodi, che si

1 Era già assai prima introdotto l'uso nelle chiese greche e latine delle vetriate a colori; ma solo nel XII secolo pare siasi incominciato a divisarvi storie sacre. Alcuni ordini religiosi si consacrarono a quest'arte con lode, fra cui i Gesuati e i Domenicani.

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ponno per avventura assegnare a questo secolo, e che sono stati dai valenti pittori Pietro Ferrabini e Giuseppe Knoller in questi ultimi anni riparati dai guasti del tempo e dalla umidità, meritano alcuna menzione '.

A tutto un tal secolo, per dirla in breve, l'arti, e la pittura più che tutte, rimasero grette e barbare, nè accennavano tampoco di voler gittare quel sudario di morte che le avvolgeva, e risorgere a quella vita che pel contrario tra poco le aspet

tava.

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4 Di tali restauri io dettai or fa qualch'anno un articolo per la Fama giornale artistico letterario di Milano.

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