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giusdicente e amico di Cimabue, e, da lui chia

mato, era accorso.

- Amico

disse il maestro- stendete l'atto,

pel quale questo fanciullo abbia a rimanere presso di me, infino a che non sia maestro egli pure nel pignere e sia buono architettore.

Aldighiero scrisse: la pergamena fu letta da lui a Cimabue e ser Bondone; lo che compiuto, il maestro, stendendo la destra verso il Crocifisso, e posandola quindi sul libro de Vangelj aperto dinanzi ad esso, solennemente pronunziò queste parole:

Giuro all'Onnipotente Iddio, che tutto quanto è a me noto dell'arte del pignere e dell' architettare sarà per me a Giotto, figliuolo di Messer Bondone da Vespignano, senza invidia od altro fine disconvenevole, ma secondo verità e coscienza, rivelato ed appreso.

Amen risposero ad una voce Aldighiero e Messer Bondone.

Giotto, che s'era inginocchiato, rispose alla sua volta Amen; quasi a raccogliere specialmente la promessa del maestro.

Cotale pratica, nell'assunzione degli allievi, fu osservata per lunga pezza dagli artefici italiani, e la religione del giuramento forse c'entrò per qualche cosa nello aversi dopo tanto eccellenti artisti, e ben yalse assai più che non tutte le Academie ed istituti di belle arti, le quali si vennero intro

ducendo di poi, che avendo nell'origine avuto a precipuo intendimento l'utile dell' arti e la più agevole cognizione di esse, a conti fatti, si conobbe che riuscirono invece fatalissimi alle medesime, colpa e la ignoranza e la caparbietà e . i fallaci sistemi comandati da chi fu ad essi preposto. L'arti che avevano avuto il loro santuario nelle povere botteghe de' maestria rtisti, s'ebbero il bordello e la perdizione nelle Academie disciplinate.

Ma torniamo all'officina in via del Cocomero. La dimane Ser Bondone baciò in bocca il suo figliuolo, raccomandollo a Cimabue di bel nuovo e fe' ritorno a Vespignano.

IV.

ed ora ha Giotto il grido,

Sì che la fama di colui oscura.
Purg. c. XI, v. 95-96.

Cimabue s'avvide che nel suo giovanetto allievo dovevasi coltivare la molta tendenza ch'egli dimostrava a studiar dal vero; epperò ve lo applicò di proposito, e ne ottenne in brevissimo tempo i più felici risultamenti, i quali incominciarono a convincere il maestro che le concette speranze non sarebbero andate certo fallite.

Ei precetti e gli esempj del maestro, e lo studio dal vero, e quello delle statue antiche, vennero adunque poco a poco formando Giotto al

l'arte della pittura e della architettura, nella quale ultima si giovò de' consigli eziandio e delle valorose opere di Arnolfo e d'altri valenti architettori, di cui il secolo aveva già dovizia; sì che i pronostici si venivano verificando ad occhio veggente. La storia, senza lungo aspettare, ce lo presenta divenuto quasi d'un tratto artista.

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Dicesi, scrive lo storiografo degli Artefici Italiani nella vita di Giotto, che stando Giotto ancor giovinetto con Cimabue, dipinse una volta in sul naso d'una figura ch'esso Cimabue avea fatta, una mosca tanto naturale, che tornando il maestro per seguitare il lavoro, si rimise più d'una volta a cacciarla con la mano, pensando che fosse vera, prima che s'accorgesse dell'errore. »

Codesto continuo studio sulla natura apprese al giovanetto pittore quel buon gusto, mercè il quale egli potè vigorosamente redimere l'arte dalle bizzarre e goffe maniere de' bizantini artisti, senza tema che avesse più mai a ricadere in esse, e dare alla pittura una propria caratteristica, che si può dire essere stata quella che fu seguita dipoi nelle scuole nostre; onde se il di lui maestro era stato il creatore della pittura italiana, egli ne fu il rigeneratore..

Tanto merito fece ancora in freschissima età salire in gran fama il nostro Giotto, all'amicizia del quale, non che i più prestanti cittadini, aspiravano i più illustri ingegni. Innanzi tutti va no

verato Dante Alighieri, che a lui fu legato per tutta la vita coi vincoli d'un'immanchevole stima ed affetto, che gli fu largo di consigli e di lumi nel comporre le storie de' suoi dipinti, e per lui lasciò nel suo divino poema que'versi gloriosi che io ho scritti in fronte a queste pagine.

Ma se l'Allighieri dettò per l'amico que' versi, Giotto, in riguardo di lui adoperò, il valore del suo pennello.

Il pittore di Vespignano aveva non più di diciannove anni, quando nella cappella del palazzo pretorio, ora detto del Bargello, nella parte sinistra di essa, ritrasse, accanto a Brunetto Latini e Corso Donati, l'Allighieri, nell'età appunto in cui venne dalla repubblica fiorentina adoperato in varie ambascerie, ch'esser non poteva oltre i trent'anni ',

Ritenendo, a quel che ne conta il Vasari, che i principj di Giotto fossero l'anno 1276, e che a 10 anni lo raccolse Cimabue, e ritenendo del pari col Boccaccio, col Manetti e col Missirini, che Dante nascesse nel 1265, e che il tempo in cui si diede a'negozj della repubblica fosse il trentesim'anno di sua vita, e giusta quanto presume il Missirini suddetto, nella sua bellissima vita di Dante, che il ritratto venisse da Giotto condotto quando il poeta era già stato occupato nelle legazioni per la sua città, ho assegnato 19 anni al pittore che di 11 era più giovane dell' Allighieri. Sovra questo ritratto era stato fin da tempo antico dato di bianco, ma per cura di Antonio Marini, egregio pittore fiorentino de' tempi nostri, dopo l'applicazione di chimiche operazioni venne ripulito; onde il 21 luglio 1840 fu ridonata l'opera di Giotto all'arti ed alle lettere. Il medesimo Missirini così ne la descrive: « Il divino poeta è rappresentato nella sua fresca età d'anni circa 28, quando la sua Vita Nuova a Guido Cavalcanti dedicò. E ne' lieti giorni della sua vita e quindi tranquillo e sereno, non si però che non annunci alcuna gravità e aspetto autorevole intrinseci alla sua indole.

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