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in vano. Era quivi con messer Corso, Simone suo figliuolo, forte e ardito giovane, che voi sapete, e Cecchino de' Bardi e molti altri colle spade, e corsongli dietro; ma non lo giungendo, li gettarono de' sassi, e dalle finestre gliene furono gittati per modo che fu ferito nella mano 1. Ma siete voi lesti una volta, Ciotto, Nino da Mugello ed Arrighetto? M'avete. l'aria di femmine da conio colle vostre catenelle e cincischi sul giustacuore, che non importano la vita. Eccoci, eccoci

gridarono que' tre. que'tre. E dove si va?—interrogò Arrighetto ancora. Silenzio ! ordinò Farinata, e poi si pose

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a contarli e nominare:

Cinghia, Fiero, Arrighetto, Nino, Ciotto, Gualcherajo, Barbogio, Miragiusto, Torcicollo, Lapaccio, Certosino, Anguillotto. E quel turpe ceffo di Marcaccio, ove s'è egli fitto? —

Marcaccio era nientemeno che colui che vedemmo apprestar la tavola, e siccome aveva col privilegio de' cantinieri bevuto più degli altri, era rotolato ubbriaco sotto di una panca. Lo videro là quei ribaldi e l'avrebbero voluto conciar pel dì delle feste; ma il Farinata con queste parole lo impedì: Lasciate che russi a sua posta l'animale: bastiamo noi all'opera. Peggio per lui, se non avrà la sua parte di que' bocconi delicati che ci atten

1 Dino Compagni, loc. cit.

dono. Orå abbiamo a fare una visita allė monache di Santa Chiara.

Eccola finalmente la gran novità! — gridarono più voci in coro.

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Ohe, commentò Lapaccio il Barone s'è imbertonato certo di qualche bella suora. Ma la è tutt'una scalar finestre di popolane e scalar quelle d'un monistero. →

S'intese in questa battere alla porta della camera. Tutti ammutirono, Farinata si mosse, tirò il pesante chiavistello, ed aprì.

Chi entrava era Corso Donati.

VI.

Uomini poi a mal più che a ben usi
Fuor mi rapiron dalla dolce chiostra.
Parad. c. III, v. 106-107.

Ho commesso errore più addietro, quando condussi dinanzi a Piccarda il fratel suo messer Corso, senza pure descrivervelo. Personaggio pella sua età importantissimo, uomo che nelle battaglie della repubblica aveva più volte diretta l'oste e condotta a vittoria, che aveva sostenuti lealmente dapprima, onorevoli carichi civili i più che aveva in varie città d'Italia retti i loro affari, chiamato da esse capitano e podestà, era ben obbligo mio di farvene compiuto ritratto; tanto più che nella narrazione

mia, entrato già messer Corso in quello stadio della vita in cui era dal demone dell'ambizione governato, e sul pendio d'una strada bruttata di delitti, non si poteva fornire una parziale idea di lui. Quegli allora, che della storia di que' tempi fosse stato saputo, avrebbe avuto diritto di rimproverarmi, come, scrittore io di quel secolo, non avessi abbozzato che troppo rapidi lineamenti di tale importante figura storica, ed anche questi così disgiunti, che fosse d'uopo a chi legge scorrere tutta la narrazione per distinguerli bene. Parevami che l'interesse e la scorrevolezza della scena, nella quale per la prima volta si presentava Corso Donati a' miei lettori, venissero a scapitare, fermandomi a tratteggiare la figura e l'animo di costui, e credetti poter differire a ciò fare, quando mi fosse nuovamente venuto dinanzi, come or bene lo veggo in mezzo a questi ribaldi.

Messer Corso adunque non era stato sempre tutto tristo; egli non era anche adesso un volgar despota, un ordinario ribaldo. Cedo la penna al buon Dino Compagni, coscienzioso storiografo delle cose della sua città di Firenze, e tanto più attendibile, in quanto la sua probità ed ingegno, non che i buoni natali avevano portato a far parte non indifferente, ma cospicua, in quegli stessi tempi ne' grandi rivolgimenti del suo paese. Così egli dipinge il Donati: « Fu Corso cavaliere di grande animo e nome, gentile di sangue e di co

stumi, di corpo bellissimo fino alla sua vecchiezza, di bella forma con dilicate fattezze, di pelo bianco; piacevole, savio e ornato parlatore, e a gran cose sempre attendea; pratico e dimestico di gran signori e di nobili uomini, e di grande amistà e famoso per tutta Italia. Nimico fu de' popoli e de' popolani, amato da' masnadieri, pieno di maliziosi pensieri, reo e astuto. >>>

1

Tale era pertanto l'uomo che vedemmo apparire sulla soglia del sotterraneo, dove stavano quei quattordici suoi masnadieri per sua volontà ragunati. E poichè gli ebbe d'un solo sguardo misurati, e veduti in ordine, così gli arringò:

Piacemi vedervi così pronti d'animo, nè credo, lo sarete meno all'opera. Le monache di S. Chiara m'usarono violenza contendendo rilasciare la mia sorella Piccardą. Non ho indietreggiato avanti poderose armate, nè perciò mi terranno oltre in pensiero queste pinzocchere che se ne stanno a oziar la vita in convento. Ho risoluto pertanto tormi a forza la sorella di là, e siccome quelle comari potrebbero menar rumore e suonare fors' anco a stormo, ed accorrendo gente, potrebbe esser mestieri di menare un cotal po' le mani, v'ho chiamati meco stasera, perchè so il vostro animo e la vostra bravura.

Questo si chiama parlare schietto e venir osservò il Barbogio.

difilato all' argomento

1 Storie Fiorentine, lib. I.

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