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tare con esso loro le preghiere mattutine. Appariva egli estenuato, più che dall'età, dalla severa disciplina ch'erasi imposta, e si diceva che però falsasse dal resto de'claustrali. Dal dì che fu destinato a regolar la coscienza delle monache di Santa Chiara, il monistero aveva corrisposto alle sue pie intenzioni, e poteva servir di modello agli altri.

Incontanente fu narrato l'avvenuto a lui, ed egli commosso disse loro tranquillamente:

Umiliamoci, o sorelle, nella polvere, avanti il Signore Iddio, che ha voluto mandarci la tribolazione: umiliamoci, poichè questa poteva essere maggiore. Preghiamolo che tocchi il cuore a questo tracotante fratello, che viola il santuario, affinchè possa accogliere la parola che gli farà intendere il Signore col mezzo mio: preghiamo!

Questi accenti ritornarono quelle desolate suore in calma: imitarono l'esempio del buon Fra Zanobi e pregarono.

Come negli altri giorni, il mattutino venne così recitato allora e certamente con maggiore raccoglimento e divozione, e per tal modo vennero tutte compite le solite pratiche religiose.

Dopo, la madre abbadessa si chiuse in conferenza con Fra Zanobi.

VIJI..

Dio lo si sa qual poi mia vita fusi.
Paradiso c. III, v. 108.

La mattina era già alta, quando Fra Zanobi entrava il palazzo i Donati.

Montò il buon vecchio le scale, confidente che la sua voce avrebbe, coll'ajuto di Dio, in nome del quale egli veniva a parlare, trovata la via del cuore di messer Corso.

Una figura mingherlina e gobba, con due occhietti furbi e scintillanti, aperti, come fori circolari, in mezzo ad una faccia piccola ed asciutta, con berretto a cono e con giubbettino di più colori a sonagli,

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non appena vide ascendere le scale il padre francescano, che, balzando in piedi e scuotendo i campanelli dell'abito, fece una strana capriola; quindi una smorfia ridicola delle mani, che appuntò al naso e girò, come a far chiaro ch'egli indovinasse a quale fine fosse giunto il frate, ma che a nulla sarebbe ogni pratica di lui riuscita. Poi movendogli incontro, il domandò con un far grottesco: Che cercate, Messere? ohe, avreste sbagliato la porta del convento?

No, figliuolo: cerco di messer Corso Donati, rispose tranquillamente il Francescano. Allora il buffone, assumendo un'aria di gravità, continuava:

Parlate, parlate, che vi ascoltiamo.

Io debbo parlare insisteva Fra Zanobi debbo parlare con messer Corso.

Il buffone, fatto uno scambietto, si poneva a cantarellare:

La mia madre dir solea,
O buon padre Francescano,
Che fra gente di livrea

Non vi deve esser arcano.

Figliuolo, replicava Fra Zanobi-siate abbastanza cortese d'annunciarmi al vostro padrone. Parlate con me, vi dico, perchè io non ho

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Io? - interruppe il buffone:

A mangiar son nato e a bere,
Quando almen mi salta il grillo:
Per le corti per le fiere
La ribeca io scarabillo:
Battezzato fui col vino,

E mi chiaman Scampolino.

Scampolino era infatti il buffone che tutta Firenze conosceva: egli è ricordato anche nelle Storie Fiorentine di Dino Compagni. Soleva egli praticare le case de' più facoltosi cittadini, alle cui spalle colle sue scede e motteggi campava la vita, e questo giorno era venuto presso messer Corso, perchè i sicarj di lui, pagati lautamente per l'impresa della notte scorsa, l'avevano invitato al loro bagordare, per istar meglio allegri.

Fra Zanobi, veduto che assai poco costrutto avrebbe cavato da quel monello, avviavasi in traccia d'altro che lo presentasse al Donati; ma l'inesorabile buffone gli si parò davanti, dicendo:

Si può infine sapere chi siate voi e che debba io dire a Messere?

--

Ditegli che Fra Zanobi Francescano ha a parlargli cose di molto momento.

Ma Scampolino era ben lungi dall'aver finita la burla. Alla risposta del vecchio frate prese a ridere sbardellatamente ed a cantar di bel nuovo:

Cinsi anch'io per nove mesi

Il cordon di San Francesco;

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A rompergli l'inverecondo canto, giunse opportuno un sonoro schiaffo che improvviso gli toccò per la mano di messer Corso Donati medesimo, che, avanzandosi, colle più dolci maniere invitò Fra Zanobi a seguirlo in altra stanza.

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Padre, gli disse poi - qual ventura v' ha egli guidato alle case mie?

Messere,

parlò il buon Francescano

ove

io non avessi fermamente saputo che venendo a voi, dovevo trattare con onorevole e costumato gentiluomo, che bene ha meritato i più cospicui carichi della republica nostra, io avrei dubitato alquanto nell' assumere questa missione. Uomini scellerati, la scorsa notte, palliandosi del vostro nome, scalate le mura del monistero di Santa Chiara, vi rapirono la migliore, la più santa di quelle novizze, infine la sorella vostra Piccarda. Il monistero reclama a voi, perchè, standovi a petto l'onore della vostra illustre casa, ricerchiate della poveretta, ciò che a voi non sarà malagevole, e la ritorniate a Santa Chiara.

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-

Dite, o Padre

rispondeva Corso Donati

dite, o Padre, alle suore di Santa Chiara, che

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