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VI.

io mi son un che quando Amor mi spira, noto, ed in quel modo Ch'ei detta dentro, vo significando

Purgatorio. Canto XXIV, v. 52-54.

E la sua fiamma ognora crescente, e il plauso che dal primo tentativo era stato pressochè da tutti a lui fatto, sospingevano Dante nella nuova carriera di poesia, e per ben sei anni consecutivi egli venne infatti armonizzando, siccome dettava il suo cuore, sonetti, ballate e canzoni, che andavano ogni volta più rivestendosi di peregrinità di immagini e di forma.

Io per me penso non sieno ancor state superate giammai nè la canzone che incomincia:

Donne, che avete intelletto d'amore,

nè i sonetti che principiano:

Amore e cor gentil sono una cosa
Negli occhi porta la mia donna amore
Tanto gentile e tanto onesta pare

Vede perfettamente ogni salute

nè altri, nè tutti, oso dire, ch'io non posso riportare, chè di versi ho già dato troppi saggi in queste pagine mie; ma che vo' che i lettori vadano a leggere nella Vita Nuova. Conscio anzi della propria eccellenza, lo stesso Dante, senza la consueta ipocrisia degli scrittori, cantò nel poema: Io che scrissi d'amor più volte rime Quanto più seppi dolci, belle e vaghe E in pulirle adoprai tutte mie lime.

E perchè anche rime d'altrui vennero a Dante attribuite, queste potranno distinguersi dalle vere uscite da quel sommo ingegno alla povertà del concetto, allo stile prolisso, alla lingua inceppata dalla schiavitù della rima, tortura perpetua e supplizio giusto ai deboli ingegni.

«<

Proprietà dello stile di Dante, scrive Niccolò Tommaseo, è l'austerità dello spirituale concetto, che d'imagini corporee si vela. Stolto poeta reputava egli chi sotto il fiore poetico nessun germe

fruttifero sapesse nascondere. Non però che l'utilità e la verità reputass'egli unica bellezza delle nobili rime; ma il forte albero e ordinatamente ramoso voleva vestito di fronde gaje e mobili e armoniose. Il concetto pertanto e lo stile son fida norma a distinguere dalle falsamente appostegli, le rime vere di Dante: non già che tra quei medesimi che non si possono togliere ad esso, non v' abbia alcun costrutto perplesso, alcun verso cadente, qualch' imagine pallida, qualche concetto freddo: ma dopo breve allentare si rialzano *le forti ale al volo usato, e prendono più gran tratto di cielo.... Un'altra delle proprietà che la dantesca poesia distinguono da altre molte, si è quel potente congiungimento del concetto severo col caldo affetto e con l'immagine viva».

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La lingua inoltre è più uniforme, determinata e poetica, che in ogni altro poeta contemporaneo; perocchè se Dante non creò la lingua, che, come mostrammo, era già da tanto tempo viva, fu egli nondimeno che la determinò e che insomma mostrò ciò che poteva. « Quella che l'Allighieri creò veramente, scrive il nostro Cesare Cantù, è la lingua poetica, che fin ad oggi s'adopera con più o men d'arte, ma sempre la stessa, e per la quale sin d'allora egli era cantato sin nelle strade » 2.

1 Ragionamenti e note alla Divina Commedia. Pag. 33 ediz. milanese. per Giuseppe Reina 1854.

2 Storia degli Italiani, vol. IV, pag. 155. Torino, Cugini Pomba e Comp. 1854.

La battaglia di Campaldino, la qual verrò altra volta parte a parte descrivendo, chiamò pur sotto le fiorentine bandiere il giovane poeta, e assai valorosamente egli vi si comportò; ma reduce dal campo, una grave infermità lo ebbe tosto a travagliare alcun tempo.

I suoi dolori incominciavano però soltanto allora, e gli dovevano anzi essere, dopo Beatrice, la Musa ispiratrice de' suoi gloriosi canti venturi.

Folco Portinari, padre di questa Beatrice, l'ultimo giorno dell'anno 1289, moriva, e Dante, che non viveva che per la sua donna, doveva naturalmente dividerne l'acerbo duolo ed il lutto. «< E conciossiachè, sta nella Vita Nova, niuna sia così intima amistà come di buon padre a buon figliuolo, e di buon figliuolo a buon padre, e questa donna fosse in altissimo grado di bontade, e lo suo padre (siccome da molti si crede e vero è) fosse buon in alto grado, manifesto è che questa donna fosse amarissimamente piena di dolore ». Folco adunque era ottimo cittadino, e Dante, ottimo del pari, doveva perciò levarne amaro compianto.

Pochi mesi prima della sua morte, Folco aveva dato compimento alla più nobile e pietosa opera che per avventura, scrive nelle sue storie l'Ammirato, di simile si serbi memoria in tutta To

scana.

Era fuor delle mura della città una chiesa intitolata a S. Egidio, presso la quale aveva Folco

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Portinari figliuol di Ricovero case, pezzi di terra, ed altri suoi beni; il quale commosso da ardente zelo di carità deliberò di ridurre in forma di spedale per ricoverarvi poveretti, infermi ed altri bisognosi per amor di Dio; e perchè questo suo pensiero avesse più felice esecuzione deliberò parimente di fondar una chiesa, la quale dovendo esser perpetuo padronato de' suoi successori maschi, avesse il suo rettore, il quale oltre il ser- vigio di essa chiesa, di cotali poveri che nello spedale ricorrevano avesse pensiero, pregando Andrea vescovo della città, che a queste cose desse con la sua autorità stabilimento. Il che ebbe effetto il ventitreesimo giorno di giugno, nel qual fu dal Portinari nominato il rettore, e dal vescovo concedute alcune indulgenze alla nuova chiesa, S. Maria Nuova intitolata, perchè di mano in mano da questo mosse le devote persone, più questa buon'opra favorissero. La qual opera, come alla divina Maestà è piaciuto, è in guisa andata accrescendo, che a' tempi presenti in notabili ricchezze ampliata, e già dalla cura della repubblica, e ora da quella de' principi sostenuta, è uno dei più preclari ornamenti di questa città, e ove a niuno infermo la porta chiudendosi, si può con verità dire che sia il ristoro de' miseri, de' quali e molti campano che perirebbero, e molti infelicemente alla vita porreffon fine, forse non senza danno dėll'anime, che de' medici e medicine temporali e

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