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spirituali ajutati, sovente con maggiore sussidio all'altra vita ne passano, che ad alcun povero cittadino nella propria casa non avviene ».'

Anche ora, soggiunge in nota lo Scarabelli, è illustre quello spedale, che ha, oltre la carità grande, molta sapienza per le scuole di chimica e di medicina che vi sono state aggregate, la biblioteca egregia, l'amore di tutta Firenze.

Vogliono inoltre parecchi de' biografi che novella trafittura venisse al nostro Dante pel matrimonio di Beatrice con messer Simone dell'onorevole casa de'Bardi; ma io m'accosto al sentimento del Pelli, che niega con buon fondamento un tal fatto. Dante, raccontando in quale occasione avesse egli a comporre il sonetto:

Deh pellegrini che pensosi andate,

dice che ciò accadesse nell'avere veduto passare certi pellegrini « per una via, la quale è quasi mezzo della città, dove nacque, vivette e morì la gentilissima donna Se Beatrice adunque moriva là dove era nata e vissuta, e' bisogna ben dire che per motivo di matrimonio non mai lasciasse la casa paterna.

Beatrice, questa loda di Dio vera, come l'appella l'Allighieri, no, non divise con altri mai quel purissimo affetto che solo ebbe per Dante; nè Ðante

Storie Fiorentine di Scipione Ammirato. Vol. I, pag 309. Torino, Cugini Pomba e Comp. 1853.

poteva palpitare e vivere di questo amore, se quella creatura avesse potuto leggiermente dare ad altri il suo cuore. La donna che aveva avuto l'amore di Dante non poteva obbliarlo sì presto, non poteva amare più altri.

La Vita Nuova d'altronde, che tutta chiude la storia di questo nobilissimo amore, come avrebbe potuto mai dissimulare tal cosa di sì tanta importanza, mentre d'ogni altro menomo atto e circostanza di quella nobil passione aveva tenuto conto?

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Fra il cuore di Dante e quello di Beatrice adunque nessun altro cuore si è frapposto giammai. Si lasci pertanto alla giovane orfana di Folco Portinari il suo prezioso velo di vergine, la sua castissima aureola di luce che le ricinge la divina testa ed onde sì bella è agli occhi della nostra mente; nè si tolga all'amore di queste due privilegiate creature quell'aspetto si leggiadro e sì puro, che l'ha reso mai sempre tanto diletto alle anime gentili.

VII.

Si tosto, come in su la soglia fui
Di mia seconda etade, e mulai vita.
Purgatorio, c. XXX, v. 124-125.

E' mi conviene dar un passo addietro; e ritrovare l'Allighieri giacente nella sua dolorosa infermità, di cui nello scorso capitolo ho toccato alla sfuggita.

Il pericolo di questa malattia lo teneva sempre in pensiero, non tanto per sè, quanto per la sua donna, e sì lo travagliava, che pur nel sonno gli raffigurava angosciose visioni, di che singolarmente era cagione la molta debolezza nella quale era venuto.

Uditelo da lui medesimo:

<< Io dico che nel nono giorno, sentendom'io dolore quasi intollerabile, a me venne un pensiero, il quale era della mia donna. E quando ebbi pensato alquanto di lei, ed io ritornai pensando alla mia deboletta vita: e veggendo, come leggiero era il suo durare, ancorachè sano fossi, cominciai a piangere fra me stesso di tanta miseria; onde, sospirando forte, dicea fra me medesimo Di necessità conviene che la gentilissima Beatrice alcuna volta si muoja. E però mi giunse un si forte smarrimento, che io chiusi gli occhi, e cominciai a travagliare come frenetica persona, e ad immaginare in questo modo: Che nel cominciamento dello errare, che fece la mia fantasia, apparvero a me certi visi di donne scapigliate, che mi diceano: Tu pur morrai. E poi, dopo queste donne, m'apparvero certi visi di donne, diversi, ed orribili a vedere, le quali mi diceano: Tu se' morto. Così cominciando ad errare la mia fantasia, venni a quello, che io non sapea dov'io mi fossi; e veder mi parea donne andare scapigliate piangendo per la via, maravigliosamente triste: e pareami vedere lo sole oscurare, sicchè le stelle si mostravano di colore che mi faceano giudicare che piangessero: e grandissimi terremoti. E maravigliandomi in cotal fantasia, e paventando assai, immaginai alcuno amico, che mi venisse a dire: Or non sai? la tua mirabil donna è partita

di questo secolo. Allora incominciai a piangere molto pietosamente: e non solamente piangea nella immaginazione, ma piangea co'gli occhi, bagnandoli di vere lacrime. Io immaginava di guardar verso il Cielo, e pareami veder moltitudine di angeli, li quali tornassero in suso, ed avesser dinanzi di loro una nebuletta bianchissima, e parea che questi angeli cantassero gloriosamente e le parole del loro canto mi pareva udire, che fosser queste: Osanna in excelsis; ed altro non mi parea udire. Allora mi pareva che'l cuore, ov'era tanto amore, mi dicesse: Vero è che morta giace la nostra donna; e per questo mi parea andare, per vedere il corpo, nel quale era stata quella nobilissima e beata anima. E fu sì forte la erronea fantasia, che mi mostrò questa donna morta, che pareami che donne la covrissero, cioè la sua testa, con un bianco velo: e pareami che la sua faccia avesse tanto aspetto d'umiltà, che parea che dicesse: Io sono a vedere il principio della pace. In questa immaginazione mi giunse tanta umiltà, per veder lei, che io chiamava la Morte, e dicea: Dolcissima Morte, vieni a me, e non m'essere villana; perocchè tu déi essere gentile, in tal parte se' stata: or vieni a me, che molto ti desidero, e tu il vedi, che io porto già il tuo colore. E quand' io avea veduti compiere tutti i dolorosi mestieri, che alle corpora de' morti s'usano di fare, e' mi parea tornare nella

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