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Di quel verace Amor che la conduce.
Se chiudi, Morte, la sua bella luce,
Amor potrà ben dire, ovunque regna:
Io ho perduto la mia bella insegna.

Morte, adunque di tanto mal t' incresca, Quanto seguiterà, se costei muore; Che fia 'l maggior, che si sentisse mai : Distendi l'arco tuo sì, che non esca Pinta per corda la saetta fore,

Che

per passare il cor già messa v' hai:
Deh qui mercè per Dio; guarda che fai;
Raffrena un poco il disfrenato ardire,
Che già è mosso per voler ferire
Questa, in cui Dio mise grazia tanta.
Morte, deh non tardar mercè, se l' hai;
Che mi par già veder lo cielo aprire,
E gli Angeli di Dio quaggiù venire,
Per volerne portar l'anima santa
Di questa, in cui onor lassù si canta.

Canzon, tu vedi ben come è sottile Quel filo a cui s' atten la mia speranza; E quel che senza questa donna io posso: Però con tua ragion piana e umile, Muovi, novella mia, non far tardanza; Ch'a tua fidanza s'è mio prego mosso :

E con quella umiltà che tieni addosso,
Fatti, pietosa mia, dinanzi a Morte;
Sicch' a crudelità rompa le porte,
E giunghi alla mercè del frutto buono.
E s'egli avvien che per te sia rimosso
Lo suo mortal voler, fa che ne porte
Novelle a nostra donna, e la conforte;
Sicch' ancor faccia al mondo di se dono
Questa anima gentil, di cui io sono '.

'Si osservi l'ordine semplicissimo di questa bella Canzone. Il Poeta comincia ogni stanza invocando la Morte. Dice nella prima ch'ella è la sola Divinità che può salvarlo da sommo danno espone nella seconda, quanto sia grande questo suo danno : : prova nella terza, quanto sia grande il danno che ne ridonderà all' Universo. Dunque, conchiude nella quarta, t'incresca di tanto male,

Che fia il maggior che si sentisse mai.

Nella Tornata, che forma una quinta stanza, prega la Canzone a presentarsi umilmente dinanzi a tanta Divinità; e, se la supplica è ben accolta, a recarne poi subito alla sua donna la felice novella.

CANZONE XI.

Scherzo in tre lingue.

Ahi faulx ris per qe trai haves
Oculos meos? et quid tibi feci,
Che fatto m' hai così spietata fraude?
Jam audissent verba mea Græci :
Sai omn autres dames, e vous saves,
Che ingannator non è degno di laude:
Tu sai ben, come gaude

Miserum ejus cor, qui præstolatur:
Eu vai sperant, e par de mi non cure:
Ahi deu qantes malure,

Atque fortuna ruinosa datur

A colui che aspettando il tempo perde, Nè giammai tocca di fioretto verde.

Conqueror, cor suave, de te primo,

Che

per un matto guardamento d'occhi Vos non dovris aver perdu la loi: Ma e' mi piace ch' al dar degli stocchi, Semper insurgunt contra me de limo; Don eu soi mort, e per la fed quem troi Fort mi desplax; ahi pover moi,

Ch' io son punito, ed aggio colpa nulla.
Nec dicit ipsa malum est de isto;
Unde querelam sisto;

Ella sa ben che, se 'l mio cor si crulla,

A plaser d'autre, qe de le amor le set
Il faulx cor grans pen en porteret.

Ben avrà questa donna il cuor di ghiaccio,
E tan daspres, qe per ma fed e sors,
Nisi pietatem habuerit servo,

Ben sai l' amors (seu ie non hai socors)
Che per lei dolorosa morte faccio;
Neque plus vitam sperando conservo.
Veh omni meo nervo,

Sella non fai qe per son sen verai
Io vegna a riveder sua faccia allegra :
Ahi Dio, quanto è integra!

Mas eu men dopt, sì gran dolor en hai:
Amorem versus me non tantum curat,

Quantum spes in me de ipsa durat.

Canson, vos pogues ir per tot le mond;
Namque locutus sum in lingua trina,
Ut gravis mea spina

Si saccia

per lo mondo, ogn' uomo il senta: Forse pietà n' avrà chi mi tormenta.

CANZONE XII.

Biasima la tirannia della sua donna; e dipingendo Amore che gli sta sopra e gli fa mille ferite, prega di ferir lei almeno una volta.

Così nel mio parlar voglio esser aspro,
Come è negli atti questa bella pietra;
La quale ogn' ora impetra

Maggior durezza, e più natura cruda;
E veste sua persona d' un diaspro;
Talchè per lui, o perch' ella si arretra,
Non esce di faretra

Saetta che giammai la colga ignuda:

Ed ella ancide, e non val ch' uom si chiuda,
Nè si dilunghi da' colpi mortali;

Che come avessero ali,

Giungono altrui, e spezzan ciascuna arme:
Perch' io non so da lei, nè posso aitarme.

Non trovo scudo ch' ella non mi spezzi;
luogo che dal suo viso m' asconda:
Ma come fior di fronda,

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