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a parte dell'improvviso assalto che i Bianchi, benchè con infelice successo, diedero a Firenze. È certo inoltre che l'anno 1306 egli era in Padova e l'anno 1307 nella Lunigiana presso il marchese Morello Malaspina; di che il sig. Pelli reca incontrastabili pruove, tratte quanto al primo soggiorno da uno stromento che si conserva in Padova, e quanto al secondo da' versi stessi di Dante (ib. §. 11.). Ciò però dee intendersi, come altrove abbiamo mostrato (St. della Lett. Ital. 1. 1. c. 2. n. 6.), in questo senso che Dante dopo aver soggiornato per qualche tempo in Arezzo, andasse a stabilirsi in Verona l'anno 1304, cioè due anni dopo l' intima fattagli dell'esilio, e che da Verona passasse poscia talvolta per qualche particolare motivo or a Padova, or nella Lunigiana.

Noi abbiam pur riferito (St. della Lett. Ital. 1. 1.) gli onori che dagli Scaligeri ei ricevette, benchè l'umor capriccioso che lo dominava, gli desse anche occasione di qualche disgusto. Il Boccaccio ragiona in modo che ci potrebbe far credere, che si pensasse ivi di conferirgli l'onore della corona d'alloro, dicendo ch'egli non l'ebbe solo, perchè era risoluto di non volerla se non in patria (De Geneal. Deor. l. 15 c. 6.). Ma di questa circostanza niun altro ci ha

lasciata memoria. Verona però non fu sede stabile del nostro Poeta. Il Boccaccio lo conduce in giro in Casentino, in Lunigiana, ne' monti presso Urbino, a Bologna, a Padova e a Parigi. Altri luoghi da lui abitati si annoveran da altri, e sembra che non potendosi disputare della patria di Dante, come si fa di quella di Omero, molte città d'Italia invece contendan tra loro per la gloria di aver data in certo modo la nascita alla Divina Commedia da lui composta. Firenze vuole ch'ei già ne avesse composti i primi sette canti, quando fu esiliato, e ne reca in pruova l'autorità del Boccaccio e di Benvenuto, e alcuni passi del medesimo Dante. Il marchese Maffei vuole che alla sua Verona concedasi il vanto, che ivi principalmente Dante si occupasse scrivendola. Un'iscrizione nella torre de' conti Falcucci di Gubbio ci assicura che in quella città, ove, come sembra indicarci un sonetto da lui scritto a Bosone, abitò qualche tempo presso questo illustre cittadino, ei ne compose gran parte; e un'altra iscrizione, posta nel monastero di s. Croce di Fonte Avellana nel territorio della stessa città, afferma lo stesso di quel monastero, ove anche al presente si mostrano le camere di Dante. Altri danno per patria a questo poema la città d'U

dine e il castello di Tolmino nel Friuli, altri la città di Ravenna; delle quali diverse opinioni si veggan le pruove presso il più volte lodato sig. Giuseppe Pelli; e vuolsi aggiugnere inoltre, che il cav. Giuseppe Valeriano Vannetti pretende, che nella Valle Lagarina nel territorio di Trento Dante scrivesse parte della Commedia e altre poesie, come egli si fa a provare in una lettera publicata dal Zatta (Op. di Dante t. 4. par. 2.). Io mi guarderò bene dall' entrare nello esame di tutte queste sentenze, e dirò solo che a me sembra probabile ciò che pure sembra probabile al sig. Pelli, che Dante cominciasse il poema innanzi all'esilio, e il compisse innanzi alla morte di Arrigo, seguita nel 1313, altrimente, com' egli dice, non si vedrebbono negli ultimi canti di esso le speranze, che Dante formava nella venuta di quell' Imperadore in Italia (Parad. c. xxx. v. 133 ec.).

Egli sperava al certo che la discesa d'Arrigo potesse aprirgli la via di ritornare a Firenze. Perciò, oltre una lettera scritta a' re, a' principi italiani e a' senatori di Roma, per disporli a ricevere favorevolmente Arrigo, che dall'ab. Lazzari è stata posta in luce (Miscell. Coll. Rom. t. I. p. 139.), un'altra ne scrisse al medesimo Imperadore l'anno 1311, ch'è stata publi

cata dal Doni (Prose antiche di Dante ec.), esortandolo a volger l'armi contro Firenze, e da essa ancora raccogliesi che Dante era stato personalmente ad inchinarsi ad Arrigo. E questi infatti era contro dei Fiorentini fortemente sdegnato; ma i poco felici successi ch'egli ebbe in Italia, e poi la morte che lo sorprese nel 1313, non gli permisero di eseguire i suoi disegni ; e l'unico frutto che Dante n'ebbe, fu il perdere ogni speranza di rimetter piede in Firenze. Il sig. Pelli differisce (§. 13.) al 1315 la confermazione della sentenza di esilio contro di lui pronunciata; ma l'ab. Mehus accenna una carta (Vila Ambr. Camald. p. 182.) dèl 1311, in cui si dichiara che Dante era irremissibilmente escluso dalla sua patria. E allora è probabile ch'ei se ne andasse a Parigi, non già ambasciadore de' Fiorentini, come dice il Filelfo, ma per desiderio di passare utilmente il tempo, e di semprepiù istruirsi in quella università. Questo viaggio di Dante rammentasi da Giovanni Villani, come già abbiam detto, da Benvenuto da Imola (l. c. p. 1164), da Filippo Villani (Ap. Mehus. l. c. pag. 167) e dal Boccaccio (Vita di Dante et Geneal. Deor. l. 14 c. 11.), il quale aggiugne che in quel luminoso teatro ei sostenne publicamente una disputa su varie

quistioni teologiche. Un'altra disputa filosofica ei tenne nel 1320 in Verona, se pur non è un'impostura un libretto stampato in Venezia nel 1508, di cui parlano Apostolo Zeno ( Lettere t. 2. p. 304) e il Pelli ( §. 14. 18), e che ha questo titolo: Quæstio florulenta ac perutilis de duobus Elementis Aquæ et Terræ tractans, nuper reperta, quæ olim Mantuæ auspicata, Veronæ vero disputata et decisa, ac manu propria scripta a Dante Florentino Poeta Clarissimo, quæ diligenter et accurate correcta fuit per Rev. Magistrum Joan. Benedictum Moncettum de Castilione Aretino Regentem Patavinum Ordinis Eremitarum Divi Augustini Sacræque Theologiæ Doctorem excellentissimum. L'ultima stanza di Dante fu la città di Ravenna, a cui egli recossi sul finir de' suoi giorni, invitato da Guido Novello da Polenta coltivatore insieme e splendido protettore de' buoni studi, come dice il Boccaccio. Fra le prose di Dante, publicate dal Doni, avvi una lunga lettera da lui scritta al suddetto Guido, da cui egli era stato inviato l'anno 1313 a Venezia ambasciadore al nuovo doge, nella qual lettera, di Venezia e de' Veneziani ei parla con insofferibil disprezzo. Ma che una tal lettera e in conseguenza anche una tale ambasciata che ad essa sola si appoggia, sia una impostura del

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