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Doni, era già stato avvertito dal canon. Biscioni nel ristampare ch'ei fece le medesime Prose, e si è lungamente provato dal Doge Foscarini (Letterat. venez. p. 319 ec.), e più fortemente ancora dal p. degli Agostini (Scritt. venez. t. 1. pref. p. 17 ec.) il quale inoltre confuta a lungo le accuse che l'autor della lettera dà a' Veneziani. Più verisimile è un' altra ambasciata di Dante ai medesimi, che si narra da Giannozzo Manetti nella Vita ch'egli ne scrisse, dicendo che essendo in guerra i Veneziani con Guido, questi il mandò ad essi ambasciadore per ottenere la pace; che Dante avendo perciò più volte richiesta pubblica udienza, questa per l'odio, di che i Veneziani ardevano contro di Guido, gli fu sempre negata; di che egli dolente e afflitto tornossene a Ravenna, e in poco tempo vi morì l'anno 1321. In somigliante maniera raccontano il fatto anche Filippo Villani e Domenico di Bandino d'Arezzo (Ap. Mehus l. c. p. 167. 170), e si accenna ancora da Giovanni Villani, il quale così narra la morte di Dante : « Nel detto anno 1321 del mese di Settembre il « dì di Santa Croce morì il grande e valente "poeta Dante Alighieri di Firenze nella Città di « Ravenna in Romagna essendo tornato d'am« basceria da Vinegia in servigio de' Signori da

« Polenta, con cui dimorava. » ( l. 9. c. 133). Queste parole del Villani ci danno l'epoca certa della morte di Dante, confermata con altre pruove dal sig. Pelli (Nuova Racc. d' Opusc. t. 17), il quale poscia ragiona dell' onorevol sepolcro che Guido da Polenta volea innalzargli, ma che, non avendolo egli potuto per la morte, da cui non molto dopo fu preso, gli fu poscia eretto l'anno 1483 da Bernardo Bembo pretor di Ravenna per la Repubblica di Venezia, e restaurato nel 1692 dal card. Domenico Maria Corsi legato di Romagna; intorno al qual monumento degna è d'essere letta una erudita dissertazione del conte Ippolito Gamba Ghiselli contro un supposto m. Lovillet, il quale avea preteso di togliere a Ravenna la gloria di posseder le ceneri del Poeta. Il Pelli reca ancora le diverse iscrizioni onde esso ne fu onorato; e narra le istanze più volte fatte dai Fiorentini, ma sempre inutilmente, per riaverne le ceneri; il disegno da essi formato, ma che non ebbe effetto, di ergergli un maestoso deposito; e l'onore che gli fu in Firenze renduto, con coronarne solennemente l'imagine nel tempio di s. Giovanni, come narra in una sua lettera il Ficino, il qual racconto però da altri si prende in senso allegorico; e finalmente ragiona (§. 16) delle

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medaglie in onor di esso battute, e delle statue a lui innalzate. Il Boccaccio ce lo descrive come uomo ne' suoi costumi sommamente composto, cortese e civile. Al contrario Giovanni Villani ce ne fa un carattere alquanto diverso, e io recherò qui il passo in cui ne ragiona, perchè parmi il più acconcio a darcene una giusta idea (l. 9, c. 134). « Questi fu grande letterato quasi << in ogni scienza, tutto fosse laico; fu sommo « Poeta et Philosofo et Rettorico, perfetto tanto «< in dittare, et versificare, come in aringhiera parlare, nobilissimo dicitore, et in rima som« mo con più pulito et bello stile, che mai fosse <«< in nostra lingua infino al suo tempo et più « innanzi. Fece in sua giovanezza el libro della « Vita nuova di amore, et poi quando fu in esilio « fece da 20 Canzoni morali et d'amore molto « eccellenti, et infra l'altre fece tre Pistole, « l' una mandò al reggimento di Firenze, dogliendosi del suo esilio senza colpa; l'altra mandò all'Imperadore Arrigo, quando era allo << assedio di Brescia, riprendendolo della sua <«< stanza, quasi profetizando; la terza a' Cardinali Italiani, quando era la vacatione dopo la « morte di Papa Clemente, acciò che s'accor« dassero a eleggere Papa Italiano; tutte in la<< tino con alto dittato et con eccellenti senten

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<< tie et autoritadi, le quali furono molto com❝mendate da' savi intenditori. Et fece la Come« dia, ove in pulita rima, et con grandi que<«<stioni morali, naturali, astrologhe, philosophiche, et theologiche, et con belle compara<< tioni et poetrie compose, et trattò in cento Capitoli ovvero Canti dell' essere et stato del« l'Inferno et Purgatorio et Paradiso così alta« mente, come dire se ne possa, siccome per lo « detto suo trattato si può vedere, et intendere, chi è di sottile intelletto. Bene si dilettò in << quella Comedia di garrire, et sclamare a guisa « di Poeta, forse in parte più che non convenia, ma forse il suo esilio li fece fare ancora « la Monarchia, ove con alto latino trattò dello « Officio del Papa e degl' Imperadori. Et comin« ciò uno Comento sopra 14 delle sopradette << sue Canzoni morali volgarmente, il quale per << la sopravvenuta morte non perfetto si trova, se non sopra le tre, la quale per quello, che si vede, grande et alta et bellissima opera ne « riuscia, però che ornato appare d'alto dittato «et di belle ragioni philosophiche et astrologi«che. Altresì fece un libretto, che l' intitolò di Vulgari Eloquentia, ove promette fare quattro libri, ma non se ne trova se non due, forse « per la affrettata sua fine, ove con forte et

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« adorno Latino et belle ragioni riprova tutti i

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vulgari d'Italia. Questo Dante per suo sapere << fu alquanto presuntuoso et schifo et isde«gnoso, et quasi a guisa di Philosopho mal gratioso non bene sapeva conversare co' Laici, «ma per l'altre sue virtudi et scientia et valore << di tanto Cittadino ne pare, che si convenga «< di darli perpetua memoria in questa nos<< tra Cronica, con tutto che per le sue nobili ❝ opere lasciate a noi in iscritture facciasi di « lui vero testimonio et honorabile fama alla « nostra Città. » La taccia d'uom troppo libero nel favellare e di costumi alquanto aspri e spiacevoli gli si appone ancora da Domenico d' Arezzo e da Secco Polentone (Ap. Mehus l. c. p. 169. 175). Al qual carattere Benvenuto da Imola aggiugne (l. c. p. 1209) quello di una singolar astrazione di mente, allorquando immergevasi nello studio, e ne reca in pruova ciò che gli avvenne in Siena, ove essendosi abbattuto a trovar nella bottega di uno speziale un libro da lui fin allora inutilmente cercato, appoggiato a un banco si pose a leggerlo con tale attenzione, che da nona sino a vespero si stette ivi immobile, senza punto avvedersi dell' immenso strepito che menava nella contigua strada un accompagnamento di nozze, che di colà venne a passare.

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