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CANZONE XXIX.

Continua il Poeta a narrare gli effetti della sua passione, e aggiunge che si trova presso a morire.

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Io non pensava che lo cor giammai
Avesse di sospir tormento tanto,
Che dall' anima mia nascesse pianto,
Mostrando per lo viso gli occhi morte.
Non senti' pace mai nè riso alquanto,
Posciachè Amor e madonna trovai ;
Lo qual mi disse: tu non camperai,
Che troppo è lo valor di costei forte:
La mia vertù si partì sconsolata ;
Poichè lasciò lo core

Alla battaglia, ove madonna è stata;
La qual dagli occhi suoi venne a ferire
In tal guisa, ch' Amore

Ruppe tutti i miei spiriti a fuggire.

1

Questa Canzone si trova sotto il nome di Autore incerto nelle Rime antiche, e sotto il nome di Dante nell' impressione

del 1518.

Di questa donna non si può contare:
Che di tante bellezze adorna viene,
Che mente di quaggiù non la sostene,
Sicchè la veggia lo 'ntelletto nostro;
Tanto è gentil, che quando penso bene,
L'anima sento per lo cor tremare;

Siccome quello che non può durare
Davante al gran dolor, che a lei dimostro.
Per gli occhi fiere la sua claritate,
Sicchè qual uom mi vede,

Dice: non guardi me questa pietate,
Che post' è 'n vece di persona morta,
Per dimandar mercede;

E non se n'è madonna ancora accorta.

Quando mi ven pensier ch' io voglia dire

A gentil core della sua vertute,

lo trovo me di sì poca salute,

Ch' io non ardisco di star nel pensero:
Ch' Amor, alle bellezze sue vedute,

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Non puote 'l cor, sentendola venire;
Che sospirando dice: io ti dispero.
Perocch' io trassi del suo dolce riso
Una saetta acuta,

Che ha passato il tuo, e 'l mio diviso;
Amor, tu sai allora ch' io ti dissi,

Poichè l' avei veduta,

Per forza converrà, che tu morissi.

Canzon, tu sai che dei labbri d'Amore lo ti sembrai, quando madonna vidi: Però ti piaccia che di te mi fidi; Che vadi in guisa a lei, ch' ella t' ascolti: E prego umilemente a lei tu guidi

Gli spiriti fuggiti del mio core;

Che

per
soverchio dello suo valore
Eran destrutti, se non fosser volti,
E vanno soli senza compagnia
Per via troppo aspra e dura:
Però gli mena per fidata via;

Poi le di', quando le sarai presente:
Questi sono in figura

D'

un che si more sbigottitamente.

CANZONE XXX'.

LA DONNA ECCELLENTISSIMA.

L'alta speranza che mi reca Amore,
D' una donna gentile ch' ho veduta,
L'anima mia dolcemente saluta:

E falla rallegrar entro lo core;
Perchè si face, a quel ch' ell' era, strana,
E conta novitate,

Come venisse di parte lontana;

Che quella donna piena d' umiltate,

Giugne cortese e umana,

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Escon tali e' sospir d' esta novella,
Ch' io mi sto solo, perch' altri non gli oda,
E 'ntendo Amor, come madonna loda,

Che mi fa viver sotto la sua stella.

Dice il dolce signor: questa salute,
Voglio chiamar laudando

Il Pilli e il Corbinelli fanno autore M. Cino di questa Canzona di cui nell' impressione del 1518 vien fatto autor Dante.

Per ogni nome di gentil vertute,

Che propiamente tutte ella adornando,
Sono in essa cresciute

Ch'a bona invidia si vanno adastando'.

Non può dir nè saver quel ch' assimiglia,
Se non chi sta nel ciel, ch'è di lassuso,
Perch' esser non ne può già cor astioso;
Che non dà invidia quel ch' è meraviglia,
Lo quale vizio regna ov' è paraggio:
Ma questa è senza pare;

E non so esempio dar, quanto ella è maggio2. La grazia sua, a chi la può mirare,

Discende nel coraggio,

E non vi lascia alcun difetto stare.

3 Tanta è la sua vertute e la valenza,

Ched ella fa meravigliar lo Sole:

E per gradire a Dio in ciò ch' ei vuole,
A lei s' inchina e falle reverenza.

Adunque, se la cosa conoscente

Adastare, fermarsi, trattenersi, raccogliersi. Dice dunque che tutti i pregi si raccolgono in lei, per destare la bona invidia, cioè il desiderio di somigliarle e di piacerle.

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3 Nella Bellamano, in cui si legge la presente Canzone, manca questa stanza, che pur è degna dell' altre.

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