senza sospetto che la congiura fosse ordita da Cane della Scala. Ma tosto fia che Padova al palude E dove Sile a Cagnan s' accompagna (Parad. IX. 46) Dal passo che sarà citato sotto l'anno 1316. e da popolari tradizioni, molti desunsero che il poeta abbia per molti anni vissuto nella corte degli Scaligeri, segnatamente sotto la Signoria di Cane, allorchè dopo la morte di suo fratello Alboino, avvenuta sul principio del 1312. Cane signoreggiò solo in Verona. Vedi nondimeno il Discorso sul Testo pag. 142-144. e seg. 175. 178. e altrove donde esce evidentemente come dall'anno 1307. allorchè Dante si ricoverò in Lunigiana, ove non si rimase per molto tempo, sino all' Aprile di quest'anno, i luoghi dove Dante visse a dimora sono incertissimi; e le sue fortune erano di certo infelici. Che ei dopo il suo esiglio si umiliasse a sostenere la vita accettando, e anche implorando gli altrui beneficj lo manifestano le predizioni ch'egli ode dal suo antenato nel Paradiso XVII. 55. e seg. Tu lascerai ogni cosa diletta Più caramente, e questo è quello strale, Tu proverai sì come sa di sale Lo pane altrui, e come è duro calle Lo scendere, e il salir per l' altrui scale. L'ombra d'Oderisi nel Purg. XI. 154. gli predice com' ei per l' iniquità de' suoi concittadini farà espe rienza dello stato dell'anima di chi piantasi su le vie ad accattare elemosina. Liberamente nel Campo di Siena Ma poco tempo andrà che i tuoi vicini Certo in que' cinque o sei anni andò tapinando qua, e là per tutta l'Italia. (Convito pag. 71). «Per le parti quasi tutte, alle quali questa lingua si stende, peregrino, quasi mendicando, sono andato, mostrando contro a mia voglia la piaga della fortuna, che suole ingiustamente al piagato molte volte essere imputata. Veramente io sono stato legno senza vela, e senza governo, portato a diversi porti, e foci, e liti dal vento secco, che vapora la dolorosa povertà: e sono apparito agli occhi a molti, che forse per alcuna fama in altra forma m'aveano immaginato; nel cospetto de' quali, non solamente mia persona invilìo, ma di minor pregio si fece ogni opera, sì già fatta, come quella che fosse a fare. Arrigo VII. viene a coronarsi in Roma sotto fede datagli da Papa Clemente V., il quale poi lo tradi, che la Chiesa si congiungerebbe all'Impero a riformare l'Italia. Ma pria che il Guasco l'alto Arrigo inganni. E fia Prefetto nel Foro divino (Par. XVII, 82.) Allora tal, che palese, e coperto Non anderà con lui per un cammino. (Par. XXX. 142.) 1312 Età XLVII 1513 Età XLVIII La lettera scritta da Dante all' Imperadore termina: addi XVI. del mese di Aprile MCCCXI. nell'anno primo del coronamento d'Italia dello splendidissimo, ed ornatissimo Arrigo. Vedila in calce al Vol II. Alfonso XI. comincia a regnare in Castiglia. Vedrassi la lussuria, e il viver molle Di quel di Spagna. Nasce Giovanni Bocaccio. (Parad, XIX. 124.) Morte di Arrigo VII. e molti dicono che fosse fatto avvelenare con un' Ostia in Chiesa, mentre ei partecipava al Sacramento dell' Eucaristia. Di che nondimeno il poeta non pare che abbia lasciato indizio. Vede bensi nel Paradiso un trono preparato a quell'Imperadore. In quel gran seggio a che tu gli occhi tieni Sederà l'alma che fu già Augosta La cieca cupidigia che v'ammalia Simili fatti vi ha al fantolino Che muor di fame e caccia via la balia. (Parad. XXX, 133, e seg.) Disperando dell'Italia per la morte dell'Imperadore, Dante intraprende l'opera sua del Convito a spianarsi il ritorno dall'esilio, ma poi la tralascia. (Discorso sul Testo pag. 229. e seg.). Si ricovera presso Guido di Polenta in Ravenna. (Discorso sul Testo pag. 301). Alla fine di quell' anno mori anche Clemente V., e il poeta lo danna a stare con Bonifacio VIII. nell' Inferno tra' Pontefici simoniaci. 1314 Età XLIX 1315 Età L 1316 Età LI Ma poco poi sarà da Dio sofferto E farà quel d' Alagna esser più giuso. (Par. XXX. Fine.) Lodovico il Bavaro succede ad Arrigo VII. Lì si vedrà il duol che sopra Senna (Parad. XIX, 118.) (V. Indice alla fine della giunta, alla voce Alfonso.) Cane della Scala rompe i Guelfi della Marca Trevigiana, e i Padovani condotti da Giacopo di Carrara. E ciò non pensa la turba presente, (Parad. IX. 43, e seg.) Clemenza figlia di Carlo Martello va moglie di Luigi X. succeduto a Filippo il Bello. (Raffronta all'anno 1295. e i versi citati all' anno 1509.) Le discordie accanite de' Cardinali dopo la morte di Clemente V. lasciarono la Sede Pontificia vacante per quasi due anni, finchè innanzi la fine del 1316. venne pur fatto a' Francesi di vedere consecrato in Lione un altro Papa della loro nazione. Trovo che le due sette accanite de' Cardinali l' elessero arbitro a nominare un Papa, e ch'ei s'elesse sè, ed era quel Giovanni XXII. di Caorso esecrato si spesso da Dante. Del sangue nostro Caorsini, e Guaschi (Parad. XXVII. 58.) Giovanni XXII. fu sfacciatissimo, avarissimo, ed astutissimo, fra quanti fecero bottega de' Sacramenti, e della religione (Mur. ann. d' Ital. an. 1334.) E nell' Inferno XI. 49. seg. ove il poeta allude alle bolge del cerchio inferiore, ei chiama Caorsa quella de' Simoniaci, quantunque tutti gl'interpreti, o per non potere, o per non attentarsi di veder chiaramente, lo spiegano bolgia degli usuraj. E però lo minor giron suggella Del segno suo e Sodoma e Caorsa. Dante pubblicò allora una lettera citata dal vecchio Villani a' Principi, e a' Cardinali, perchè eleggessero Papa Italiano. (Vedila in calce al volume secondo, se pure la è traduzione genuina.) Fra il lungo tempo della morte di Clemente V. alla elezione di Giovanni XXII. la fazione de' Guelfi era stata depressa, e la Ghibellina rianimata in Italia. Firenze, e molte città popolari si fecero più clementi ai loro esuli. Dante udi un nuovo bando della sentenza capitale, perchè sdegnò di lasciarsi ribenedire come colpevole, e riavere i suoi beni, e rispose: In literis vestris, et reverentia debita et affectione receptis, quam repatriatio mea cure sit vobis ex animo, grata mente, ac diligenti animaversione concepi; etenim tanto me districtius obligastis, quanto rarius exules invenire amicos contingit. Ad illorum vero significata respondeo; et (si non eatenus qualiter forsan pusillanimitas appeteret aliquorum) ut sub examine vestri consilii ante judicium ventiletur, affectuose deposco. Ecce igitur quod per literas vestri, meique Nepotis, nec non aliorum quamplurium amicorum significatum est mihi, per ordinamentum nuper factum Florentie super absolutione bannitorum; quod si |