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qual'è la promulgazione che di questi articoli ci fa la Chiesa?...Dunque se tali cose si manifestano pienamente con la forma d'un comando del civile potere, come leggi laicali abbiamo a tenerle.-E se dunque come leggi laicali abbiamo a tenerle, che forza d' obbligazione portano con seco? Si possono convincere i cattolici di obbedire, sotto la forma d'un civil comando, a quello ch'è per diretto contro la legge di Dio? Ed obbedirebbono alla forza, o al diritto ?

Arroggi, caro lettore, che nel Concordato del 1818 non leggiamo parola, che accenni all'istituzione del Placet; che anzi è da dirsi l'opposto. Là nell'articolo trentesimo si legge—Quanto agli altri oggetti ecclesiastici, dei quali non è stata falta menzione nei presenti articoli, le cose saranno regolate a tenore della vegliante disciplina della Chiesa.- E di quale disciplina si parla? certo è che si parla dell' universal disciplina della Chiesa, e bisognerebbe fare il callo ad ogni obbrobrio per negare una verità così aperta e chiara. La disciplina o è Municipale, o è Universale: in questo Concordato del 1818 nell'articolo 32 è detto esplicitamente resta convenuto che il presenle Concordato è sostituito al precedente onde vien esclusa del tutto la disciplina in esso sanzionata; dunque fuor da quello è stato statuito nell'ultimo Concordato del 1818, tutt'altro non cade che sotto l' imperio della disciplina universale. Il Papa si appella alla disciplina della Chiesa, e puossi intendere nella bocca di lui una cotal parola per quelle leggi che non provengono da lui, cioè dall'ecclesiastico potere?...Il Sovrano si appella alla disciplina della Chiesa, ed in mente a chi può entrare che un suddito fedele della Chiesa Cattolica chiami disciplina di essa quella che non proceda da essa medesima? Se dunque il tutto debb'esser regolato secondo la universale disciplina della Chiefuor da quello ch'è sancito nel Concordato medesimo del

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1818, è da dirsi come l'istituzione del Placet se ne sia andata in fumo, avvegnachè si trovasse anche sancita nel Concordato del 1741.

E da ultimo, sapete voi chi fu il Pontefice che venne al Concordato del 1741 ? fu nientemeno che Benedetto XIV. Ah! se quì mi fosse concesso, stamperei intiere le sue Bolle a far vedere quale sia stato il pensamento di lui su quest'empia istituzione: un fatto peraltro sentirete di lui indi a poco, parlandosi della esecuzione che debbe ricevere ogni carta che vien da Roma, e che riguarda il giudiziario potere. E sì, si avrebbono a mettere a rincontro da un lato le Bolle (segnatamente quella Pastoralis del 1742), e dall' altro questo segreto articolo del Concordato: e chi sarà sì strano da poter sostenere come quel gran Pontefice l'abbia concesso, e che l'abbia concesso col linguaggio che presenta l'articolo?

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Signor Mancini, quando in quell' articolo settimo si sanzionava anche il Placet, pensastu che qui antilogicamente ogni Concordato, a volontà d' una sola parte, già era stato abrogato? Se dunque quì non ha forza verun Concordato, non può mica sostenersi il Placet come a privilegio della Santa Sede; quindi gli si applicano bene e tutti i raziocinî esposti di sopra, e tutte le condanne Pontificie, che avete intese. E oh, quanti son gli errori in quelle poche parole! Un errata corrige quì quanto cade bene in proposito !

CAPO SECONDO

1. Nella Chiesa è la giurisdizione, strettamente presa, stantechè, in compagnia del potere giudiziario e legislativo, v'è anche quello che si addimanda il potere di esecuzione il Placet tutto distrugge 2. Si risponde all' obbiezione dei regalisti, così detti, che niegano il potere esecutivo nella Chiesa, come quella che quanto ad ogni mezzo materiale debb' esser soggetta al potere civile 3. Si risponde all' obbiezione di quelli che niegano nella Chiesa la giurisdizione, strettamente intesa, dicendo com'essa non abbia che solamente l'officio di conciliare, e sia appunto così, come la giurisdizione dell' arbitro.

I.

Il Placet in applicazione al potere giudiziario della Chiesa distrugge, non che l'istesso potere giudiziario per indiretto, ma per diretto il potere esecutivo, ch'è un diritto, come ogni altro, nella Chiesa di Dio. E quì è mestieri che ci soffermiamo un tantino, guardando un po' addentro cotesto diritto, sia perchè in applicazione ad un caso vedesi un pò meglio l'empia natura del Placet, sia perchè è cotesto il caso in ispecie che contempla il famoso articolo settimo in parola, e sia perchè il potere esecutivo, che è nella Chiesa, già è gran tempo è fatto segno a mille quistioni, segnatamente quì nelle nostre contrade. Ed innanzi di entrare più addentro in siffatta quistione vi ricorda com'io già abbia provato, in una precedente dissertazione, il diritto nella Chiesa ad ogni maniera di pene, corporali e spirituali, e quindi io muovo da siffatto principio, senza più, come cosa già bene assodata.

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Ripugna alla Sapienza di Dio volere un fine, ed istituire e comunicare un mezzo che il fine non possa raggiungere per difetto di qualche necessario potere: egli è necessario, come abbiam visto di sopra, il potere giudiziario in ogni società per raggiungere il proprio fine dunque è, e debb'essere questo potere altresì nella Chiesa di Dio. L'indipendenza di ciascuna società non soffre, e non può sofferire che un potere diverso s'inframmetta nel merito dei suoi giudizî, anche nell'esecuzione di essi: dunque lo stesso, a volere esser logici, è da dirsi per la Chiesa, non correndovi dubbio sull'indipendenza di lei, e fuor dal caso in cui trattasi di un atto soltanto di rito, richiesto e voluto dall'istessa autorità della Chiesa. Bene è vero come generalmente si dica che se il potere giudiziario andasse congiunto con l'esecutivo, il giudice potrebbe aver la forza d'oppressore, nè vi avrebbe autorità superiore che potesse opporsi alla ingiustizia di lui, e correggere gli errori. Ma quì è da por mente come altra sia la distinzione, ed altra la divisione dei poteri; la distinzione serve per conoscere la loro natura e regolarne le funzioni, ma`una divisione perfetta e totale non ista in idea, come per intrinseca natura, che che né dicano altri. E la ragione addotta poco rileva, dacchè a dirsi come non si abbia la sicurezza sotto i poteri riuniti converrebbe che da questa unione per propria natura sorgesse l'abuso; ma tale non è intrinsecamente a confessione di tutti; per lo che bene può aversi talora la sicurezza, sebbene i poteri siano riuniti. Anzi una cosiffatta divisione, totale e perfetta, non può essere per la ragione che altrimenti mancherebbe un centro comune di autorità, e mancherebbe l'unità istessa: se non si voglia un' effetto senza causa, come può egli andare innanzi l'armonico procedere nella società senza quell' uno, cui si hanno a concentrare le sfere del pubblico potere ? Si avrà, risponde Montesquieu,

dall' armonico concorso dei singoli poteri, ma chi è che stabilmente intenderà a procacciare cotest' armonia ? Ed essa dovrà dirsi del tutto fortuita e contingente, se indipendenti fra loro si vogliano ammettere questi poteri. Non è società senza l'unità, e non è unità dove non si concentrino i poteri divisi : la macchina della divisione deve tornare all'unità se vuolsi che la società cammini. L'unità vien costituita dalla Sovranità, senza cui la società non è pur concepibile se fosse vero che tutto sarebbe perduto, ove il medesimo corpo esercitasse i tre poteri (legislativo, giudiziario, ed esecutivo), in verità avrebbe a svanire la libertà sulla faccia della terra, tornando impossibile che chi governa non sia un individuo, o un corpo. Potrà questo comporsi di molti individui o di molti corpi, ma forza è che si riduca all'unità, epperò ha da costituire un corpo.-Sempre bisogna ricorrere finalmente ad un autorità superiore, dice il Bentham (1), che dà legge, e non la riceve. Anche il Romagnosi (comechè utilitario) dicea La prevalenza effettiva del sommo impero forma il dogma primario, fondamentale, indispensabile di qualunque civile governo.-E poco innanzi avea detto La pretesa bilancia dei poteri contrastanti non sottomessi ad un potere centrale che li predomini è un controsenso che sovverte ogni idea di politico governo. Questa bilancia risolvesi in una scisma perpetua che dovrà finire con l'oppressione della parte meno unita. Se un governo dev'essere essenzialmente pubblico tanto nella sua origine, quanto nelle sue funzioni, egli è assurdo introdurvi un machinismo che toglie l'unità dei voleri e dei poteri. Se la forza del governo dev'essere prevalente ed attiva, egli è assurdo dividerla per farla servire a fazioni ostilmente accampate le une contro

(1) Oeuvres Tom. I. pag. 231.

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