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E primamente quanto alle leggi di disciplina sufficientemente per noi è detto in un altra dissertazione, provando come in esse niuno abbia ingerenza, o potere, dalla Chiesa in fuori, e questo è più che sufficiente in risposta a questa prima ragione. Del pari l'idea del braccio forte nulla dice, o men che nulla. La civil compagnią ha la forza, e perchè? perchè è società, deve obbligare, non potrebbe diversamente raggiungere il suo scopo: e questo, in cortesia, si applichi alla Chiesa, e tantosto sorge per essa l'istesso principio. La Chiesa ha diritto a far leggi, dichiarare quel che debbasi o non debbasi fare; insiememente ha diritto a farsi obbedire, cioè a costringere, e costringere non che spiritualmente, anche corporalmente, e questo vale il dire come abbia il diritto a fare, con la forza, che si esegua la propria sentenza. Se nella Chiesa è dimostrato il diritto di obbligar con la forza, si richiede una forza equivalente, e per forza (in diritto) s'intende bene anche la gente armata a servigio della pubblica amministrazione. Non è via di mezzo: o ammettiamo nella Chiesa il punire solo spiritualmente, o anche corporalmente; ed in questo secondo caso non può non ammettersi questo diritto alla forza. Verrà momento in cui tornerà bene il non uso di cotesta forza istessa, conciossiachè in caso di richiesta al Principe secolare venga subitamente largita, e va bene; ma alla Chiesa non si può negare il diritto. Il perchè gl' istessi canoni spiegando le potestà nei Vescovi di punire i cherici, anzi l'obbligo di castigarli, permettono loro il ricorso, in caso di necessità, al braccio secolare; e dicono i canonisti come si possa anche obbligare con la censura il magistrato laicale, perchè presti la sua forza, il che appunto dimostra, questo diritto sia già nella Chiesa di Dio (1),

(1) I canoni all' oggetto si possono vedere nel primo libro delle Decre

I mezzi che attua l'inferno a fin di abbattere la Chiesa sono appunto le massime dei falsi politici che pongono in opposizione, come possono meglio, il Sacerdozio, e l'Impero. L'autorità dell' Episcopato si pretende mostrata come contraria all'autorità dei Regnanti, e nel potere da Gesù Cristo dato agli Apostoli si vuol trovare il germe dei disordini che turbano la pubblica felicità; ond'è che l'umana politica si crede in debito di riformar l'opera di Dio. Ecco in mezzo il bel dire che si appartenga al Principe ogni cosa del tempo, uguale all'altra espressione, che sia cioè del Principe l'intendere a tutto quello ch'è esterno e cade sotto i sensi degli uomini, essendo di lui il debito ed il diritto d' intendere al pubblico bene. È conseguenza di cotesti principi come null'altro si appartenga alla Potestà spirituale che l'orazione mentale e gli affetti del cuore, ed a patto che anche questi non s'esprimano a parole, chè altramente sarebbe cosa esterna,

tali al titolo XXXI ch'è preso da Giovanni I nel Concilio di Troyes (cap. Perniciosa, de offic. iudic. ordinar.), ai quali si concordano molti canoni raccolti da Graziano nel suo Decreto (a), da Gregorio IX nelle Decretali (b), e da Bonifacio VIII nel sesto (c); anzi da alcuni canoni e dal Tridentino Concilio questo aiuto vien leggiadramente denominato braccio secolare (d). Possono i laici magistrati essere stretti a concedere il braccio anche con le censure, come vien raffermato da dotti scrittori (non ligt della così detta Corte di Roma): si può vedere Salcedo in praxi cap. 150 ex num. 9 e 10, Carvaial. de iudiciis disp. 2. q. 7. n. 76, Vulteius de judiciis lib. 3. c. 13, e molti altri che riferisce Vela 2. part. n. 71; e segnatamente per i delitti dei cheriçi può vedersi Gonzales in primum decret. tit. 31. cap. 1. n. 18. Se il diritto è nella Chiesa, è il dovere nel Principe di prestare un siffatto aiuto, quando ne venga richiesto: qui, per amor di brevità, non è dato stenderci di vantaggio, arrecando le pruove.

(a) Can. Si quis pecuniam, 9. dist. Can. Nos, Can. Bene, 96. dist. Can. 1. 97. dist. Can. Petimus, 19. 11. q. 1. Can. Maximainaus. Can. Ab Imperatoribus, 23. q. 3.

(b) Cap. Quoniam, de offic. judic. ordin. cap. Postulasti, 21. de homicidio, cap. 2. Vero per temporalem, de maleficiis, cap. ult. in fine, de excessibus Praelator. (c) Cap. unic. S. ult. de statu regularium, lib. 6. cap. Ut officium II. P. depique de Haereticis, cap. Dilecto, 6, de sentent. excom. eodem libro.

(d) Cap. Quoniam, de offic. ind. ord. cap. final. de excessibus Praelat. Conc. Trident. sess, 25, de Regular. cap. 5.

o cosa del tempo, giacchè se la persona è del tempo, è del tempo ogni sua azione. La predicazione della parola di Dio, la decisione dei dommi, la professione della fede, il sacrifizio dell'altare, l'amministrazione dei sagramenti, il culto, l'ordinazione della disciplina, tutto è esterno, tutto del tempo. Se le persone ed i beni sono del tempo, dicesi nel sentimento come tutte le cose che si riferiscono loro siano anche del tempo, e tutte appar tengono al Principato: ecco un tratto svanita la Chiesa. Per il cattolico che la riconosce è da dire come non siano no del tempo tutte le cose che riguardano sì le persone ed i beni, ma non sono che mezzi per raggiungere l'eterno fine. A siffatto modo non si equivoca la Sovranità è posta da Dio nella sua Chiesa, e là debbono essere tutti i poteri, anche l'esecutivo, per asseguire lo scopo di se stessa, e poco monta che le persone e le cose, circa cui si versa il potere esecutivo, si dicano cose del tempo, conciossiachè con questa elastica parola non si possa togliere alla Chiesa quello che si appartiene ai suoi diritti.

L'ultima idea che include la prefata obbiezione è l'abuso dell' ecclesiastica autorità, è la così detta tutela del Principe a difesa delle ragioni dei popoli suoi. Tutti coloro che bramano togliersi alla meglio il dolce gioco di Cristo, ricorrono sempre al tema degli abusi; è dessa una parola magica su gli spiriti deboli che applicano di leggieri alle cose i vizi delle persone. Non può mica negarsi che vi siano, anzi che vi debbano essere gli abusi, sarebbe scempiezza il negarlo, stante la misera nostra condizione in faccia all' eternale sentenza di Cristo

Necesse est ut eveniant scandala.- Si abusa di tutto: l'abuso, come tarlo, s'inframmette anche nel bene. Non è cosa, dice l'istesso Voltaire (Tom.44.p.56.) sì innocente e semplice di cui non abusi la follia degli uomini. Anzi (Tom.49.pag.247.) replica che talvolta nel bene mag

giore sta la sorgente del male. Qual bene non è la filosofia, ed insieme quanto male non ha ella recato al Mondo? Abusono di loro autorità gli uomini tutti in qualunque società, ecclesiastica, o civile.

E cotesta mania di fare ch' entri la sovranità civile nella cognizione e repressione degli abusi del potere episcopale, è di vecchia data, ed oggi con i famosi decreti del 17 febbraio non solo sostiensi l' Exequatur nientemeno che fin nel seno del potere giudiziario di Santa Chiesa, che alla fin dei fini poggia anche su cotesto pretesto, ma è sanzionato altresì il ricorso ab abusu, di cui, Dio concedente, parleremo nei lavori seguenti. È desso un rimedio che non toglie ma lascia l'abuso, quando anche vi sia; e con un altro abuso certo e peggiore, perchè ingiurioso alla Chiesa, vuolsi porre rimedio ad un possibile abuso dell'episcopale potere. E nel vero: si colloca un cotal rimedio là nell'azione del potere politico, ma l'obbligazione che sorge da essa di che natura è, di grazia, spirituale o politica? Non può mica dirsi spirituale, dacchè nascer non potrebbe dalla sovranità dell' ordine civile; dalla volontà d' un legislatore politico non sorge obbligazione, il cui fondamento sta nella volontà del legislatore ecclesiastico; si avrebbono isso fatto due forze spirituali, la reprimente e la repressa, e quindi nella quistione due termini, l'un dei quali è inutile. Dunque rimane a dire che l'obbligazione sia affatto politica, e non s'intende come un obbligazione politica possa imporre un vincolo di natura essenzialmente diversa, non supponendosi o che il ministero supremo competente non vi sia, o che le sue attribuzioni siano state trasferite alla sovranità civile. Il dilemma è concepito così. Fa egli mestieri o che si nieghi un autorità superiore all'episcopale, e siam protestanti; o, ammessane l'esistenza, forza è che vada indiviso da essa il diritto di repressione questo diritto non po

tendo esser di due, l'inclusione di chi è ammesso a farne uso esprime l'esclusione di ogni altro. Dunque da cotesto sistema non emerge obbligazione di sorta, nè spirituale nè politica, e perciò il rimedio proposto non toglie, ma lascia intatti gli abusi (1).

Dar provvedimenti e leggi generali a prevenire gli abusi, fare schiava la Chiesa affin di non esporsi al pericolo di soffrir qualche torto, è fare un male certo e reale a danno dell' anima propria, per rimuovere un danno incerto, forse immaginario, che tutto tornerebbe poi a danno dell'anima di chi n'è la cagione. È dessa una prudenza da Cristiano? Il titolo più specioso che si para dinanzi a dì nostri è che il Principe sia Protettore e Vescovo esteriore, vindice e tutore delle ragioni dei suoi popoli; con questa qualità si cuopre qualunque usurpazione che si faccia dei

(1) Inoltre è bene osservare come a giudicar gli abusi faccia mestieri giudicar del dovere, cioè della dottrina contenente i doveri; un cotal giudizio all' Episcopato venne dato da Cristo, non alla sovranità civile. Vi ricorda che le due autorità sono distinte e indipendenti: ognuna di esse ha le sue attribuzioni, le sue regole, i suoi giudizi, i suoi ministri, che non possono confondersi, non confondendo insieme le autorità medesime, e distruggendo la loro indipendenza : sarà questo un abuso maggior di quello che vuolsi impedire. Nel caso dunque di abuso è aperta la strada del ricorso alle legittime potestà ecclesiastiche; il bellissimo ordine della Gerarchia, e la sovrana potestà del Papa, Capo della Chiesa, può e deve porre rimedio ai disordini, e contenere infra i giusti limiti l'esercizio delle potestà inferiori. E quando anche si giunga all'ultimo anello degli abusi è cosa ben saputa la teorica del Cardinal Bellarmino che (al lib. 2.cap.ult. ad 2. arg. de Auct.Conc.) dice At, inquiunt, ergo sola Ecclesia sine remedio manet, si habet malum Pontificem, et poterit Pontifex impune omnes vexare, et perdere, et nemo resistere poterit. Respondeo, non mirum, si manet Ecclesia sine remedio humano efficaci, quandoquidem non nititur salus eius praecipue humana industria, sed divina protectione, cum eius Rex Deus sit. Itaque etiamsi Ecclesia non possit deponere Pontificem, tamen potest ac debet Domino supplicare, ut ipse remedium adhibeat: et certum est Deo fore curae eius salutem, qui talem Pontificem vel convertet, vel de medio tollet, antequam Ecclesiam destruat. Nec tamen hinc sequitur, non licere resistere Pontifici Ecclesiam destruenti; licet enim cum servata reverentia admonere, et modeste corripere, repugnare etiam vi et armis, si Ecclesiam destruere velit. Ad resistendum enim, et vim vi repellendam, non requiritur ulla auctoritas. Vide de hac re Joannem de Turrecremata, lib. 2. cap. 106.

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