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romane Congregazioni, consultandosi l'oracolo della Santa Sede, che non sia dato a noi neanco il credere contro siffatte dottrine, comechè non sia infallibile il Papa, c'è un altra via ad aversi un cotanto bene? Dove, di grazia, la giustizia può esser renduta più esattamente che là ov'è il fonte d'ogni Sapienza? dove l'errore in dottrina non può presumersi che vi sia? dove di ordinario non si decide che solamente in diritto, come abbiamo detto dianzi? dove vuolsi che ogni decisione sia nientemeno che una legge, non v'è l'impossibilità ad aversi un'ingiustizia? Si ponderi bene che là il formare una legge, o l'interpetrare autenticamente quella che già preesiste (che val lo stesso a un dipresso) non è faccenda di poco momento: È saputo quanto studio ci pone e deve porci la Chiesa, la quale, come or ora abbiam detto, non è libera di fare una legge a piacimento in un senso o nell'altro, conciosiachè non possa non esser fedele a tutto il sistema di Religione, con cui ha più o meno un intimo rapporto ogni legge di Chiesa, e sopra cui non è certamente superiore la Chiesa istessa. Ora la Chiesa Romana mette tanta cura e sollecitudine a rendere la giustizia esaltissimamente, per quanto ne pone e n' ha da porre nientemeno che a formare e ad interpetrare una legge, che abbia da aver vigore per l'universa Chiesa: ed è cotesta una cosa di poco momento? Se è così, qual' è altro modo come aversi un cotanto bene? Da un lato non possono aver luogo i pericoli che sono nella civil compagnia sì tosto come il potere giudiziario si confonda col legislativo, e dall' altro a siffatto modo l'errore non è quasi possibile che penetri, sia considerando lo studio che pone la Chiesa, sia considerando chi sia il Papa, quando egli in diritto si faccia a decidere una quistione qualunque, e che poi ha da servire come autentica interpetrazione per l'universa Chiesa. Se dunque non è mica possibile aversi

per altra via una decisione che porti con seco il massimo grado di certezza nel raggiungere la verità, con quale fronte può proporsi soltanto ai fedeli di rinunciare, se anche sia possibile, ad un bene di questa natura? Fate conto che ogni Nazione faccia o possa fare lo stesso, ed ove sarebbe più l'uniformità della giurisprudenza, che poggia sul domma dell' unità? ed ove più si potrebbe avere quel massimo grado di certezza nel raggiungere il vero, come si ha nella Chiesa di Roma? Si confessi dunque che quelle poche parole del citato articolo, che tendono direttamente a porre la scisma nella Santa Chiesa, non sian degne di chi ancora senta nel petto una scintilla di cattolica fede.

III.

A vista dell' oracolo del Santo Padre, che ascoltano le romane Congregazioni, segnatamente nei dubbî di legge non anche risoluti (1), ed a vista della natura delle decisioni di esse, dacchè vuolsi come ognuna sia un autentica interpretazione, io non so in verità se in tutte le menti entri bene un cotale principio, e massime in quelle che abbiano per avventura una qualche lettura ai trattati di giurisprudenza civile, ove trovasi in ogni pagina dannato il principio d'ogni menoma confusione del potere giudiziario col legislativo, ed ove non trovasi sancito, nè per pratica ricevuto, di potersi avere come a legge interpre

(1) Il dotto Fagnano, che per lunghi anni fu Segretario della Congregazione del Concilio Quotiescumque, dice, emergentia dubia nondum decisa resolvuntur, ad praescriptum Constitutionis Sixti V de omnibus consuevit fieri relatio Papae a Cardinali praefecto, vel a secretario Con. gregationis, ut ipse diu observavi; licet id in declarationibus exprimi nec opus sit, nec semper soleat (ad caput Quoniam de Constitutionibus n.o 35).

tata la decisione qualechesiasi d'un Tribunale di Cassazione. L'oracolo del Santo Padre si ascolta sì, come vien usato per pratica, e già n' abbiam vista la necessità che emerge dalla divina costituzione dell'ecclesiastico potere, e n'abbiam visto ancora il vantaggio ad aversi così il massimo grado di certezza nel raggiungere il vero, e quin¬ di ad aversi la vera giustizia. Già, avvegnachè non fosse vantaggio veruno, ed anzi ammessosi anche un danno, avrebbe a rispettarsi un cotal sistema sol per la ragione d'essere un elemento d'intima relazione con la costituzione divina dell' ecclesiastico potere : non dal principio di legge, dicono talvolta gl'istessi giuristi civili a fronte di qualch' inconveniente che veggono e non ponno allontanar dalla legge, ma sì viene il danno dalla costituzione stessa dello Stato, e quindi non è che farci. E, dove bisognasse, non potrebbesi dir lo stesso anche per la Chiesa ? ..... Già di danno nel nostro sistema non ce n'è punto nè poco, come abbiam dimostro, e, si ponga ben mente, anche oggi la civil compagnia nel giudiziario amministrativo non assume che l'istesso principio, conciossiachè sia quivi il potere giudiziario confuso onninamente col legislativo. Quando la decisione di una lite, dice un ultimo scrittore di civil procedura, può nuocere o giovare all'intero Regno, o ad una maggiore o minore parte di esso... è il Re che deve ad un interesse non privato, ma pubblico provvedere (1), La quale ragione è debole troppo, conciossiachè al Re debba interessare, ugualmente almeno, sia ogni lesione che possa intervenire contro la pubblica amministrazione a fronte d'un privato interesse e sia ogni lesione all' intelligenza di qualunque siasi legge nel rendersi giustizia; perchè dun

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(1) E il sig. Fabbiani che parla siffattamente nell' opera sua, ma è da confessare come oggi l'universa scuola in giurisprudenza appunta di antilogico cotesto sistema.

que in quest'ultimo caso si grida all' abuso, e non ugual mente nel primo, qualora veggasi il potere giudiziario confuso col legislativo? Nel resto, se pur valesse questa ragione, è da sapere che alla Chiesa interessa gran fatto l'unità dell' intelligenza d'ogni sua legge, più di quello che interessi o possa interessare all'umana società ogni quistione quanto a materiale interesse; ed ognuno, che anche mezzanamente sia istruito nei primi elementi di nostra sacrosanta Religione, vede chiaro la ragionevolezza di questo principio, Arroggi anzi, o benigno lettore, che nientemeno nel giudiziario amministrativo è il Re giudice e parte, massime in un governo assoluto, onde non converrebbe giammai siffatta confusion di poteri ; anzi giudica il Re il fatto insieme ed il diritto, e giudica nel diritto (cosa da scandolezzare la civiltà moderna), non richiedendo nemmeno che la decisione valga a legge d'interpretazione autentica se avesse a valere ad interpretazione autentica di legge, l'arbitrio non si eliminerebbe il più che sia possibile? Or dunque e può essere giureconsulto, che facendo anche astrazione dalle ragioni di ordine superiore, si meravigli e si possa meravigliare del sistema santo di sentirsi l'oracolo della Santa Sede dalle Romane Congregazioni? Si può meravigliare, io dico, se nel seno della civiltà moderna nel giudiziario amministrativo si osserva l'istesso sistema? Se dunque un cosiffatto sistema, ch'è nella Chiesa, oltre dell' esser giusto per ragioni tutte divine; è giusto altresì per umana ragione, posciachè vedesi lo stesso nell'amministrativo del civil potere, con qual diritto può pretendersi che venga eliminato, sol perchè non piaccia all'onorando Consiglier Mancini! Ma egli nelle tenebre di quella notte memoranda, in cui vennero compilati i famosi decreti, pensò bene alla ragionevolezza e santità di questo sistema, che soltanto per suo capriccio volca si eliminasse in queste contrade! Ahi! ma fosse,

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perchè dev'esser libera la Chiesa? I gonzi ove sono di grazia, che s'ingozzano i paroloni di questa natura? (1)

IV.

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Due idee parmi che siano a chiarirsi, perchè non rimanga equivoco o dubbio su tutto quello ch'è detto fin qua. Si ascolti l'oracolo della Santa Sede come s'è detto; ma è dessa una pratica senza più, comunque santa e giusta, o è a dirsi un elemento necessario, perchè vaglia la decisione delle romane Congregazioni? Sull'esistenza di siffatta pratica non è dubbio veruno, ordinariamente, quanto ai casi difficili e non anche risoluti, ma quanto alla necessità di essa, come richiesta per diritto, non può darsi una risposta che valga per tutte le singole romane

(1) Oggi va nelle bocche di tutti, dotti ed ignoranti, il principio= Libera Chiesa in libero Stato Ma gli atti governativi vanno uniformi a cotesto principio? i famosi decreti del 17 febbraio, per figura di esempio, ne sono eglino una pruova ? Quando io lessi che nietemeno un Passaglia gridava a favor dei suoi clienti Immo liberam ecclesiam in libero statu proclamant =, inorridii; ma son le parole che debbono bene acconciarsi in bocca, o sono i fatti e le leggi che debbono governar la vita ? Ahi! confessiamo pure che la passione accieca l'intelletto, e toglie il senno: cosiffatta discordanza tra coteste parole ed i fatti venne provata abbastanza dalla cattolica penna di Montalembert. Però un cosiffatto principio, lasciando dall' un dei lati la buona o cattiva fede di chi oggi ad ogni piè sospinto lo manda innanzi, egli è certo com'esso possa in sè contenere sensi giusti, ed anche sensi ingiusti. La Chiesa libera in uno Stato libero! s'intendesse l'antilogica onnimoda separazione fra lo Stato e la Chiesa? in che modo con la sua libertà deve star nello Stato la Chiesa? e perchè non è a dirsi che lo Stato, libero, debbe star nella Chiesa, libera anch'essa? Ed in verità se oggi una penna dotta, bene innanzi nello giure pubblico ecclesiastico (ch'è quanto dire nelle relazioni fra la Chiesa e lo Stato ) si versasse su questo tema, farebbe cosa utile a ben dei fedeli: pare che anche qualche buon cattolico non dia poi in tutto nel segno, almen con molta precisione, e svolgendo il principio in tutta la sua estensione; vi ricorda che fu questo un degli errori del Lamenais, che sventuratamente ebbe a comune con qualche buon cattolico, per quanto or ora me ne viene alla mente, ed anzi là in qualche atto del dotto Gregorio XVI contro il detto Lamenais debb' essere un cenno di quest' errore, ed una parola di confutazione.

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