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III.

I primi tre secoli della Chiesa furon di persecuzioni, di guerre, di triboli, di spine, ed ognuno il ricorda; ed oggi nei tempi che corrono, la mercè dei rivoluzionarî, n'abbiamo un bel saggio, da cui può argomentarsi leggermente quale fu quella bella stagione, in cui solamente si specchiano i nemici di Santa Chiesa, a non ammettere altro diritto od altra ragione, fuor da quella che in allora si usava. Buon per noi, ripeto, che il nostro diritto è provato lucidamente là, come in esercitazione, fin nei primi secoli della Chiesa! Tanta fu la persecuzion di essa in quella stagione, che non tornava facile, come si sa, l'assembrarsi in Ecumenico Concilio. L'anno 247 fu il Concilio di Sardica (comechè non il primo), quel gran Concilio ch'è fatto segno a mille quistioni, quanto al diritto che sosteniamo: esce fuori un de Marca, per figura di esempio, e si stilla il cervello a provarlo, almeno, come non ecumenico ; ma dapprima, sgraziatamente per lui, il sig. David ed i Ballerini ne dimostrano l'ecumenicità a piena pruova; e poi in linea subordinata (usando la frase forense) non si accorge egli, e la sua scuola, come siffatto argomentare vada contrario per diretto a quel ch' egli pretende di sostenere? Dio buono! e non supposto ecumenico quel gran Concilio, come poi si potrebbe più sostenere da essi (sempre erratamente, spieghiamoci) che cotesto diritto tolga la sua origine solamente dai canoni di questo gran Concilio? Non è ecumenico, e la Chiesa universale piglia norma da esso fin dal principio del quarto secolo? Non è ecumenico, ed il Papato nella serie di sedici secoli si trova in esercizio d'un diritto che soltanto da esso gli viene? Ponga ben mente, chi è della scuola del de Marca, che quì lo sproposito è grosso, ma è quistione

che saltiamo a piè pari, conciossiachè ci sembri che possa tornare a noia dei lettori: peraltro ne parlano assai gli autori cennati, e ne parlano bene; a noi basta quì, senza più, di rimetterci ad essi. E lasciando dall' un dei lati questa inutile quistione dell'ecumenicità o non ecumenicità di quel gran Concilio, è da sapere che i nemici della Santa Sede raccolgono tutte le forze a comprovare come questo diritto delle appellazioni non sia, nè più, nè meno, che una concessione fatta dal prelodato Concilio. Il Febbronio è il più acerrimo difenditore di quest'errore, che dal dotto Zaccaria è confutato magnificamente: Natale Alessandro, quel dotto scrittore che sulla veracità di alquanti fatti speciali di appellazioni porta coraggiosamente una opinione contraria a quella ch'è comune, prova bene assai questo diritto, come divino, nella Santa Sede, ed occupa molte pagine sulla tesi formolata ne' termini Ius appellationum ad Sedem Romanam a Synodo Sardicensi non est institutum, sed confirmatum. non è mica una concessione di quel Concilio, ma è una ricognizione e riferma d'un diritto che preesiste già divinamente, nella Santa Sede: non incresca leggere qui a verbo quei canoni, che, come è risaputo, si ritengono anche nella Chiesa come un appendice a quelli del general Concilio Niceno. Là dunque lo sguardo, ponderiamoli, e ci convinceremo tantosto di siffatta verità, che interessa, oh quanto! alla Chiesa di Dio.

No,

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Il primo canone (ch'è il terzo nella raccolta di Dionisio) è conceputo nella forma seguente-Se alcun Vescovo sia stato in qualche causa giudicato (cioè condannato e deposto dal Sinodo della Provincia) e sia persuaso di avere una buona causa, sicchè voglia un secondo giudizio, se a voi piace, diasi alla memoria o alla Cattedra di S. Pietro quest' onore, che dai Vescovi i quali esaminarono la causa dianzi, si scriva a Papa Giulio, affin

e

chè se ei giudica a proposito di rinnovare il giudizio, sia rinnovato, e da lui siano i giudici destinati (tra i Vescovi confinanti, secondo i canoni). Ma se a lui non pare tal essere quella causa, che meriti d'essere nuovamente discussa in un solenne giudizio, si avrà per confermata la prima sentenza (1).—Quì su questo canone si addottorano i nemici di Santa Chiesa, e là in quelle proposizioni se a voi piaceonoriamo la memoria di S. Pietro veggono esplicitamente che la concessione sia nuova venga il diritto da cotesto Concilio, non già dal giure divino. Ma innanzi tratto sarebbe a provarsi che questo canone appunto sia quello che rifermi il diritto delle appellazioni alla Santa Sede: bene è vero che qualche scrittore, come il Bolgeni nell' opera l' Episcopato, l' arrechi in tal senso, ma erratamente; come può dirsi che si parla di appelli in un canone che ordina ai Vescovi, i quali han data la prima sentenza, di scrivere al Papa per un secondo giudizio? L'appellante scriverebbe da sè, e non vi sarebbe ragione in contrario, se quì avesse ad intendersi di appello a stretto rigor di linguaggio: quindi Papa Zosimo, se vi ricorda, quando volle provare agli Affricani nell'istruzione che diede ai suoi legati, che il diritto delle appellazioni alla sua Sede era stato confermato dai Padri di Sardica, citò non il canone terzo, in parola, ma il settimo. Quel metodo si statuiva nel Concilio Sardico per un secondo giudizio, che omai avesse dimandato un Vescovo già condannato una volta. Il quale secondo giudizio, giusta il canone XIV degli Antiochesi ed altri canoni

(1) Si aliquis Episcoporum iudicatus fuerit in aliqua caussa, et putat se bonam caussam habere, at iterum Concilium renovetur; si vobis placet, S. Petri Apostoli memoriam honoremus, ut scribatur ab his qui caussam examinarunt, Julio Romano Episcopo: et si iudicaverit renovandum esse iudicium, renovetur, et det iudices. Si autem probaverit talem caussam esse ut non refricentur ea, quae acta sunt, quae decreverit confirmata erunt. Si hoc omnibus placet? Synodus respondit: Placet.

ancora, avea a farsi dai Vescovi confinanti: quindi i PP. reverendi di quel Concilio vollero che anche in tal caso si scrivesse al Papa per la designazion dei giudici: siffatt' onore (nel secondo giudizio, badi, e non in ultimo appello) non che al Metropolitano, il vollero anche tribuito al Romano Pontefice a vista del Primato di giurisdizione, che è in lui, sull' universa Chiesa. E che ha dunque che fare un cotal canone col diritto degli appelli in ultima istanza alla Santa Sede? Sì a ragione in questo sol canone, come hanno egregiamente osservato i Ballerini, si usò da quei Padri la formola memoria del Santo Apostolo Pietro-; non l'usarono là, ove si parla delle appellazioni, cioè nel canone seguente. Questo canone riconosce anzi implicitamente il diritto delle appellazioni al Papa, come anche quello omisso medio.

onoriamo la

Il canone quarto quando alcun Vescovo, dice, che fosse deposto per giudizio di quei Vescovi, che trovansi nei luoghi vicini (parla quì del secondo giudizio, conciossiachè questo appartenga ai Vescovi delle Provincie) dichiarerà che la causa sia trattata a Roma (ecco il terzo giudizio), dopo l'appellazione.... non sia nella sua Cattedra alcun altro Vescovo ordinato, se prima la causa non sia diffinita nel giudizio del Vescovo di Roma (1)Ecco chiaro ed esplicito l'appello alla Santa Sede; quì non è quistione a farsi circa l'interpretazione del testo, conciossiachè sia chiara abbastanza, e non si accenni alla novità del diritto, ma esso si dichiara semplicemente: si parla della prima, della seconda istanza, e poscia delultimo appello al Papa: può dirsi come in questo ca

(1) Gaudentius Episcopus dixit: Addendum si placet, huic sententiae quam plenam sanctitate protulisti; ut cum aliquis Episcopus depositus fuerit eorum Episcoporum iudicio, qui in vicinis locis commorantur, et proclamaverit agendum sibi negotium in urbe Roma: alter Episcopus in eius cathedra post appellationem eius, qui videtur esse depositus, omnino non ordinetur, uisi caussa fuerit in iudicio Episcopi Romani determinata.

none solamente si parli di questo diritto sacrosanto, perocchè nel canone seguente (che sarebbe il quinto nelle raccolte latine) è parola di ben' altro diritto che si riconosce là nel Primato istesso della Santa Sede. - Se alcun Vescovo deposto dai suoi colleghi della stessa Provincia (così appunto nel canone quinto, e vedesi chiaro come si parli del primo giudizio) appellerà e ricorrerà al Vescovo della Chiesa Romana, e vorrà essere da lui udito, quando questi reputi giusta cosa di rinnovare il giudizio, e l'esame della causa di lui, si degnerà di scrivere ai Vescovi più vicini, affinchè, discusse attentamente tutte le cose, pronunzino una giusta e verace sentenza. Che se il Vescovo supplicherà il Papa a mandare sul luogo alcun Prete col titolo di suo legato, egli farà quello che gli parrà, e qualora si risolva di spedire i legati, che di suo nome ed autorità giudichino con i Vescovi (circonvicini, dei quali era il secondo giudizio) il potrà fare; ma se a por fine alla causa crederà bastare gli stessi Vescovi (delle vicine Provincie) farà quello che giudicherà meglio secondo il suo prudentissimo consiglio (1).—Il le canone, come vedesi, non parla se non di quello ch'è a farsi nella seconda istanza, ed anche in questo voglion rendere, i Vescovi del Concilio, un omaggio alla Santa Sede; è quì da osservare solamente qual rispetto eglino,

qua

(1) Osius Episcopus dixit: Placuit autem ut si Episcopus accusatus fuerit, et iudicaverint congregati Episcopi regionis ipsius, et de gradu suo eum deiecerint; si appellaverit, qui deiectus est, et confugerit ad Episcopum Romanae Ecclesiae, et voluerit se audiri; si iustum putaverit, ut renovetur iudicium, vel discussionis examen, scribere his Episcopis dignetur, qui in finitima et propinqua Provincia sunt, ut ipsi diligenter omnia requirant, et iuxta fidem veritatis definiant. Quod si is, qui rogat caussam suam iterum audiri, deprecatione sua moverit Episcopum Romanum, ut de latere suo Presbyterum mittat; erit in potestate Episcopi, quid velit, et quid aestimet. Et si decreverit mittendos esse, qui praesentes cum Episcopis iudicent, habentes eius auctoritatem; a quo destinati sunt; ut negotio terminum imponant; faciet quod sapientissimo consilio suo iudicaverit.

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