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per la massima parte orientali, si abbiano per il Romano Pontefice, e come riconoscano a ben chiare note l'autorità di lui. V' ha degli scrittori però, ed infra gli altri il Bolgeni nell'opera l' Episcopato, che allegano questo canone quinto in fede del diritto delle appellazioni al Papa, che intendono provare; ma errano sì con siffatta pruova, conciossiachè esso non parli che della seconda istanza, e non già dell' ultimo appello. C' incresce poi grandemente leggere nel Bolgeni istesso un picciol comento al prelodato canone quarto (or ora esposto di sopra) in dicendoQuesto canone...prova ancora che dopo la seconda istanza, e la decisione Episcoporum qui sunt in vicinia, v'è luogo all' appellazione al Papa, il quale interverrà al giudizio per presbyteros missos a proprio latere, come si disporrà nel canone seguente (ch' è il quinto) No, si sbaglia il dotto Bolgeni (dotto, spieghiamoci, ma non nell'opera postuma sui limiti delle due potestà), giacchè nel canone seguente (il quinto) è parola solamente, ripeto, sul modo ch'è a tenersi nella seconda istanza, e non si parla punto dell' ultimo appello se fosse per poco così, come confusamente si spiega il Bolgeni, ci avremmo già dinanzi un Consiglier Mancini, che forse alla fin dei fini su questa base falsa, e con in mezzo qualche altro principio antilogico e falso (che non è certo nel Bolgeni), pretenderebbe, fino ad un dato punto, non avere il maggior torto del mondo; e si troverebbe molto leggermente nei dì che corrono un altro difensore, simile, ad esempio, al sig. de Rinaldis, il quale si recherebbe a debito di coscienza di provare da prima come non sia un gius divino quello delle appellazioni al Papa, e che il Concilio di Sardica sia quello che l'abbia concesso, non già confermato o riconosciuto posta la quale base (comechè antilogica e falsa, ma oggi non monta), si andrebbe subito alla conseguenza, come i giudizî siano a fornirsi là ove ab

biano cominciati, muovendo anche dall' altro falso principio, contro le parole testuali, che il canone quinto parli delle appellazioni ultime, e che sia spiegativo, anzi ristrettivo di quello ch'è già statuito nel canone quarto. Che ve ne pare?

IV.

Ho detto che il Consiglier Mancini troverebbe un appoggio là implicitamente nell' opera del Bolgeni in quel discorso confuso che fa egli interpetrando i canoni cennati; ma però, si ponga ben mente, questo dotto scrittore muove dal principio, vero e sacrosanto, d'essere un gius divino quello delle appellazioni al Santo Padre, e quindi quel suo equivoco linguaggio sui canoni non potrebb' essere giammai un appoggio, qualechesiasi, a quel settimo articolo del primo decreto, ch'è contrario per diretto, sostanzialmente, al diritto divino. Su via, un occhiata poi a tutti i secoli passati, e non c'è errore, non c'è eresia, non c'è guerra contro la Chiesa, di cui nella storia non si trovi un riscontro in qualch' eretico, in qualche nemico di Santa Chiesa; ma ben'altro è un riscontro negli eretici o nemici spacciati, ed altro è l'atto governativo che sanzioni la costoro nequizia, il cui esempio, nel diritto di cui parliamo, non se ne vede traccia in tutte le storie, ed anche in quelle di tutte le rivoluzioni, qualichesiano state, in qualechesiasi parte del mondo. E sì solo fra quegli antichi scrittori (o nemici spacciati di Santa Chiesa, o eretici del tutto) potrebbe consolarsi il sig. Mancini di rinvenire qualche sostrato, ben ristretto e lontano, alle sue false idee, dove non si trattasse già di ordine governativo, ma soltanto d'una quistione di scienza. E qui mi par bene di ricordare in proposito quella

lettera d' Incmaro a Papa Giovanni VIII, scritta a nome di Carlo il Calvo, che pazzamente interpetrando questi canoni Sardicensi forse fino ad un cotal punto potrebb'essere un argomento in mano al Consiglier Mancini, ed a tutta la scuola che gli tien dietro; sgraziatamente però ha da combattere col sig. David (1), col dotto Natale Alessandro (2), e coi Ballerini (3), che la sostengono falsa. Allo sciagurato Incmaro tien dietro quel gran galantuomo del Febbronio, se vi ricorda, del secolo passato, i cui scerpelloni in un cotal modo potriano essere giovevoli alla presente rivoluzione in mano del prelodato Consiglier Mancini. Costui anche, così come Incmaro, sproposita a meraviglia sui canoni Sardicesi. Nella Santa Sede null'altro è, egli grida, che un giudizio di revisione; nella Santa Sede null' altro è, e calza il suo dire, dal diritto in fuori di commettere i nuovi giudici là in quella Provincia, ove la causa è cominciata. Ma, di grazia, e come próva queste fantastiche idee? le pruove, signori, sono le più pazze del mondo, e somigliano bene oggi ai tempi che corrono. Primamente non si parla già di diritto divino, come se non fosse, e questo già s'intende bene : tutto lo studio del Febbronio e le stiracchiature maravigliose sono là nelle parole dei canoni citati. Con un tuono tutto magisteriale, e proprio di chi intenda ingannare i gonzi e le masse, grida questo corifeo dei nemici di Santa Chiesa come là nel quinto canone il termine appellare vada in un sentimento improprio, ed egli ha cavato questo gran tesoro dal testo greco. Scusi il Consiglier Mancini, seguitatore (senza neanco saperlo) di questa falsa dottrina, se due gravi spropositi siano quì da osservare; il testo greco non è a preferirsi al testo latino,

(1) Des ingements canon. chap. VIII. art. 1.

(2) In hist. Eccles. saec. IV. dissert. XXVIII. prop. 11. (3) Observat. in I. part. diss. V. Quesnell. cap. VI.

conciossiachè qui in questo caso l'un testo e l'altro possa dirsi forse originale, come si sa (1): ma poi è egli vero, come così s'interpetri il testo greco? no, sig. Mancini, è un mendacio del vostro duce e maestro Febbronio, o, almeno, una grassa ignoranza: la particella &ores non vuol dire qui quasi, ma come piuttosto, o così, sicchè abbia un sentimento spiegativo del confugerit, che segue (—appellerà, e ricorrerà al Vescovo della Chiesa Romana ponete mente a siffatte parole, che sono nel canone quinto esposto di sopra), e dir voglia come questo ricorso abbia forza di appellazione, e sia fatto come appellante, cioè donep ἐκκαλεσάμενος (2).

Ma credete forse che si resti quì il caro Febbronio? no, ed una logica di siffatta maniera partorisce sempre nuovi argomenti. L'appellaverit, nel canone quinto, non è indiritto al Romano Pontefice, dice questo grande scrittore, ma sì bene al nuovo giudizio che s'intende fare: ad aprir la bocca che ci vuole, caro signore? quell' et

(1) Zaccaria dice il testo latino è originale del Concilio, quanto sialo il greco, anzi primamente fu scritto quello, non questo; però almeno è d' uguale autorità e l'uno e l'altro, nè veggo perchè piuttosto non si debba il greco interpetrar dal latino, che il latino dal greco. =

(2) Il dotto Bianchi al Tom. V. part, I. dice= Ma queste travolte riflessioni del Dupino rimangono espressamente atterrate dal tenore stesso dei canoni Sardicensi, dai quali il ricorso dei Vescovi condannati da'Sinodi al Romano Pontefice si dice in proprt termini appellazione: e ciò non solamente secondo l'edizione di Dionisio il Piccolo, la quale è la buona, e la genuina, essendochè i canoni del Concilio di Sardica furono originalmente scritti in latino, come attesta lo stesso Dionisio nella lettera a Stefano Vescovo di Salona; ma ancora secondo la greca edizione, la quale non essendo autentica, ed in molte parti discordante dalla latina, pure in questa parte nel chiamare appellazione il ricorso de' Vescovi condannati da' Sinodi al Romano Pontefice è con quella concorde. E benchè Genziano Erveto interpetri quelle parole ὥσπερ ἐκκαλεσάμενος, veluti appellans ; non è il senso però, che questo ricorso o confugio al Romano Pontefice non sia appellazione, ma quasi appellazione: posciachè quella particella OTEρ non vuol dire quasi, ma vuol dir piuttosto come, o così; dimodochè abbia senso spiegativo di quello, che siegue, cioè confugerit; e voglia dire, che questo ricorso sia, o abbia vigore di appellazione, e come appellando ricorra, ec.

che congiunge l'appellaverit col confugerit (si appellerà, e si ricorrerà al Romano Pontefice: son le parole del canone) non fa riferire l'appellaverit al Sommo Pontefice? ci vuole la logica sua per interpetrare siffattamente, e ci volea la logica rivoluzionaria del 1860 che, non sapendo neanco di siffatte quistioni, avesse dato un' esempio al mondo, ch'è nuovo, con l'articolo settimo del primo decreto.

Ed in verità, quanto più si considerano siffatti spropositi madornali del Febbronio, o di chi li segue, non si comprende come possano escire di bocca a chi possa pretendere essere ancora un uom che ragiona. Ed il Papa non debbe fare altro che inviare i giudici? Ma guardate là, di grazia, a quell' istesso canone terzo, bistrattato da lui con le sue strane e pazze interpetrazioni, e quivi si legge come stia al Papa o far rinnovare il giudizio in seconda istanza, o di rifermarlo — Quae decrevit, confirmata erunt. Dunque la diffinizione della Sinodo Provinciale toglie la sua forza dal decreto e dall'autorità dell'Apostolica Sede: e la potestà di rifermare siffattamente i giudizî dei Sinodi vuol dire solo una facoltà di commettere i giudici? Il Papa ha il diritto, giusta le parole testuali di questo canone, di rifermare i giudizi dei Sinodi, e per conseguente ha quello ancora di poter annullare siffatti giudizî: son desse facoltà reciproche, di cui non sta l' una senza l'altra e tutto questo è facoltà di commettere i giudici? Là, di grazia, un occhiata anche al canone quinto, e si leggerà scritto — si degni il Papa quando voglia permettere un secondo giudizio ai Vescovi vicini, giusta i canoni: e quel si degni dice come punto non si prescriva legge al Papa, ma gli s'insinui solamente un modo più facile a spedir le cause nelle Provincie. Là in quell' istesso canone si legge ancora, come stia al Papa l'inviar legati all'oggetto, avvegnachè si

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