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Satan, les uns au temps de la naissance de J. C. les autres au temps de sa passion, et les autres enfin au temps de la déstruction de Jérusalem, quelque explication que nous suivions, toujours trouvons nous qu'à la fin de ces Mille ans a regné quelque PAPE, en la personne du quel, par la confession même de ses créatures, SATAN a été reconnu delié, et l'Anti-Christ manifesté. On trouvera même qu'en tous ces trois périodes se sont rencontrés des Papes, qui, pour mieux faire voir le Diable delié en leur personne, ont exercé l'art magique, comme le prouve même le cardinal Benno, témoin irréprochable chez messieurs de Rome, dans la vie d'Hildebrand. Car, à commencer les Mille ans au temps de la naissance de J. C., la fin de ce temps est punctuellement échue au temps de Silvestre II, du quel dit le même cardinal qu'il est sorti de l'Abîme, par la permission de Dieu, tôt après les Mille ans du deliement de Satan achevés.-C'est ce que confirme aussi Platina dans la vie de ce Pape; Nicolaus Lyranus In Morali Glossa &c. Albericus Monacus, et plusieurs autres." E così segue a provare degli altri due indicati tempi, nelle persone di altri papi posteriori, finendo con Gregorio VII, di cui scrive: "C'est ce Pape (au rapport de Conradus Abbas Uspergensis, en sa cronique sous la dite année 1080) que les évèques du concile de Brixinie qualifient le faux moine, le prince pestifère de toute abomination." Op. cit. pag. 146, e segg.

E non udimmo ai dì nostri ripetere seriamente queste stesse dottrine da protestanti, dottori in divinità, e sulle cattedre e sui pergami, ed a voce ed in iscritto?

Così in cento diverse guise, fu svelatamente insegnato in faccia al mondo ciò che altra volta era il profondo segreto di quelle tante sette, nelle quali si tenea nascosta la riformata chiesa; e le quali andavan serpeggiando per l' Europa tutta, avendo per lor nido principale il mezzodi della Francia, da dove si erano sparse per l' Italia intera, in cui erano comunemente appellate sette di Lombardi e Paterini, come si ha dagli storici". E da gran tempo vi erano, per sicure testimonianze, che le riconoscono ivi fin dal Mille.

Quel Mille, indicato dalle sacre carte, può segnarsi come il grand' anno climaterico dell' Europa. Chi si rammenta di ciò che dicemmo al principio di questo capitolo, dove mostrammo che l'Apocalisse con le sue profetiche figure, e Roma con le sue riprovate azioni (ambe per quasi fatale accordo, e per armonia prestabilita, così a capello corrispondenti) furono

"Patarins, on donnoit ce nom aux hérétiques Albigeois." Millot. hist. de France, vol. ii. pag. 52.

cagione delle espresse opinioni de' popoli, e queste delle note crudeltà de' papi, vede manifestissimamente che in quel Mille appunto dovea cominciare la crisi funesta, che tenne poscia in tanta convulsione, e come in prolungata agonia, tutto il corpo della Cristianità per varj secoli seguenti. Ogni vero cattolico non può fare a meno di piangere sullo sbaglio funestissimo della Chiesa Latina, che nella persecuzione altrui preparò la propria perdita irreparabile. Ingiuriosissime erano quelle opinioni, non può negarsi; ma qual consiglio fu quello di volerle sradicare per un mezzo che rendea più tenaci e profonde le loro radici? L' Apocalisse profetò che il delegato di Satana avrebbe usato orribili crudeltà, e il Papa per non farsi credere tale usò orribili crudeltà: l' Apocalisse dice che Babilonia si sarebbe innebbriata del sangue de' martiri di Cristo; e Roma per non farsi tener per tale s'abbeverò a gran sorsi in un lago di sangue cristiano! Due milioni d'infelici sacrificati al risentimento di Roma, sino al 1650 in circa, si contano da alcuni storici. E questo era il mezzo di smentire coloro che credevano aver l' Evangelista mirato in ispirito la sanguinaria potestà papale nello scrivere " Et vidi mulierem ebriam de sanguine sanctorum et de sanguine martirum Jesu! -Vidi sub altare animas interfectorum propter Verbum Dei, et propter testimonium quod habebant, et clamabant voce magna, dicentes: Usquequo, Domine, sanctus et verus non judicas et non vindicas sanguinem nostrum de iis qui habitant in terra!" xvii, 6-vi, 9.

Il meno che può dirsi contro alla Chiesa Romana, per ciò che allor fece, si è che mancò di prudenza: virtù di cui s' impossessò la parte avversa che ne fece un' arme di ben alta vendetta, tanto più tremenda quanto meno avvertita. Troppo debole incontro a cotanto vigore, ella oppose alla forza l'ingegno; non bastando per una guerra aperta, si determinò di farla mascherata. Il seguente capitolo, anzi tutto il resto dell' opera mostrerà con quai mezzi ella vi riuscì.

CAPITOLO II.

LINGUAGGIO SEGRETO CONTRO ROMA.

Lo storico inglese Matteo Paris rapporta sotto l'anno 1243, regnante Federico II imperatore, una lunga lettera latina di un disertore della setta, nomato Ivone di Narbona, diretta a Giraldo, arcivescovo di Bordò; nella qual lettera il Narbo

C

nese narra che, perseguitato come Patarino nel suo paese, fuggì in Italia, dove fu cordialmente accolto, e generosamente soccorso in Como, da segreti consettajuoli cui si diè a conoscere; ch' ei li trovò sparsi in tutte le città per dove passò; che fè loro giuramento di andar facendo l' apostolo della loro dottrina, per persuadere altrui che la fede di Pietro (intendo del Papa) non mena a salvazione; ch' eglino aveano comunioni ben rette e vescovi regolatori; ch' ei seppe da loro molti affari della setta, e fra gli altri ch' ella mandava a sue spese in Parigi discepoli docili, da varie città di Toscana e da moltissime di Lombardia, per impararvi l'arte di servirsi delle sottigliezze della logica e della teologia, a sostegno della loro dottrina; che mercatanti settarj giravano per le fiere, onde far proseliti alla loro scuola; che quando, partito da Como, passò per Milano, per Cremona, per Venezia, ecc. sino a Vienna, fu sempre riconosciuto ed accolto per mezzo di segni: Semper in recessu accepi ab aliis ad alios, INTER SIGNA a.

L'Ab. Pluquet d'accordo: "Vers le dixième siècleb ils se repandirent dans l' Italie, et eurent des établissemens considérables dans la Lombardie, d'où ils envoyerent des prédicateurs qui pervertirent beaucoup de monde." Ciò dice degli Albigesi o Patarini, i quali, com' ei soggiunge, credevano nel regno visibile di Satanno sulla terra. Dal che si ritrae che quella credenza era comune a innumerevoli persone, le quali per conseguenza dovevano avere un comun linguaggio; e che l'avessero sarà in appresso sino all' ultima evidenza dimostrato, e da lor medesimi confessato. Che avessero arcani segni l'udimmo; che avessero linguaggio peculiare la ragion lo persuade, la lor confessione lo conferma, e l' esame lo renderà indubitabile: non v'è segreta setta che non abbia gli uni e l'altro. Essi medesimi ci diranno qual era un tal linguaggio, e ce ne esporranno minutamente le regole; e vedremo con qual arte fina e impercettibile lo maneggiavano, affinchè alcuno non se ne avvedesse, giacchè si trattava della vita. E qual poteva essere una tal arte? Anche prima che essi ce l' insegnino, possiamo indovinarla. L'art de parler allégoriquement par figure est une ruse assez naturelle à l'homme d'esprit, scrive rettamente Legrand d' Aussy. L'uomo vi si appiglia quasi sempre in tempo di persecuzione, quando il desiderio di dire il vero, perchè può giovare agli oppressi, e il timore di dirlo, perchè può irritare gli oppressori, non lascia altro ripiego che quello di dirlo velatamente. Chi geme sotto il giogo ci capisce sicuramente.

a Vedi le parole dello storico nella nota (C), alla fine del volume. b Vedi circa il Mille quello che qui innanzi dicemmo.

Vedremo che un tal parlare allegorico si fondava sulle idee allor dominanti, le quali erano di due classi, le profane e le sacre. Quindi ne derivavano due serie di pitture mistiche, le mitologiche e le bibliche, per mezzo delle quali poteva dipingersi il mondo sotto due aspetti, qual era, e qual si bramava. Le mitologiche danno ingegnosi contrapposti, come l' età del ferro e l'età dell' oro, la valle ima de' vizj e l'eccelso monte della virtù, l' Averno e l' Elisio, ed altre simili poetiche immaginazioni. Le bibliche non ne danno meno: tale è lo stato di Adamo innocente e di Adamo peccatore; l'uno nell' Eden beato sulla sommità d'un monte rischiarato dal sole, pieno di fiori, frutti e miti animali; l'altro in questa valle di lagrime, orrida per tenebre fitte, e triboli e spine e voraci belve; di là pace, abbondanza, vita, letizia, felicità; di quà guerra, povertà, morte, tristizia, miseria. Tale è ancora la dolorosa schiavitù di Babilonia, e il lieto ritorno a Gerusalemme; quindi il ferreo tempo dell' una, e l' aureo tempo dell' altra; nel che il Vecchio Testamento col Nuovo si conforma, poichè questo nella sua Apocalisse ci presenta egualmente la viziosa Babilonia e la santa Gerusalemme, coi due tempi in opposizione. Tale è pure lo stato dell' umanità sotto il dominio di Satanno, dopo il peccato originale, posto a confronto di quello che successe sotto il santo regno di Cristo, dopo la divina redenzione. Tale diremo altresì l' Inferno e il Paradiso, con tutte le pitture che ne risultano, tutte le idee che ne derivano, nelle due lunghe serie variate, e per spontanee antitesi distinte. Queste ed altre siffatte potevano esser le armi con cui l' ingegno faceva guerra alla prepotenza, volgendo le erudizioni pagane e le sacre dottrine a significazioni occulte, da ferire il nemico, e non lasciargli campo a ferire. Ma, per ottenere ciò, di quanta destrezza non dovea lo scrittore armarsi ! di qual simulazione munirsi ! di qual varietà di mezzi far uso! Un passo in fallo lo avrebbe menato a fatal caduta.

Qual cautela potea dirsi soverchia in un tempo in cui la libertà di coscienza non avea terra in Europa, ove quel che si sentiva o pensava potesse impunemente uscir dal sacrario del cuore e della mente? Già vedemmo qual destino incontrava chi non si ammutiva riverente in faccia al colosso irresistibile. Quelle lettere arditissime di Petrarca non furono mai conosciute, vivente lui, e quando divenner publiche non si trovarono mai i nomi delle persone cui eran dirette. Il solo riceverle, non che scriverle, ti avrebbe fatto gittar nelle fiamme, quando si fosse saputo. Allorchè gli oppressi volevano sfogare l' animo loro angustiato, non avevano altro mezzo, per farlo senza pericolo, che ricorrere all' indicata lingua figurata, intesa solo

da coloro che ne conoscevano la forza segreta. Infatti il Petrarca disse altrettanto e più nelle sue egloghe latine che vivente publicò; ma quelle egloghe non erano capite pel giusto verso se non da que' tali che avevano le chiavi del gergo convenzionale in cui sono scritte. Varj secoli dopo, cominciò dai critici a scorgersi che que' dialoghi pastorali, i quali pajono quasi senza scopo, sono satire tremende contro il Papa e la sua corte, o cose simili. Quegli uomini formidabili son ivi dipinti con colori veramente neri; ma chi mai poteva indovinare gli oggetti designati? I papali non vi vedevano che vaghezze poetiche, ma gli addottrinati nella segreta lingua ben altro vi scorgevano. Ai primi parea mirare pastori e greggi; ai secondi comparivano innanzi ben altri greggi e pastori, "In veste di pastor lupi rapaci," direbbe Dante.

Petrarca fu in ciò imitatore, e non originale. Non v'è chi ignori che le egloghe virgiliane son tutte allusive a fatti coevi; che quella buccolica è per lo più una storia mascherata; che que' finti pastori nascondono illustri cittadini. Così, per esempio, nella prima egloga, Titiro, che

Formosam resonare docet Amaryllida silvas,

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è Virgilio stesso che celebra Roma, il cui nome sacerdotale era Amarillide. Augusto, in quel gergo, diventa un Dio con tempio ed ara: "Deus nobis hæc otia fecit-illius aram ecca. Titiro, lasciato da Galatea e posseduto da Amarillide, è il poeta che da Mantova era passato a Roma:

Postquam nos Amaryllis habet Galatea reliquit.

Per tal modo due città divengono due pastorelle. Lo stesso dicasi di altre egloghe del latin cantore, che udimmo spiegar nelle scuole. Quindi il Petrarca, e quasi tutti i suoi coevi e

* La idea di fare di ogni imperadore un Dio non si limitò a restare finzione poetica: si sa che i Cesari Romani otteneano per l'apoteosi tempj, are, sacerdoti, e vittime. Gli stessi Dei antichi non furono, secondo il parere di molti dotti, se non monarchi, come Giove in Grecia, Serapide in Egitto, ecc. E fra i popoli orientali, dai quali derivò la pagana teologia, vi furono, e vi sono ancora, popoli che nei loro sovrani hanno le loro divinità. Divinità che mangiano, dormono, muojono Umana frenesia!

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Siccome Amarillide era il nome arcano di Roma, così Galatea era di Mantova; detta forse Galatea, ninfa delle acque, perchè Mantova è tutta cinta dalle acque. Vedi i comentatori di Virgilio.

• Non solo la Buccolica, ma anche l' Eneide di Marone si tiene da dotti interpreti per allegorica. Tale la considera Petrarca in più d' uno scritto; tale la riguarda Boccaccio nella Genealogia degli Dei; tale la presenta Dante nel Convito; e tale pure il sagace vescovo inglese Warburton, che con molto ingegno ed erudizione illustrò la discesa di Enea nel Tartaro e nell'Elisio, come una descrizione velata de' segreti misteri di Eleusi.

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