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posteriori che scrissero egloghe latine, non eccetto Dante2, si uniformarono al loro classico modello; ma gl' imitatori sono assai più oscuri del loro esemplare, e ognun capisce perchè. Come Titiro-Virgilio cantò Amarilli-Roma; così StupeoPetrarca amoreggia con Dafne-Lauro. Egli è certo che le egloghe di Petrarca son tutte allegoriche, com' egli stesso attesta; e non è men certo che le città e le potestà che le reggevano ci vengon figurate come donne, sì dalle profane che dalle sacre carte; di che potremmo fare schiera di esempj, tratti dalla poesia, dalla pittura, dalla scoltura, e dalla iconologia in generale, ma principalinente dai libri santi. A darne un esempio non ci partiremo dall' Apocalisse ch'era in quel tempo cotanto meditata. La perversa Babilonia e la nuova Gerusalemme divengono ivi due donne; la prima è una sfacciata meretrice che fornica coi re della terra, la seconda è la casta sposa dell' agnello celeste; quella è in uno squallido deserto, questa sopra un monte magno ed alto.

Quanto il Petrarca studiasse l'Apocalisse risulta da molte opere sue, e ne avemmo un saggio nelle considerate sue lettere. Possiam indi concepire che nella segreta maestria della sua buccolica ei prendesse a guida sì Virgilio che Giovanni.

Dodici son le egloghe petrarchesche, e sol qualcuna è stata in parte interpretata; le altre rimangono ancora chiuse; e massimamente quella che s'intitola Amor pastorius, dove Dafne sinonimo di Lauro, e significante Laura, parla col poeta; e l'altra nomata Laurea occidens, in cui pare che si parli della morte di Laura, adombrata in un Lauro misteriosissimo.

Scrive il Ginguené: "Presque toutes les églogues de Pétrarque sont dans ce genre énigmatique et mysterieux: sans une clef, qu'on ne trouve pas toujours, il est impossible de les entendre. La plupart ont rapport à des circonstances de sa vie; et les interlocuteurs qu'il y emploie sont quelquefois, sous des noms deguisés, les personnages plus illustres de son tems. Quelques-unes sont de vraies satyres, telle que la VIa et la VIIo, où le pape Clément Six est evidemment representé sous le nom de Mition (de mitis, doux, clément). Dans la

* Anche Dante scrisse egloghe latine piene di sensi nascosti; il che fu ben avvertito dal Ch. Troya nel suo recente opuscolo, Il Veltro allegorico di

Dante.

b Daphne vale Lauro in greco.

Arbor vittoriosa e trionfale,

Onor d'imperadori e di poeti,—

VERA DONNA, ed a cui di nulla cale,

Se non d'onor, che sovr' ogni altra mieti.

Petr. Son 225.

première des deux St. Pierre sous le nom de Pamphile a lui reproche durement l'état de langueur où se trouve son troupeau." (Hist. litt. d' Ital. vol. ii, pag. 477.) Ecco alcuni versi che Mitione risponde a Panfilo, cioè il Papa a San Pietro: Furibus est mecum contractum, sanguine porci, Fœdus, et Inferni descriptum Regis in ara; Invisum superis, sacrum fortasse profundis, Acceptum sed jure Diis, quibus ære litatum est.

Il fait

"Dans la seconde églogue (segue a dire il Ginguené) Mition est mis en scène avec la nymphe Epy, c'est-à-dire la ville d'Avignon .-La nymphe faisant passer en revue les cardinaux, l'un après l'autre, déguisés sous des emblèmes tirés des troupeaux et de la vie pastorale... les peint sous des traits les plus hideux, et les couleurs les plus noires, &c. Le sujet de l'églogue suivante est très-different, et pourtant on y trouve des traits assez vifs contre Avignon et contre sa cour. parler le cardinal Colonne sous le nom de Ganymede; il parle lui même sous celui d'Amyclas. Je méprise, dit Amyclas, cette forêt sauvage, ce pasteur licencieux, ce terrain fertile en poison, &c. Dans une autre églogue, qui est intitulée Conflictatio, un berger raconte une querelle de Pan et d'Articus: les rois de France et d'Angleterre sont cachés sous ces deux noms. Articus reproche à Pan les faveurs qu'il reçoit de Faustula, et à Faustula les bontés qu'elle lui accorde. Cette courtisane, qu'il appelle bien de ce nom, meretrix, est la cour pontificale." Avrebbe detto più rettamente la meretrice apocaliptica, detta qui Faustula perchè moglie di Faustulo, per alludere alla Lupa Romana. Faustulo era marito della meretrice, detta Lupa, onde Lupanare, luogo di meretrici.

Sotto la salvaguardia di questo gergo quella buccolica girava nel publico; i pontefici n' eran crudelmente feriti, e Petrarca

Pan-philo, che in greco suona tutto amante, ci fa da lungi sentire chi sieno gli amanti di cui nelle egloghe favella. Degli amanti della religione perseguitata sclamò a G. C. in una lettera che vedemmo: "Patere nostras tecum flere miserias, quique læsorum amantium mos est, eo fidentius conqueri, quo ferventius amamus." Poveri amanti! Transivimus per ignem scrisse in quella stessa lettera, diretta a Gesù Cristo. Rileggi questa nota dopo aver letto tutto il volume.

Epy, semiradice di Epylogo ed Epycuro, indica quella città epicurea in ristretto, in epilogo.

e 66 Questa selva selvaggia ed aspra e forte." Dante. Selva selvaggia opposta a culto giardino. Dante principia il suo viaggio quaggiù nella selva selvaggia, e lo finisce nel culto giardino dell' Eden, dove incontra Beatrice, meta ai tanti suoi passi. Gran deserto e monte alto e magno presentano le stesse due idee in opposizione: Dante cominciò il suo terrestre pellegri naggio nell' uno, e 'l'finì nell' altro. Vedi Inf. I. versi 29, 64., e gli ultimi sei canti del Purg.

dormiva sonni di pace; i papali la leggevano come noi leggiamo la buccolica di Teocrito, e gli antipapali ne traevano nuovo odio ed abbominio. Ma quelle altre egloghe, che rimangono ancora circondate di nebbia, che cosa chiudono? Cose più terribili, e perciò cinte da più densa caligine. Possiamo asserire senza la minima esitazione, perchè possiamo provarlo, che dalla prima all' ultima son flagelli sanguinolenti scaricati addosso al Papa ed al Papismo. Petrarca stesso ha confessato a chiarissime note (ed altrove l' udremo) che la sua buccolica, scritta da lui tutta di seguito, e quindi con un solo disegno, cela sotto fallace spoglia la stessissima sostanza che le sue epistole sine titulo, di cui vedemmo e vedremo la natura. Ed aggiunse ch' egli pose quella maschera pastorale alla sua indignazione, eccitata dalla indegnità che detestava, sì per evitar pericoli, e sì per servire al gusto del secolo, il quale amava cosiffatto modo di scrivere; il che mostra che, se i papali non lo capivano, gli antipapali lo intendevano, e ciò non poteva essere che per convenzione di linguaggio. Non saprei come questa ingenua confessione di Petrarca sia sfuggita ai critici (niun ch' io sappia ne parla), i quali si sforzarono di andare indovinando ciò che l'autore stesso avea dichiarato. Ho indizio sicuro che l' Ab. de Sade l'abbia letta, ma la volle dissimulare, per un fine che indicherò.

Ma prima che i critici di questi ultimi tempi entrassero in sospetto del senso segreto di quelle egloghe, e prima anche che l'autore medesimo ce ne facesse avvertiti, già l'intimo amico di lui, quel Giovanni Boccaccio che fè altrui dubitare non aver altra anima che quella di Petrarca a, avea detto al mondo che nella buccolica dell' amico suo era un midollo interno, cibo di pochi denti, mentre la scorza esterna era per tutti. Nel lib. XIV della sua Genealogia degli Dei vibrò varj lampi, i quali a chi sa intenderli dicono assaissimo. Ne citeremo alcune parole del capo decimo, e cominceremo dal titolo. "Ch' egli è stoltezza credere che i poeti sotto le cortecce delle parole non abbiano nascosta alcuna cosa.

"Sono alcuni di tanta temerità che, senza essere armati di nessuna autorità, non si vergognano di dire, esser pazzia il

"Petrarcha cum Boccatio Florentiæ amicitiam contraxit; tanta enim fuit ut si una illorum anima duo habuisset corpora; tanta fuit vis ejus amoris ut alterutram faciem in gemma annuli gestaret, ipso dicente in una suorum versuum epistola:

Dulcis amice, vale: tua te mihi semper imago

Dat præsens mecum, et sedis, mecumque quiescis;
Tuque redde vices."

Squarzafico, Vita di Petrarca.

credere che i famosi poeti sotto le loro favole abbiano nascosto alcun senso; anzi dicono che abbiano composto quelle per dimostrare quanto possano le forze della loro eloquenza... Oh inetta sceleraggine! Chi altri che gl' ignoranti diranno che i poeti abbiano fatto le favole SEMPLICI, e che non contengano altro che l'esteriore? Per dimostrare eloquenza! oh bella ragione! Come se la eloquenza non possa farsi valere intorno a cose vere. Chi è stato così ignorante che veggendo il nostro Dante spesse fiate sciorre gl' intricati nodi della sacra teologia non s'accorga lui non solamente essere stato filosofo ma teologo? E se ciò terrà, per qual ragione penserà che abbia finto che 'l bimembre Grifone tragga quel carro sulla cima dell' arduo monte, accompagnato da sette candellieri ed altrettante ninfe, col rimanente di quella pompa trionfale ? Chi appresso sarà tanto sciocco che stimi il famosissimo e cristianissimo uomo, Francesco Petrarca, avere speso tante vigilie, tante fatiche, tante notti, tanti giorni, tanti studj nella sua buccolica, solamente per la grazia del verso e l' eleganza delle parole! e per fingere che cantassero insieme Panfilo e Mitione, ed altri spensierati pastori ? e che Gallo dimandasse a Tirreno la sua fistula? Potrei addurre anche i miei versi buccolici, del cui sentimento io sono consapevole; ma ho giudicato tacerne .-Tacciano dunque questi cianciatori ignoranti, ed i superbi, se possono, ammutoliscano; essendo che credere che non pure gli uomini illustri, nutriti dal latte delle muse ed allevati negli abitacoli della filosofia, abbiano locato profondissimi sensi ne' loro poemi; ma eziandio non essere nessuna vecchierella sì pazza, la quale, di notte vegghiando colle sue fantesche, racconti alcuna favola dell' orco e delle streghe, che spessissime volte sotto l'ombra delle parole non senta inchiudere qualche sentimento alle volte da ridere poco." (Traduzione di Gius. Betussi.)

E nel capitolo posteriore intitolato "Che l'oscurità ne' poeti non è da condannare" così si esprime: "Sono cose per loro natura tanto profonde che non senza difficoltà l'acutezza anche d'un nobile intelletto puote penetrare nel loro segreto. E tali non nego che alle volte non sieno i poemi de' poeti;

• Questa parte della tela dantesca, a cui Boccaccio dirige l' altrui attenzione, è come il capo di tutta l' orditura, e l' esame lo mostrerà.

Già vedemmo che cosa contiene quell' egloga; e così è pure dell' altra che cita, anzi di tutte.

• Più tremenda di quella di Petrarca è la buccolica di Boccaccio, e tosto ne avremo un saggio. Ciò non è stato mai scorto, ed altro non si ha dai critici se non che qualche egloga è piena di passaggi oscuri, pei quali è mestieri una chiave. "On n'entend rien à ces passages, si l'on ne connoit cette clef:" scrive il Ginguené.

pare

ma non però, come vogliono costoro, sono con ragione da essere biasimati; perciocchè egli è proprio ufficio de' poeti non denudare le cose coperte sotto velami, anzi, se sono apparenti, cercar di coprirle con quanta industria mai ponno, e involarli agli occhi de' mal dotti. Confesso quelli talora non solo essere oscuri, ma anche per sempre indissolubili, se un intelletto acuto non li conosce ed intende. Ma tengo che questi tali, i quali fanno tante querele, abbiano piuttosto gli occhi di nottola che umani. Facciano che si spoglino del vecchio ingegno, e ne rivestano uno nuovo e generoso; così quello che or lor oscuro parrà poi familiare ed aperto. E per dirla di nuovo a chi mi vuole intendere: a snodare i dubbiosi groppi egli bisogna leggere, affaticarsi, vegghiare, interrogare, e con ogni fatica assottigliare le forze del cervello; e se per una via taluno non può giungere dove desia, entri per un' altra; e se in questa lo arresti qualche intoppo, ne prenda un'altra; fino a tanto che, se gli giovano le forze, gli paja lucido quello che gli parve oscuro." (Traduz. dello stesso Betussi.) Ed altri lampi son vibrati ne' due capitoli che vengon dopo, i quali han per titolo, "Che pazzamente si biasima quello che non s' intende,"-" Ch' egli è cosa vergognosissima far giudizio delle cose non conosciute".

Ad assicurarci intanto che questo terzo splendore delle lettere italiane, questo caldo ammirator di Dante e tenero amico di Petrarca, volle accennar gran cosa nello scrivere quelle parole: "Potrei anche addurre i miei versi buccolici, del cui sentimento io sono consapevole," giova vedere alcuni tratti della sua artificiosissima pastorale, che noi per la prima volta presentiamo al mondo nel suo verace aspetto. Il diletto che deriva dallo scoprire la verità, sotto i velami della lingua allegorica, varrà per avventura a rattemperare la noja che suol provenire da troppo frequenti e troppo lunghe citazioni. Altronde la buccolica di Boccaccio è così obbliata che, quantunque si antica, può considerarsi come una novità.

L'egloga VIII tratta d'un vecchio avaro ed adultero, detto Mida, e della sua turpe moglie Lupisca, allusiva alla Lupa Romana, meretrix magna; della qual coppia così favellasi:

* E tal era, familiare ed aperto, a tutti coloro che si erano spogliati del vecchio ingegno. Chi considera queste parole sentirà senza meno e la dottrina segreta e il linguaggio arcano che ne facea parte.

› Dice altrove parlando di Petrarca e Dante: "I poeti cristiani non asccsero sotto il loro fabuloso parlare alcuna cosa non vera; e massimamente dove finsero cose spettanti alla Divinità e alla fede cristiana; la qual cosa assai bene si può cognoscere per la buccolica del mio eccellente maestro Francesco Petrarca, la quale chi prenderà ed aprirà, non con invidia, ma con piacevole discrezione, troverà, sotto alle dure cortecce, salutevoli e dolci ammaestramenti; e similmente nel poema di Dante." Com. alla Div. Com. canto i.

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