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che guarda Roma come suo specchio, e versa acque intorno a Satanno. In un altro presentò l'edificatore della torre babilonica sul muro d' Abisso ov'è Satanno. In un altro fè gridare dal demonio dell' avarizia: Pap' è Satan, Pap' è Satan Aleppe. In due altri stabilì le due dimenzioni della fossata d' Abisso, e del muro d' Abisso, ov' è Satanno, pari alle dimenzioni della fossata di Roma e delle mura di Roma, ov'è il Papa. Con tutte quelle altre indicazioni che esaminammo, le quali come tanti raggi vanno sempre ad un centro comune. E chi sa quant' altre ve ne saranno che non giungiamo a vedere!

Altro mezzo di confondere è la forza convenzionale de' vocaboli, che in gergo suonano altrimenti che nella comune accettazione: materia estesissima di cui i settarj medesimi ci presenteranno altrove il vocabolario, detto da essi lingua delle corrispondenze. Già vedemmo che, nel poema allegorico, intendendosi per Lucifero, demonj, dannati, e morti, esseri ben differenti da quelli che tutti gli uomini v' intendono, diviene quasi impossibile avvedersi, senza la lingua delle corrispondenze, che sia poema anti-cattolico ed anti-papale quello che sembra fondato tutto sulla fede cattolica o papale. Ma, quando si hanno le chiavi, si capisce subito che cosa vuol dire che Dante vivo è sceso a contemplare nel regno della morte quella Roma ove "Pap' è Satanno Aleppe." Noi qui non possiamo presentare, di questo valore convenzionale de' vocaboli, che una sola linea; ma mostreremo che vi è pure la linea opposta.

Altro mezzo da produrre abbaglio è quella vecchia furberia degli oracoli, l'Anfibologia, la quale nasce sovente dal porre un caso aggiunto, con tal arte che paja non appartenere a quello cui realmente appartiene, mentre che vi s'incorpora e identifica. Mi spiegherò con un esempio. Narra lo storico Matteo Paris, che in tempo suo, e regnante Papa Gregorio IX (1240), un Inglese di vita integra e severa evitava con ogni cura di entrare nelle chiese, il che diede all' occhio di molti. Afferrato presso a Cambridge, e tradotto innanzi al legato apostolico, interrogato perchè ciò facesse, "Palam asseruit dicens: Gregorius non est Papa, non est Caput Ecclesiæ, sed aliud est Caput Ecclesiæ - -DIABOLUS Solutus est, PAPA hæreticus." Or se tu metti uno scilicet fra l'uno e l'altro di questi ultimi oggetti, ti accorgerai ch' esprimono la stessa persona, " Diabolus solutus est, scilicet, Papa hæreticus;" il che ha di mira lo scioglimento di Satanno, e la sua manifestazione nella persona del

a

Altro era il capo della chiesa segreta, come ci sarà mostrato altrove. Ivone di Narbona trovò nelle associazioni de' Paterini, in Italia, chiese stabilite e vescovi.

Papa, creduta da tanti in quel tempo. quella frase giace par che voglia dire Papa est hæreticus;

il che non è.

Il modo intanto in cui "Diabolus solutus est, Dante si è valuto mol

tissime volte di simile malizietta, ed anche più finamente; ne citerò qualcuna. Introduce nel Paradiso San Pietro a gridare acerbamente contro il Papa, e gli fa dire così:

Quegli che usurpa in terra il luogo mio,

Il luogo mio, il luogo mio, che vaca
Nella presenza del figliuol di Dio,

Fatto ha del cimiterio mio cloaca

Del sangue e della puzza, onde il perverso,

Che cadde di quassù, laggiù si placa.-Parad. xxvii.

Chi mai potrebbe vedere qui identità fra'l Papa e Lucifero? Non pajono essi distinti l'uno dall' altro? Certo; e la paura di Dante così fece che paresse; ma la rabbia di Dante collegò il quegli della prima linea col perverso della quinta, e volte dire: Onde il perverso usurpatore del luogo mio, che cadde di quassù, laggiù si placa. Se poni in una parentesi quell' incidente, che cadde di quassù, lo vedrai chiaramente. E il senso diverrà manifesto se rifletti che non mai Lucifero, cattolicamente parlando, può concepirsi placato dal sangue degli eretici, che insegnavano le sue dottrine; tutti però capiamo che il Papa era quegli che si placava di quel sangue, ch' ei faceva correre a torrenti, per rassicurare il suo poter minacciato.

Moltissimi sono in Dante gli equivoci di sensi che presentano doppia faccia, una guelfesca e l'altra ghibellinesca. Là dov' ei scrisse: "Lo capo reo, lo mondo torce dal dritto cammino," resta arbitraria la costruzione, trovandosi innanzi al verbo tanto il nominativo quanto l'accusativo. Il costrutto guelfesco è lo mondo torce lo capo reo, cioè la testa rea; il ghibellinesco è lo capo reo, cioè il principe reo, "princeps hujus mundi," torce lo mondo. E così sfogava la rabbia ed evitava il pericolo. Quello che per noi sarebbe vizio di stile, era da lui cercato con cura, ed impiegato con industria. Fu sì costante in questa versuzia che se ne valse anche nel letto di morte, come altrove sarà luminosamente mostrato, con sua solenne confessione.

A tal punto giunge l'arte anfibologica di Dante, che talvolta si inostra apertamente partigiano del papa; e pure allora appunto più lo ferisce. Nel Canto II dell' Inferno, ei non vuol più seguire Virgilio, asserendo che Roma e il suo Impero erano stati preparati e prodotti da Dio, non per altro che per stabilirvi la sede del maggior Piero, cioè maggiore di qualunque autorità, e fin dell' imperiale; e che la vittoria di Enea

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nel Lazio ebbe per fine il papale ammanto: Or come va ciò? Come potè mai dir cosa sì opposta alla sua vita, ed agli scritti suoi? Eccolo come: ha fatto prima tramontare il Sole, simbolo della ragione, "Lo giorno se n' andava," e poi tien quel discorso; volendo indicare che quel discorso non poteva farsi che nella sola assenza della ragione. Ei parla di Roma e dell' Impero, e, con scimieria guelfesca, rabbassa lo stile così: La quale e 'l quale, a voler dir lo vero, Fur stabiliti per lo loco santo

U'siede il successor del maggior Piero...

E chiude il discorso con questo anfibologico verso:
Se' savio, e intendi me, ch'io non ragiono.

Dove quel me ha doppia faccia; sincope di meglio, e accusativo di io, il primo guelfescamente usato, il secondo ghibellinescamente; volendo dire, Sei savio e intendi me (intendi cioè) ch' io non ragiono. Da simili minuzie impercettibili dipende talvolta il capire o non capire il gergo settario.

Altro modo di parlare a tutti, e spiegarsi con alcuni, è quello di comprimere e contrarre i sensi, ponendone in vista la sola parte illusoria, e celandone la perigliosa. Dante stesso ci fa sapere che il soggetto letterale di tutto il poema non è contratto e chiuso, ma spiegato ed aperto; e ci avverte insieme che il soggetto allegorico è contratto. Eccone le parole nella lettera a Can Grande. "Totius operis litteraliter sumpti sic est subjectum: Status animarum post mortem non contractus, sed simpliciter acceptus:-totius operis allegorice sumpti subjectum est homo, prout merendo et demerendo, per arbitrii libertatem, est Justitiæ præmianti et punienti obnoxius; manifestum est in hac parte hoc subjectum contrahi, et EST HOMO-et sic patebit de forma partis, per formam obsignatam totius." Con quella soggiunta et est homo, egli ha dispiegato il concetto contratto, facendo sentire che il poema riguarda questo mondo e non l'altro, l' uomo e non lo spirito dell' uomo, da lui chiaramente distinti; onde non uomo (sono), uomo già fui, fè dire a Virgilio già morto. Perlochè ognun vede che, trattandosi di questo e non dell' altro mondo, il suo allegorico Lucifero est homo, e così dicasi del suo opposto, come vedremo.

Altro modo di abbagliare i più è l'illusoria soggiunta, per la quale ciò ch'è detto innanzi è torto a falsa interpretazione da ciò ch'è detto dopo. Eccone un esempio. Cancelliere di Federico II fu Pier delle Vigne, valido consiglio a quel Cesare mentre era in guerra col Papa. Alcuni storici asseriscono che, vendutosi poscia segretamente al nemico, tradiva il suo

signore; ma corse anche voce fra gl' imperiali, che, per arte di Roma, Federico fosse indotto in questa falsa credenza, strascinatovi da suoi stessi cortigiani al Papa devoti; talchè inveisse a torto contro il fido cancelliere. Dante introduce l' ombra di costui a dirgli: "Ti giuro che giammai non ruppi fede al mio signor che fu d'onor sì degno. La Meretrice che mai non torcea gli occhi dal suo gabinetto, quella ch'è morte comune, e vizio delle corti, infiammò contra me gli animi tutti, e questi accesero Augusto di non meritata ira contra me giusto." Ognun vede chi sia quella Meretrice, morte comune, che rovinò quell'innocente; ma Dante nomina più sotto l' Invidia, e la colloca con tant' arte che induce ognuno a credere che la Meretrice, di cui parla sopra, non sia diversa dalla Invidia, ch'ei nomina giù; ed eccoti sparito il Papa di mezzo. (Vedi Inf. xiii.) Niun annotatore ha saputo intanto render ragione, perchè quel tristo vizio, che nulla ha di meretricio e seducente, fosse così chiamato; ma pure tutti han creduto che la Meretrice fosse l' Invidia, a dispetto del retto criterio.

Altro mezzo di sbalzare altrui lungi dal vero è la falsa dichiarazione, di cui avemmo già un luminoso esempio nel Quadriregio del vescovo Frezzi, dove gli uncini, i lacci e le reti de' ministri di Satanno divennero, per essa, gherminelle, inganni e trappole di curiali.

Puoi far quanto vuoi, che, se non hai acquistato lungo uso e familiarità con siffatto modo di scrivere, l' evidenza della lettera ti farà sparire dinanzi agli occhi l'arcano della allegoria, l'apparenza ti strascinerà a negare la realità. Ciò mostra la calamità di que' tempi, e quanta paura inceppasse le penne. Essi, come udremo da loro stessi, si facevano un precetto dell' oscurità nella parte vera, e della chiarezza nella falsa. E udimmo altrove dal Boccaccio insegnare che così dovea farsi, che così facevano i buoni poeti, che così fece egli stesso: "Non denudare le cose coperte sotto velame, anzi, se sono apparenti, cercar di coprirle con quanta industria mai ponno, e levarle dagli occhi de' maldotti." E quanto dicono quelle altre sue parole: "E per dirla di nuovo a chi mi vuole intendere, a snodare i dubbiosi groppi, bisogna affaticarsi, vegghiare, interrogare. Gl'ignoranti soli diranno che i poeti abbiano fatto le favole SEMPLICI, che non contengono che l'esteriore". E poi porta l'esempio del poema di Dante e della buccolica di Petrarca, e della sua medesima, del cui sentimento egli era consapevole, ma giudicò

"Istius operis non est simplex sensus-secundum allegoricum sensum poeta agit de Inferno isto."-Dante, parlando del suo poema.

tacerne. E come non tacere? Quei famosi dialettici, chiamati i PP. Inquisitori Reverendissimi, aveano argomenti assai caldi, luminosi e irresistibili, da convincere chicchessia; e Dante, da quegli argomenti convinto e persuaso, cercò coprirsi con quanta industria mai potè, e vi riuscì a maraviglia.

Come ponemmo in veduta le arti diverse di trarre in abbaglio i lettori in generale, così far potremmo di quelle che valevano a dirigere al vero i lettori scaltriti; ma ciò avrà proprio luogo colà dove di proposito tratteremo del gergo. Qui ne darem solo qualche esempio di passaggio.

Per

Un mezzo efficace, a dar chiaro indizio della nascosta essenza, è la similitudine, per la quale l'oggetto finto è paragonato al vero, o a qualche cosa che vi abbia relazione. esempio: gli spiriti infernali, che varcano il primo di que' ponti che menano all' Abisso, sono assimilati a coloro che, l'anno del Giubbileo, passano il ponte di Castel Santangelo in Roma, e vanno a Santo Pietro. E que' ponti stessi, nell'andar a finire all' Abisso, ti offron l'edificatore della torre babilonica, che ha la testa "Come la pina di San Pietro a Roma." Nel primo di que' ponti c' indirizzò il pensiero a San Pietro a Roma; nell' ultimo di que' ponti ci fa vedere la pina di San Pietro a Roma. Così dicasi di altre comparazioni simili, e ne vedemmo nel Quadriregio.

Il

Molto simile al precedente indizio è quel che segue. Boccaccio, nel suo comento al poema, indicò che Dite figura Firenze, nel seguente modo. L'episodio della città infernale comincia al canto ottavo, ed egli, nelle note a questo, muove una lunga quistione ridicola e insussistente, se mai i sette canti che precedono quello di Dite sieno stati scritti dal poeta prima o dopo dell' esilio suo da Firenze; ed immagina fatti e testimonj (ma tutti morti) e si affatica, e fa e dice; ma poi egli stesso discredita quella opinione, allegando un luogo del canto sesto, ove il poeta parla dell'esilio suo con distinte particolarità; e ne conchiude che non avrebbe potuto quegli ciò scrivere, prima che di quel futuro evento vi fosse pur sentore. Non v' ha opinione più assurda di quella che il Boccaccio cercò là pria sostenere e poi beffare. E perchè dunque fece egli ciò? Perchè ciò bastava al dotto settario per fargli conchiudere: Qui si tratta dunque di Dante esule da Firenze, e di Firenze che l'esiliò: avuto questo filo, non era difficile correr per tutto l'interno laberinto, e massime in quella età che conservava memoria viva di que' fatti, non molto prima accaduti. La Vita di Dante, scritta da Boccaccio, è tutta in gergo, tutta su questo andare, perlochè fu da molti tacciata di romanzo. Chi capisce

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