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Misericordia, o figli,

E duolo e sdegno di cotanto affanno
Onde bagna costei le guance e il velo.
Ma voi di quale ornar parola o canto
Si debbe, a cui non pur cure o consigli,
Ma dell'ingegno e della man daranno
I sensi e le virtudi eterno vanto
Oprate e mostre nella dolce impresa?
Quali a voi note invio, sì che nel core,
Sì che nell' alma accesa

Nova favilla indurre abbian valore?
Voi spirerà l'altissimo subbietto,
Ed acri punte premeravvi al seno.
Chi dirà l'onda e il turbo

Del furor vostro e dell'immenso affetto?

piange, vi accrescano forza e ardore, e conducano l'opera vostra a compimento. Spirti, in questo senso è dal latino. Cæs. B. Gall., I, 33: Ariovistus tantos sibi spiritus sumpserunt, ec. e III, 72: tantum fiducia ac spiritus Pompeianis accessit, ee. — coronare, per compiere, ricorda il noto proverbio finis coronat opus. E duolo e sdegno. Vedi sopra, v. 13 14. 44-47. Ma voi, ec. Dopo aver lodati i promotori dell'opera, il poeta si rivolge agli artisti, esecutori di essa. Vedi la nota in principio. Costruisci: ma di qual parola o canto si deve ornare, cioè onorare, voi, a' quali non soltanto cure e consigli (come a' promotori), ma i sensi dell' ingegno, e le virtù della mano (cioè gli alti concetti e l'abilità pratica) operate e mostrate, cioè rese visibili col fatto, nella dolce (cara) impresa, daranno eterno vanto (lode, gloria)?» Il Castagnola costruisce invece: daranno eterno vanto dell'ingegno e della mano. Ma la sintassi del periodo sarebbe, in questo caso, troppo ardita e sforzata. Ad ogni modo il periodo non è de' più belli; e tutta la strofa cede, per semplicità e schiettezza, all' antecedente. - parola o canto, per parola cantata, è una specie di endiadys. — sensi, sta per pensieri, concetti, come nel Petrarca (Canz. Vergine bella, ec.): « Vergine d'alti sensi. » 50-51. Sì che nell' alma, ec. che accendauo sempre più l'animo vostro già ardente.favilla sta per scintilla.

52. Spirerà, ispirerà come nelle Ricordanze, v. 20.

53. Ed acri punte premeravvi al seno, cioè « vi infiggerà acute pun tare nel cuore, o, come spiega il Cappelletti, « premerà il vostro cuore con pungenti stimoli. » Cfr. Petr., Rime, II, son. 29: i begli occhi Onde useir già tante amorose punte» e I, son. 174: Nè l'arme mia punta di sdegni spezza. » Cfr. anche le seg. frasi latine. Cic., Arch., 11: animum glorice stimulis concitat. Lucan., II, 324: acres irarum movit stimulos.

54. l'onda e il turbo, ec., il commovimento e il tumulto dell'ardente vostro entusiasmo. » Così il Castagnola.

55. furore in questo senso è modo latino. Cic, Divin., I, 31: furor appellatur, cum a corpore animus abstractus divino instinctu concitatur. Ovid., Met., II, 640: fatidicos concepit mente furores. Anche il Filicaia (Canz. E fino a quanto, ec.): « Ma sento, o sentir parme, Sacro furor che di sè m'empic. »

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Chi pingerà l'attonito sembiante?
Chi degli occhi il baleno ?

Qual può voce mortal celeste cosa
Agguagliar figurando?

Lunge sia, lunge alma profana. Oh quante
Lacrime al nobil sasso Italia serba!
Come cadrà? come dal tempo rosa
Fia vostra gloria o quando?

Voi, di ch'il nostro mal si disacerba,
Sempre vivete, o care arti divine,
Conforto a nostra sventurata gente,
Fra l'itale ruine

Gl'itali pregi a celebrare intente.
Ecco voglioso anch'io

56. l'attonito sembiante, non si deve attribuire, come si fa comunemente, all'effigie di Dante, ma allo scultore ed agli esecutori, e così pure il baleno degli occhi. Infatti, il chi dirà, chi pingerà, qual voce mortale può, ec. sono frasi poste parallelamente, e si debbono tutte riferire al medesimo oggetto, cioè agli esecutori, non alla statua - attonito ha qui il senso latino di « numine afflatus,» invasato dall'estro, come appunto gli artisti nell' atto di concepire o eseguire un lavoro; e corrisponde al furore di sopra.

58. celeste cosa, un'esaltazione d'animo, come quella che proveranno gli artisti, sopraumana.

59. figurando val qui, descrivendo.

60. Lunge sia, lunge, ec. Virg., Æn., VI, 258: procul, o, procul este profani. Profana chiama il poeta quell'anima che non sente l'amor patrio o non s'infiamma al bello artistico.

61. quante Lacrime, ec. Quanto è commovente quest'immaginare le anime generose che, non avendo altro conforto, verranno a piangere sul monumento a Dante, sfogando con esso il loro interno dolore! Forse il Leopardi ebbe in mente quel sonetto dell'Alfieri (Sat, e poesie minori, Firenze, Barbèra, 1858, pag. 413): « O gran padre Alighier, se dal ciel miri Me tuo discepol non indegno starmi Dal cor traendo profondi sospiri Prostrato innanzi a' tuoi funerei marmi, ec. »

62. rósa, logorata, consumata.

64. si disacerba. Petr., Rim., I, 25: « Perchè cantando, il duol si disacerba. >>

65-66. Sempre vivete, o care ec. Lo Straccali spiega vivete come indicativo siete ancora in vita. » Io inclinerei a vedervi piuttosto un imperativo, intendendo « vivete sempre, per essere, anche nell'avvenire, conforto, ec. »

67-68. Fra l'itale ruine Gl'itali pregi: « in mezzo alle sciagure, le arti ci facciano godere coll'immaginazione, rappresentando e celebrando le glorie antiche: » ruine, alla latina, sta per, scadimento, perdita, disgrazia. Cic., Catil., I, 6: Prætermitto ruinas fortunarum tuarum. Le arti hanno consolato e onorato sempre l' Italia, non ostante il suo basso stato, e ne hanno preparato il risorgimento politico. Vedi in lode delle belle arti, Pietro Giordani, La prima Psiche di P. Tenerani.

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Ad onorar nostra dolente madre
Porto quel che mi lice,

E mesco all' opra vostra il canto mio,
Sedendo u' vostro ferro i marmi avviva.
O dell' etrusco metro inclito padre,
Se di cosa terrena,

Se di costei che tanto alto locasti
Qualche novella ai vostri lidi arriva,
Io so ben che per te gioia non senti,
Che saldi men che cera e men ch'arena,
Verso la fama che di te lasciasti,

Son bronzi e marmi; e dalle nostre menti
Se mai cadesti ancor, s'unqua cadrai,
Cresca, se crescer può, nostra sciaura,
E in sempiterni guai

Pianga tua stirpe a tutto il mondo oscura.

71. Porto quel che mi lice, quello che è in mia facoltà, cioè i versi. L'Ariosto (Fur., I, 3) prega il cardinale Ippolito ad aggradire i suoi versi, scusandosi così: « Quel ch'io vi debbo, posso di parole Pagare in parte, e d'opera d'inchiostro. Il Leopardi, come si vede dal suo discorso Il Parini, reputava piccola gloria quella che vien dagli scritti, appetto a quella che deriva dalle operazioni.

72. E mesco, ec. mescolo, confondo. È assai bello l'immaginare il canto del poeta, armoneggiante coi colpi del martello e del mazzuolo, davanti al simulacro, appena sbozzato, dell'Alighieri.

73. vostro ferro i marmi avviva, dà vita, traendone un'immagine che sembra persona viva. Virg. Æn., VI, 848: vivos ducent de marmore vultus; e il Foscolo (Le Grazie, Inn. 2) al Canova: tu che ardisci in terra Vestir d'eterna giovinezza il marmo. >

>

74. O dell' etrusco metro, della poesia toscana. - padre, Petr., Trionfo della fama, III: Erodoto di greca istoria padre. Nota il Cappelletti che da questo verso ha veramente principio il Canto, dovendosi ciò che precede riguardare come introduzione.

76. di costei, ec., dell' Italia. locasti, collocasti. Petr. (Spirto gentil, ec.): quell'anime leggiadre Che locata l'avean là dov'ell' era. » 77. Qualche novella, qualche notizia; ai vostri lidi, ai paesi oltramondani. Petr., canz. cit.: Quanto v'aggrada, se gli è ancor venuto Romor là giù del ben locato offizio!, » dove pure si allude al regno de' morti. 79. saldi men, ec., meno duraturi.

«

80. Verso la fama, a paragone della fama. gran poeta non ha bisogno di monumenti perchè, come dice Dante stesso (Purg., XXI, 85), egli è Col nome che più dura e più onora. >

83. Cresca, ec. nostra sciaura. Se gl' Italiani sono mai giunti o son per giungere a dimenticare Dante, il poeta augura loro di cadere ancor più in basso e di perdere ogni fama tra gli uomini. « Imprecazione, dice il Castagnola, impressa di straordinaria sublimità, così di concetto come di sentimento. E infatti, se per avventura gl'Italiani hanno alcun tempo tenuto in poca stima l'Alighieri, si sono allora trovati nel maggiore avvilimento politico.

LEOPARDI.

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Ma non per te; per questa ti rallegri
Povera patria tua, s'unqua l'esempio
Degli avi e de' parenti

Ponga ne' figli sonnacchiosi ed egri

Tanto valor che un tratto alzino il viso.

Ahi, da che lungo scempio

Vedi afflitta costei, che sì meschina

Te salutava allora

Che di novo salisti al paradiso !
Oggi ridotta sì che, a quel che vedi,
Fu fortunata allor donna e reina.
Tal miseria l'accora

Qual tu forse mirando a te non credi.
Taccio gli altri nemici e l'altre doglie,
Ma non la più recente e la più fera,
Per cui presso alle soglie

Vide la patria tua l'ultima sera.

Beato te che il fato

86. Ma non per te, ec. risponde al v. 78: « per te gioia non senti. » 88. de' parenti, dei genitori: quasi volendo dire che anche le recenti generazioni, per quanto inferiori alle antiche (avi) offrono pur qualche cosa da imitare ai figli degeneri.

90. un tratto, una volta. — alzino il viso. Petr. (Canz. Spirto gentil, ec.): << se il popol di Marte Devesse al proprio onore alzar mai gli occhi, ec. » 92. costei, che sì meschina, ec. L'Italia, alla morte di Dante era meschina, cioè, come spiega il Castagnola, « ridotta in miserabile condizione, perchè lacerata dalle discordie civili e dall'oppressura de' tirannelli. »

94. di novo salisti al paradiso, cioè, moristi e ritornasti, per dimorarvi eternamente, in quel paradiso, ove da vivo eri passato. Cfr. Dante (Purg., III, 91): per tornare altra volta Là dov' io son fo io questo viaggio. Bella e affettuosa l'immagine dell'Italia, che saluta il suo poeta morente!

95. Oggi ridotta sì ec. Il poeta giudica l'Italia de' suoi tempi, cioè dopo il Congresso di Vienna, molto più avvilita e infelice che a' tempi di Dante; volendo significare che allora almeno non era schiava degli stranieri, come fu nel secol nostro.

97. accora, affligge. Dante, Par., VIII, v. 73: « mala signoria, che sempre accora Li popoli soggetti. »

99. gli altri nemici, cioè i nemici non francesi, giacchè il poeta si accinge a deplorare l'eccidio degl'Italiani a tempo della invasione francese.

101-102. presso alle soglie Vide, ec. Costruisci e intendi « la patria tua vide l'ultima sera, cioè la morte, la rovina estrema presso alle soglie, cioè, pronta ad entrare in lei, a opprimerla. » Dante, Purg., I, 58: « Questi non vide mai l'ultima sera. »

103. Qui comincia la lunga digressione sulle ultime invasioni e guerre francesi, che si stende per oltre a quattro strofe.

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A viver non dannò fra tanto orrore;
Che non vedesti in braccio

L'itala moglie a barbaro soldato;
Non predar, non guastar cittadi e colti
L'asta inimica e il peregrin furore;
Non degl'itali ingegni

Tratte l'opre divine a miseranda
Schiavitude oltre l'alpe, e non de' folti
Carri impedita la dolente via;

Non gli aspri cenni ed i superbi regni;
Non udisti gli oltraggi e la nefanda

Voce di libertà che ne schernia

Tra il suon delle catene e de' flagelli.

Chi non si duol? che non soffrimmo? intatto

105-106. in braccio L'itala moglie, ec. Allude ai saccheggiamenti ed alle violenze commesse dai Francesi in varie città e villaggi d'Italia sul cadere del secolo scorso.

107. Non predar, ec. Costruisci: «Non vedesti l'asta nemica e il furore peregrino, cioè, straniero, predare e guastare, cioè derubare e devastare le città e i campi.

109. Non degl' itali ingegni, ec. È noto che i Francesi invasori, scimmiottando le violenze de' Romani antichi verso la Grecia conquistata, imposero alle città vinte di consegnare alla Francia i più rari capolavori artistici e i più preziosi codici che vi si conservavano, e che andarono a ornare i musei di Parigi, finchè dopo il Congresso del 1815 non furono, per la maggior parte, restituiti all' Italia. Sulle statue greche trasportate da Roma a Parigi scrisse il Monti un sonetto, che comincia: Questi, che dalle vinte attiche arene (vedi Poesie di V. M. nosamente ordinate. Firenze, Sansoni, 1889, pag. 226). Sopra il gruppo del Laocoonte, quando restituito tornava in Italia, dettò Paolo Costa un capitolo (Compon. poet. di P. C., Firenze, 1839, pag. 31).

111-112. non de' folti, ec. Non si poteva dipinger meglio la trista scena! Par di vedere le strade dell'Appennino e delle Alpi impacciate dalla moltitudine dei carri che traggono su a stento i tesori italiani. Stupendo poi l'epiteto dolente, quasi la strada medesima si dolesse della scellerata rapina. Monti, Bassv., I: « I sacri bronzi in flebile lamento

Giù calar dalle torri. »

113. gli aspri cenni ed i superbi regni. Benissimo ritratta la prepotenza de' comandanti francesi! Gli aspri cenni ricordano la frase, non men felice, del Manzoni (Cinque Maggio): « Il concitato imperio; » — regni (come regna in latino) sta per governo, modo di reggere. Cfr. Poliziano, Stanze, I, 1, i regni crudi Di quella Dea che il terzo ciel di

pinge.

lia, si annunziavano liberatori dei popoli, mentre poi li facevano schiavi, 114-115. la nefanda Voce di libertà, ec. I Francesi, venendo in Ita li taglieggiavano ed impoverivano.

117. che non

refugimus Etas? quid intactum nefasti Liquimus? unde manum iuventus Metu deorum continuit? quibus Pepercit aris?

soffrimmo ec. Cfr. Orazio, Carm. I, 35: quid nos dura

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