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Che lasciaron quei felli?

Qual tempio, quale altare o qual misfatto?
Perchè venimmo a sì perversi tempi?
Perchè il nascer ne désti o perchè prima
Non ne desti il morire,

Acerbo fato? onde a stranieri ed empi
Nostra patria vedendo ancella e schiava,
E da mordace lima

Roder la sua virtù, di null' aita

E di nullo conforto

Lo spietato dolor che la stracciava
Ammollir ne fu dato in parte alcuna.
Ahi non il sangue nostro e non la vita
Avesti, o cara; e morto

Io non son per la tua cruda fortuna.
Qui l'ira al cor, qui la pietade abbonda:
Pugnò, cadde gran parte anche di noi:
Ma per la moribonda

119. Qual tempio, quale altare...? Allude alle profanazioni ed ai sacrilegi commessi dai Francesi in Italia, dove ancora regnava schietta fra il popolo la fede degli avi. Anche il Foscolo, fra le cose invase dai Francesi, mette le « are» (Sepolcri, v. 184). Per tutte le altre profanazioni basti ricordare il saccheggio della santa Casa di Loreto.

121-122. Perchè il nascer, ec. Intendi: perchè ci facesti nascere, perchè ci mettesti mai in luce? o, se dovevamo nascere, perchè non ci facesti morire prima che avvenissero queste sciagure? »

123. a stranieri ed empi, ad empi stranieri. Figura di endiadys. 125-26. E da mordace lima, ec.: le pene, gli strazi, che quasi lima, rodono e consumano la forza (virtù) dell'animo. Vedi il v. 128. Di questa metafora della lima usò più volte il Petr. Nel son. 42, P. I: Io non credea per forza di sua lima Che punto di fermezza o di valore Mancasse mai. E l'Ariosto (Fur., I, 2): « Che 'l poco ingegno ad or ad or mi lima. »

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128. la stracciava, la lacerava: uso non bello di questa parola, che rammenta il francese déchirer (benchè abbia qualche esempio di antichi). Costruisci e intendi: « non ci fu concesso di alleggerire in alcuna parte, con verun aiuto o conforto, il dolore che spietatamente la tormentava. » 130. Questa parte della strofa ricorda assai da vicino la canzone precedente, v. 36 e seg.

133. al cor.... la pietade abbonda. Qui: su questa cosa, del non aver dato il sangue per la patria. — abbonda, trabocca. Il Leopardi nelle Annotaz. citate difende questa costruzione, riportando anche un verso del Sannazaro, Arcad., v. 19: « E per l'ira sfogar che al core abbondami. »

134. cadde gran parte anche di noi. Molti furono gl'Italiani morti nelle guerre napoleoniche, e specialmente nella campagna di Russia, come spiega il poeta nella strofa seguente, con bellissima digressione.

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Italia no; per li tiranni suoi.

Padre, se non ti sdegni,

Mutato sei da quel che fosti in terra.
Morian per le rutene

Squallide piagge, ahi d'altra morte degni,
Gl'itali prodi; e lor fea l'aere e il cielo
E gli uomini e le belve immensa guerra.
Cadeano a squadre a squadre

Semivestiti, maceri e cruenti,
Ed era letto agli egri corpi il gelo.
Allor, quando traean l'ultime pene,
Membrando questa desiata madre,
Diceano oh non le nubi e non i venti,
Ma ne spegnesse il ferro, e per tuo bene,
O patria nostra. Ecco da te rimoti,
Quando più bella a noi l'età sorride,
A tutto il mondo ignoti,

Moriam per quella gente che t'uccide.

137. se non ti sdegni, Mutato sei, ec. Dalla vita di Dante, come da tutte le opere di lui, traspare quella magnanimità che lo rendeva facile a sdegnarsi d'ogni cosa vile ed ingiusta. Virgilio (Inf., c. 8) lo chiama alma sdegnosa. >

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139-40. per le rutene Squallide piagge, (prima avea scritto fra le ru tene Orride piagge): le vaste, incolte pianure della Russia, le steppie. » Castagnola. L'esercito napoleonico, nel quale militavano anche molti Italiani, ebbe grandemente a soffrire nella ritirata da Mosca, nell'ottobre e novembre del 1812. Vedi il Papi, Comm. Riv. Franc., P. II, lib. XVI: • Inasprissi a un tratto la stagione e si mise a neve, la quale cadendo a larghe falde involse cielo e terra e cancellò ogni traccia di strada, di sorta che i soldati più non sapevano in qual verso marciassero.... In piccol tempo il freddo montò sì fattamente, che il termometro segnava i 16 e 18 gradi sotto il gelo, e a' soldati francesi, italiani e della meridionale Germania, tanto per non esservi avvezzi, quanto per la leggerezza del lor vestire, si fece intollerabile.... Gl'infermi, i feriti, i deboli erano per lo più abbandonati, e invano si raccomandavano, gemevano, chiedeano piuttosto una pronta morte, ec., ec.» De' ventimila Italiani condotti dal vicerè Eugenio solo un migliaio incirca rividero la patria.

141, l'aere e il cielo, il freddo e la neve; al v. 148 vedremo le nubi.... i venti.

146, traean l'ultimè pene; « agonizzavano. » Castagnola.

147. Membrando, ricordando. Petr., Rime, P. I, son. 19: « Membrando il suo bel viso, » dal lat. memorare.

149. Ma ne spegnesse il ferro, ec. Anche Enea (Virg., Æn., I. v. 94 e seg.) in pericol di morire per una fiera tempesta di mare, invidiava quelli che eran caduti valorosamente a Troia per difesa della patria.

153. Moriam per quella gente che t'uccide: antitesi un po'studiata, in bocca di moribondi. Ma il Leopardi in questo primo periodo del suo

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Di lor querela il boreal deserto
E conscie fur le sibilanti selve.
Così vennero al passo,

E i negletti cadaveri all'aperto
Su per quello di neve orrido mare
Dilaceràr le belve;

E sarà il nome degli egregi e forti
Pari mai sempre ed uno

Con quel de' tardi e vili. Anime care,
Bench' infinita sia vostra sciagura,

Datevi pace; e questo vi conforti
Che conforto nessuno

Avrete in questa o nell' età futura.

In seno al vostro smisurato affanno

poetare si dilettava, anzi che no, delle antitesi, studiatore com'era, oltrechè del Petrarca, anche dei lirici secentisti.

154. Di lor querela, ec. È di grande effetto l'immagine dell'abbandono e della solitudine, espressa in questi due versi! Cfr. il Monti, Bassvill., c. I: « Nè pietà di lui sente altri che l'eco, Che cupa ne ripete e lamentosa La querimonia dall'opposto speco. »

155. conscie fur, furon consapevoli: esse sole li udirono. È frequente ne' poeti latini l'uso di conscius attribuito alle cose inanimate, presenti ad un fatto. Virg., En., IV, 167: conscius æther Connubii. Ovid., Heroid., 15, 138: Antra conscia deliciis. Altri esempj del Leopardi si trovano nei Canti Alla primavera, 40, e Le ricordanze, 114, citati dallo Straccali. - sibilanti, agitate dal vento fischiante.

156. vennero al passo, alla morte. Vedi Canz. I, v. 93, e quivi la nota. 158. per quello di neve orrido mare: bel verso, che ti apre dinanzi alla fantasia un' immensa estensione di terreno gelato! Cfr. Virg., Georg., III, v. 354: Iacet aggeribus niveis informis et alto Terra gelu late; -mare fa l'ufficio del lat. æquor, che vale anche pianura, estensione di terreno uguale.

159. le belve sono state già ricordate al v. 142; ma la ripetizione non torna inutile, forse per quello che segue.

160. E sarà il nome, ec. Vuol dire che, essendo stati divorati dalle belve, non resta traccia del loro valore: onde i prodi son pareggiati ai vili.

162. Anime care: si volge il poeta alle anime dei soldati morti in Russia.

164-65. e questo vi conforti Che conforto nessuno, ec. Concetto un po'esagerato e paradossale. Il poeta vuole che a questi morti sia di consolazione il sapere che non avranno mai consolazione, perchè saranno sempre privi di gloria, e così la loro infelicità sarà pari, nel suo genere, a quella d'Italia. Lo Straccali ravvicina a questo luogo un passo della Canz. Per una donna malata, composta pure nel 1818, dove il poeta, lamentando la prossima morte della fanciulla sul fiore della giovinezza, dice « Pur datti posa; han di piacere alcuna Sembianza i mali estremi. »

167 o seg. In seno al vostro, ec. « Riposatevi nel pensiero del vostro smisurato affanno che v'innalza sopra tutti gli altri uomini, pel triste

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Posate, o di costei veraci figli,
Al cui supremo danno

Il vostro solo è tal che s'assomigli.
Di voi già non si lagna

La patria vostra, ma di chi vi spinse
A pugnar contra lei,

Sì ch'ella sempre amaramente piagna
E il suo col vostro lacrimar confonda.
O di costei ch'ogni altra gloria vinse
Pietà nascesse in core

A tal de' suoi ch'affaticata e lenta
Di sì buia vorago e sì profonda

La ritraesse! O glorioso spirto,

Dimmi: d'Italia tua morto è l'amore?

Di': quella fiamma che t' accese, è spenta?
Di': nè più mai rinverdirà quel mirto

ma sublime privilegio della infelicità e vi congiunge in più stretta guisa alla patria ugualmente grande, ugualmente infelice. Castagnola.

168. di costei, della patria: ma il soggetto a cui allude il pronome, è troppo lontano, dovendosi cercare nel v. 147.

171. Di voi giù non si lagna, ec. Potendo ad alcuni venire il sospetto che que' prodi meritino biasimo per aver militato nelle schiere nemiche, il poeta li difende col notare che vi furono spinti.

173. A pugnar contra lei: quei soldati, cooperando ad accrescere la potenza francese, vennero indirettamente a offender l'Italia, che dai Francesi era oppressa.

175. E il suo col vostro, ec. Continua il pensiero dei vv. 169-70. 176. O di costei, ec. Costruisci: « O la pietà di costei che un tempo fu superiore a tutte le altre nazioni, nascesse in cuore ad alcuno de' suoi figli, il quale la ritraesse, ec. » ogni altra gloria vinse. Nella Canz. I, v. 19, vedemmo « le genti a vincer nata E nella fausta sorte, ec. >

178. A tal de' suoi, de' suoi figli. Per meglio comprendere questa allusione convien pensare che, quando il poeta scriveva, le sette segrete lavoravano per cambiare le condizioni politiche dell' Italia: e nel 1817 ci fu negli Stati del Papa un tentativo di rivolta da parte dei Carbonari. Nè è da dimenticare che pochi anni prima Gioacchino Murat (benchè non italiano) aveva eccitato gl' Italiani a combattere per la loro indipendenza, e raccolto a tal fine un esercito, che fu sconfitto.

179. Di sì buia vorago, ec.: da tanto abisso di mali, dal fondo dell'avvilimento.

180. O glorioso spirto, ec. Il legame fra questo pensiero ed il precedente sta nel non vedersi per ora alcuno, il quale ritragga l'Italia da' suoi mali: e però il poeta chiede « d'Italia tua morto è l'amore? » 182. quella fiamma, « fiamma di virtù, di carità patria e di santa ira contro il vizio e l'ignavia. Castagnola.

183. quel mirto, ec. Il mirto serviva ad incoronare i poeti: quindi è simbolo della poesia. Petr., Rime, P. III, son. 1: « Qual vaghezza di lauro? qual di mirto? »

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Ch'alleggiò per gran tempo il nostro male?
Nostre corone al suol fien tutte sparte?
Nè sorgerà mai tale

Che ti rassembri in qualsivoglia parte?

In eterno perimmo? e il nostro scorno
Non ha verun confine?

Io mentre viva andrò sclamando intorno:
Volgiti agli avi tuoi, guasto legnaggio;
Mira queste ruine

E le carte e le tele e i marmi e i templi;
Pensa qual terra premi; e se destarti
Non può la luce di cotanti esempli,
Che stai? levati e parti,

Non si conviene a sì corrotta usanza
Questa d'animi eccelsi altrice e scola:
Se di codardi è stanza,

Meglio l'è rimaner vedova e sola.

184. Ch'alleggiò, ec. Vedi sopra, v. 64 e seg. 185. Nostre corone, segni d'onore, vanti, pregi.

186-87. Nè sorgerà mai tale Che ti rassembri, ec. Cfr. Orazio, I, 24: cui Pudor et.... incorrupta Fides.... quando ullum invenient parem?

188. In eterno perimmo? Siam dunque morti in guisa da non poter mai più risorgere? Cfr. Plat., Mostell., 3, 1, 5: perii plane in perpetuum modum.

189. Non ha verun confine? « Non deve cessar mai, o deve crescere sempre più?>

190. mentre viva, finchè vivrò. Dante, Inf., XV, 86: « mentre vivo. » 191. Volgiti agli avi tuoi, ec. In questo verso si assomma il motivo di tutto il Canto. L'Italia, se vuol risorgere, onori e imiti i grandi antichi. Anche il Foscolo ne' Sepolcri, accennati alcuni de' mausolei di Santa Croce, conchiude: Quindi trarrem gli auspici. » - guasto, degenerato. Bocc., Nov. 63: « Ahi vitupero del guasto mondo! »

192. Mira queste ruine. Ricorda il principio della Canz. I: « Vedo le mura e gli archi, ec. »

193. E le carte, ec. In un sol verso si accennano quattro arti: letteratura, pittura, scultura, architettura.

194. premi, calpesti.

196. Che stai perchè resti qui, e non muti suolo? Il Leopardi nelle Annotaz. cit. difende questo che nel senso di perchè e ne porta molti esempi di classici italiani. Questo invitare gl' Italiani degenerati a partire da quel suolo di cui non sono più degni, riesce assai calzante, e mette degna fine al Canto. In altro senso Orazio (Epod., 16) consiglia ai Romani d'abbandonare Roma, divenuta ormai terra esecrata per le continue discordie civili, e dagli Dei destinata a perire.

«

Il Leo

197-198. Costruisci e spiega: « questo paese produttore e maestro di animi generosi non si adatta ad un popolo tanto corrotto. pardi nelle Annotaz. cit. difende altrice coll' esempio del Guidiccioni, il quale chiama l'Italia « altrice de' famosi eroi» (ediz. Barbèra, son. 1). 200. vedova e sola. Anche Dante (Purg., VI, 113) disse di Roma,

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