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Come tra nebbia lampi.

Nè ti conforti? e i tremebondi lumi
Piegar non soffri al dubitoso evento?
A che pugna in quei campi

L'itala gioventude? O numi, o numi!
Pugnan per altra terra itali acciari.
Oh misero colui che in guerra è spento,
Non per li patrii lidi e per la pia
Consorte e i figli cari,

Ma da nemici altrui

Per altra gente, e non può dir morendo:
Alma terra natia,

La vita che mi desti ecco ti rendo.

Oh venturose e care e benedette

L'antiche età, che a morte

49. i tremebondi lumi, gli occhi che tremano per paura, incerti, vacillanti.

50. Piegar, volgere per guardare.

52. O numi, o numi! esclamazione di dolore e di sdegno.

57-58. da nemici altrui Per altra gente. Allude ai Russi nemici dei Francesi, al servizio de' quali combattevano gl'Italiani. Nota a questa strofa il De Sanctis (loc. cit., pag. 119): « I sentimenti qui sono veri e il calore è sincero; ma.... il procedimento meccanico col quale sono presentati è artificiale, fondato su di una finzione rettorica, come quel parlare all'Italia e udire suono di armi, e maravigliarsi come l'Italia non si conforti e non guardi colà dove si agitano le sue sorti, e poi un riconoscer l'errore, un esclamare: o numi!. un accorgersi che italiani combattono nou per l'Italia, ma per altra gente. Questa è rettorica che però rimane alla buccia e non investe il midollo e non vizia il fondo. Al di sotto della buccia rimane integra la sincerità dell' impressione e dell' espressione. La cornice è di un oro sospetto e di cattivo gusto; ma il quadro è di Raffaello. »

59. Alma, propr. nutrice, poi, fertile, feconda.

61. Oh venturose e care, ec. Venturoso per, avventuroso, fortunato, non ha nella Crusca altro che un esempio di Pietro de' Crescenzi. II Leopardi lo usò anche nella Palinodia, v. 10.

62. L'antiche età che, nelle quali, allorquando. Dal principio di questa strofa sino al termine della canzone non si parla più dell'Italia, ma della Grecia e del glorioso combattimento alle Termopili. Il legame interno fra l'Italia e la Grecia sta nell' antitesi o contrasto dei concetti: gl' Italiani sventuratissimi doverono combattere e morire a danno della patria loro e a difesa degli stranieri; i Greci, al contrario, fortunatissimi, dieder la vita per la patria, guadagnandosi fama eterna. Vi è anche incluso un tacito ammonimento, dato agl' Italiani, di prender l'armi per la medesima causa; ammonimento che, a' tempi in cui scrisse l'autore, non si sarebbe potuto, senza pericolo, porgere svelatamente. Osserva poi il De Sanctis (loc. cit., pag. 120 e seg.) che in questo si palesa l'immaginazione del Leopardi usa da gran tempo e familiare

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Per la patria correan le genti a squadre;
E voi sempre onorate e gloriose,

O tessaliche strette,

Dove la Persia e il fato assai men forte
Fu di poch' alme franche e generose!
Io credo che le piante e i sassi e l'onda
E le montagne vostre al passeggere
Con indistinta voce

Narrin siccome tutta quella sponda
Coprìr le invitte schiere

De' corpi ch'alla Grecia eran devoti.
Allor, vile e feroce,

Serse per l'Ellesponto si fuggia,

col mondo antico » e « che sembra torni con diletto ad abitare il mondo d'Erodoto e di Simonide. »

65. O tessaliche strette, lo stretto delle Termopili, descritto da Erodoto, lib. VII, § 199-200, e 216. « Questo famoso varco sta fra le gigantesche e precipitose montagne dell' Eta, ed una inaccessibile palude, che forma la punta del Golfo Malio, lungo quasi un miglio. » Cappelletti. Il Petrarca (Canz. O aspettata, ec.) le chiama le mortali strette Che difese il Leon con poca gente. »

66. Dove la Persia, ec., « dove le forze smisurate dei Persiani, e il destino avverso che oppressero i Greci alle Termopili, non bastarono a vincerli, perchè essi non cedettero. »

67. Fu, ec. riferiscesi al solo fato, di cui i Persiani non erano che strumento. Poch alme, ec. Leonida, duce dei trecento Spartani, rimase al pericoloso passo co' suoi, e inoltre con settecento Tespiesi e quattrocento Tebani, essendosi partiti gli altri o per paura o da lui stesso licenziati. Resistettero con gran valore al soverchiante numero de' Persiani, finchè avendo questi saputo dal traditore Efialte esservi un sentiero montagnoso che conduceva dietro le spalle dei nemici, piombarono addosso ai Greci, e a colpi di freccie li uccisero tutti. Vedi Erod., lib. VII, § 202-225.

68. Io credo, ec. Il vedere i luoghi dove accadde qualche gran fatto, ce lo rinnova, per così dire, nella fantasia. Su questa verità si fonda la personificazione usata qui dal poeta. Anche il Foscolo, ripetendo un'antica tradizione, narra che chi di notte veleggiava per lo stretto d'Eubea, credea di vedere e sentire sui liti di Maratona il cozzo de' guerrieri correnti alla pugna (Sepolcri, vv. 201-212).

73. De' corpi ch'alla Grecia eran devoti, cioè, che si erano votati, sacrificati per la Grecia. Il Mestica ricorda qui l'oraziano devota morti pectora libera (Od., IV, 14).

74-75. Allor, vile e feroce, ec. Alla gloriosa resistenza dei Greci nel passo delle Termopili contrappone il poeta la ignominosa fuga di Serse per effetto della sconfitta di Salamina, ove la sua innumerabile flotta fu distrutta da pochi navigli dei Greci. Il combattimento è descritto da Erodoto, lib. VIII, e con grande evidenza da Eschilo, Pers., vv. 355-514. Quivi si dice (vv. 465-470): « Serse, vedendo tanto abisso di calamità gemette.... e lacerate le vesti e ad alta voce lamentandosi, subito diede suoi comandi all'esercito pedestre, ed egli si abbandonò a vergognosa

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Fatto ludibrio agli ultimi nepoti;
E sul colle d'Antela, ove morendo
Si sottrasse da morte il santo stuolo,
Simonide salia,

Guardando l'etra e la marina e il suolo.
E di lacrime sparso ambe le guance,

E il petto ansante, e vacillante il piede,

fuga. › — per l'Ellesponto si fuggia. Dovette passar l' Ellesponto su una barca, avendo trovato distrutto dalla tempesta il ponte che vi aveva gettato. Vedi Erod., VIII, 117.

77. Sul colle d'Antela, ec. Erod., VII, 225 (versione del Ricci): < Non appena i Greci ebbero lingua dell'arrivo delle genti condotte da Efialte.... posarono tutti riuniti, ad eccezione de' Tebani, sopra un poggio che s'alza proprio all'ingresso delle Termopili; dove oggi si vede scolpito in pietra quel leone che fu fatto fare in onore di Leonida. E là appunto intervenne che i Greci, che si schermivano colle spade (quelli che ancor le avevano), ovvero si aiutavano colle pugna e coi denti, furono all'ultimo sopraffatti dalle saette de' Barbari. » — - Antela, città presso le Termopili, resa illustre e sacra dal concilio degli Amfizioni che ivi si radunavano ogni anno. Castagnola.

78. morendo Si sottrasse, ec. Colla morte del corpo acquistò l'immortalità della fama; la quale, come dice il Petrarca, < trae l'uom dal sepolcro e in vita il serba.» Come nota il Sesler, anche quest' espressione è di Simonide (Bergk, framm. 96) oùòè tεdvãoɩ davóvτeg, « nè son morti, morendo. >

79. Simonide salia, ec. Simonide, nativo di Ceo, chiarissimo poeta lirico, visse dal 556 al 469 av. Cr. Il Leopardi nella dedica di questa canzone a Vincenzo Monti (rifatta nel 1824) dice: « Il successo delle Termopili fu celebrato veramente da quello che in essa Canzone si introduce a poetare, cioè da Simonide; tenuto dall' antichità fra gli ottimi poeti lirici; vissuto, che più rileva, ai medesimi tempi della scesa di Serse, e greco di patria. Questo suo fatto, lasciando l'epitaffio riportato da Cicerone e da altri, si dimostra da quello che scrive Diodoro nell' undicesimo libro; dove recita anche certe parole d'esso poeta in questo proposito due o tre delle quali sono espresse nel quinto verso dell' ultima strofa, e poco appresso: « Procurai di rappresentarmi alla mente le disposizioni dell' animo del poeta in quel tempo: e con questo mezzo, salva la disuguaglianza degl' ingegni, tornare a fare la sua canzone. Il frammento di Simonide, a cui allude il Leopardi, è riportato da Diodoro Siculo, lib. XI, e suona come appresso: « Dei morti alle Termopili gloriosa la sorte, bello il morire, la tomba un'ara: invece di pianti, la memoria; il lutto un elogio; cotanto sepolcro nè squallore, nè il tempo che tutto doma, oscurerà: questo tempio d' uomini valorosi s'appropriò la gloria domestica dell' Ellade, e lo testimonia anche Leonida, re di Sparta, che ha lasciato gran pregio di virtù e fama eterna. » L'epitaffio poi, attribuito allo stesso Simonide, è così tradotto da Cicerone (Tusc., I, 42):

Dic, hospes, Sparta, nos te hic vidisse iacentes

Dum sanctis patriæ legibus obsequimur.

81-82. sparso.... ansante... vacillante si riferiscono a Simonide, Guance, petto, piede, formano i compimenti, alla maniera greca,

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Toglieasi in man la lira:
Beatissimi voi,

Ch' offriste il petto alle nemiche lance
Per amor di costei ch' al Sol vi diede;
Voi che la Grecia cole, e il mondo ammira.
Nell'armi e ne' perigli

Qual tanto amor le giovanette menti,
Qual nell' acerbo fato amor vi trasse ?
Come si lieta, o figli,

L'ora estrema vi parve, onde ridenti
Correste al passo lacrimoso e duro?

Parea ch'a danza e non a morte andasse
Ciascun de' vostri, o a splendido convito:
Ma v'attendea lo scuro

Tartaro, e l'onda morta;

Nè le spose vi foro o i figli accanto

83. Toglieasi in man la lira. Da tale strumento, com' è noto, derivò a questo genere di poesia il nome di lirica.

86. al Sol vi diede, « Dare al Sole, per dare alla luce, usò il nostro anche altrove, cfr. Canto notturno, ec. v. 52. » Straccali.

87. Voi che la Grecia cole, ec. Colere ha senso religioso: onorare come cosa santa.

88. Nell' armi e ne' perigli, ec. Nota il De Sanctis: « Questo è artificio rettorico. Perchè il poeta sa benissimo quello che domanda, ed ha già detto, che essi offrirono il petto alle nemiche lance per amor della patria. Queste forme di maraviglia artificiale sono aliene dalla naturalezza e semplicità, e rivelano procedimenti ulteriori d'un pensiero più raffinato » (loc. cit., pag. 123). Tutto questo luogo si regge sul contrapposto fra l'amarezza della morte che essi affrontano, e gli allettamenti dell' età e della vita. Il poeta non finisce d'ammirare quei giovani che sacrificarono i secondi alla prima; cosa che se non convien forse ad un greco antico, può stare in bocca di chi cantava, quando la virtù di dar la vita per la patria era cosa rara, e da molti poco sentita o apprezzata. E però il poeta, esagerando il concetto, dice che que' valorosi eran ridenti, e parea che andassero a danza.

93. al passo lacrimoso e duro, alla morte. Nella canzone seguente vedremo Così giunsero al passo. » Dante, Inf., V, 113: « Quanti dolci pensier, quanto disio Menò costoro al doloroso passo! »

96. Ma v' attendea, ec. È di molto effetto, dopo quelle liete fantasie, il pauroso e scuro contrapposto di questa lugubre immagine. Il poeta seguita ad amplificare lo stesso concetto di sopra.

97. Tartaro era propriamente quella parte del regno de' morti, ove stavano gli empj, sottoposti a gravi tormenti (Iliade, VIII, 13 e seg.; En., VI, 543 e seg.): ma se ne allargò il senso a tutta quanta la sede dell' ombre. Virgilio stesso, Georg., I, 36, alludendo al regno de' morti, dice ad Augusto: Te nec sperent Tartara regem. l'onda morta, i fiumi infernali. Virg., Georg., IV, 479: Tardaque palus inamabilis unda. 98. Nè le spose, ec. A questi Spartani non accadde come agli Ateniesi, che combatterono presso l'isola di Salamina, dove si erano rac

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Quando su l'aspro lito

Senza baci moriste e senza pianto.

Ma non senza de' Persi orrida pena
Ed immortale angoscia.

Come lion di tori entro una mandra
Or salta a quello in tergo e sì gli scava
Con le zanne la schiena,

Or questo fianco addenta or quella coscia;
Tal fra le Perse torme infuriava

L'ira de' greci petti e la virtute.
Ve' cavalli supini e cavalieri;

colte le loro mogli e i loro figli, spettatori della zuffa. Racconta in Eschilo (Pers., 402) il nunzio, che mentre i Greci disponevansi in ordine di battaglia, si sentiva gridare: O figli degli Elleni, andate; liberate

la patria, liberate i figli, le mogli, e le sedi de' patrj numi. »

99. aspro, duro, scoglioso. Il Forcellini, Lex. tot. latin, nota che asper proprie dici videtur de loco saxis, sentibus et squalore obsito, par tesque inæquales et salebrosas habente: e poi segue: universim accipitur pro omni eo, quod inæqualitate superficiei et scabritie tactum lædit. Anche il Boccaccio (Introd. Decam.) disse una montagna aspra ed erta. »

101. Ma non senza, ec. Fa seguito al senza che precede, e torce improvvisamente il concetto ad un senso inaspettato.

102. immortale angoscia, dolore incessante, inconsolabile. Con poca differenza usò il Manzoni quest' aggiunto nel Coro d'Ermengarda: « Ratto così dal tenue Oblio, torna immortale L'amor sopito. Questa angoscia de' Persiani è ben descritta nella citata tragedia d' Eschilo, in fine.

103. Come lion, ec. Sono frequenti nei poeti le comparazioni del leone in mezzo agli armenti. Vedi A. ROMIZI, Compar. letter, fra poeti greci, latini e italiani. Mondovì, 1875, pag. 9-13. Una delle più somiglianti alla leopardiana è la seguente dell'Ariosto (Orl. Fur., XVIII, 178), imitata da Virgilio (En, IX, 339): « Come impasto leone in stalla piena Che lunga fame abbia smacrato e asciutto, Uccide, scanna, mangia, a strazio mena L'infermo gregge in sua balía condutto; ed anche questa del Boccaccio, Nov. 34: «Non altramente che un leon famelico nell' armento di giuvenchi venuto, or questo or quello svenando, prima co' denti e con l' unghie la sua ira sazia, che la fame. Ma il Leopardi, con molto accorgimento, ha posto il leone in una mandra di tori, animali violenti e feroci, come i barbari Persiani.

107. torme, dal lat. turma che, in senso proprio, era una compagnia di soldati a cavallo. In italiano vale più spesso branco d'animali » e qui forse conserva un senso dispregiativo, come pare al Castagnola.

108. L'ira de' greci petti e la virtute. Erodoto, lib. VII, p. 223 e seg., narra le prodezze de' Lacedemoni in questa zuffa. Dice, fra l'altre cose: Ci fu poi tra Elleni e Persiani una fiera lotta e un serra serra incre dibile intorno al corpo di Leonida; ma finalmente riuscì alla virtù dei Greci di sottrarlo di mano ai nemici, che essi misero in fuga per quattro volte (trad. Ricci). Pur da Erodoto (VIII, 24, 25) sappiamo che i Persiani morti alle Termopili furono 20,000 e 4000 i Greci, compresi i molti Iloti che combattevano al fianco degli Spartani.

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