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e' s'aggirino perpetuamente (Canto notturno di un pastore, ec.).

E che è questa nostra vita? Oggi splende di fresca formosità, e fa della donna la regina del creato: domani una malattia la riduce un mucchio schifoso di ossa e di fango (Sopra il ritratto di una bella donna ec.). E la morte stessa, benchè ponga fine alle umane calamità, può dirsi un bene, se ci paion degni di tanta compassione i defunti? (Sopra un basso rilievo ec.). Ma quasi il morire non bastasse, non abbiamo noi da sopportare, poco meno che per una metà della vita, il lento infievolirsi delle nostre forze, e sempre più imminente la prospettiva della morte? (Il tramonto della luna.) E, anche senza la vecchiezza, non siamo noi esposti continuamente ad inaspettati ed improvvisi pericoli? Che sono la prosperità, la floridezza delle città, se la terra, con un lieve moto può annichilarle, come un pomo cadente schiaccia uno sciame di formiche ? (La Ginestra.)

E l'amore, il nobile e sublime amore, che potrebbe farci beati, a che si riduce poi? Ad un bellissimo ideale che, appena tocca il reale, si discioglie e svanisce, come una bolla di sapone (Il pensiero dominante, Aspasia, non compresa in questa scelta). Il piacere adunque che cos'è? Una speranza (A Silvia, Ricordanze, Il passero solitario, Il sabato del villaggio), od una momentanea cessazione di dolore (La quiete dopo la tempesta). Sottentra infine la noia, l'immortale noia, a cui si riduce tutta la vita, perchè, mancando la vagheggiata felicità, il vivere stesso è cosa senza scopo, è un ozio (Al conte Carlo Pepoli).

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< La douleur, la souffrance, et sous ces noms il faut comprendre toute espèce de privation, de manque, de besoin et même de désir, c'est l'objet positif, immédiat de la sensibilité. Au contraire le propre satisfaction, de la jouissance, du bonheur, c'est d'être purement la cessation d'une privation, l'apaisement d'une douleur, et par suite d'agir négativement. » Così anche lo Schopenhauer, Le fondam. de la (trad. franc.). Ma vedi quello che notammo a piè della poesia qui

de

mor.

citata.

Ecco i mali umani da cui il Leopardi trae tanta vena di potente poesia, mali in parte relativi, e da pochi, o sol di rado, sentiti ed intesi, ma pur mali reali per chi li intende e li sente. Non diremo lo stesso di certe conclusioni a cui il disperato poeta scende alcune volte, e dove la poesia o manca od è meno bella. L'imprecare alla virtù con Bruto (Bruto minore, non compreso in questa scelta), il chiamar l'opera virtuosa un vano giuoco (Ad un vincitore nel pallone), il trovare ragionevole il suicidio (La vita solitaria, Al conte Carlo Pepoli ec.), il porre in dubbio, o disprezzare l'autore della natura negando qualunque provvidenza superiore (A sè stesso, non compreso in questa scelta; La Ginestra) possono tollerarsi da chi parla in un eccesso di disperazione, ma non sono conseguenza necessaria dei mali dal poeta sentiti ed osservati,1 e la coscienza e la ragione stessa vi ripugnano come ad un assurdo: giacchè una plausibile spiegazione dee pure avere, se anche la scienza non potrà mai darcela, questo mistero umano; e il rassegnarsi ai mali inerenti alla nostra natura, cercando colla prudenza di scemarli o di renderli a noi proficui, sarà sempre più degno del savio, che l'aumentarli colla disperazione. Onde da quelle considerazioni medesime che condussero il Leopardi e lo Schopenhauer a vagheggiare il nulla, il religioso autore dell' Ecclesiaste trasse ammonimenti di umiltà e di timore divino; la tragedia greca se ne

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1 Ciò non toglie che certe conclusioni pratiche ricavate dal Leopardi stesso, non sieno accettabili; quella, per esempio, di mettere a cimento la vita per fatti magnanimi (A un vincitore nel pallone, v. 60 e seg.); e di doversi gli uomini stringere insieme ed aiutarsi a vicenda per combattere la natura, nemica comune (nel canto La Ginestra).

2 A questo proposito Carlo Cantoni, confrontando i principj del nostro poeta con quelli di E. Kant, dice: «Kant ci rende la lettura del Leopardi non solo innocua, ma utilissima; perchè dopo aver confessato col Leopardi l'infinita vanità del tutto e cioè, del tutto fisico e terreno, riconosciamo con Kant esserci qualche cosa di infinitamente superiore a quel Tutto, qualche cosa che ha valore assoluto e può dare un valore assoluto anche alla nostra vita, la Legge morale e la sua Osservanza » Carlo Cantoni, Emanuele Kant, vol. III, pag. 340, Milano, Hoepli.

valse per purgare le insane passioni e tener gli uomini nel dovere; e il Manzoni, pessimista in fondo anche lui, potè aprire all' italiana poesia una vena di speranze e di conforto non men commovente e calda di quella schiusa dal nostro.

Prendendo a ripubblicare per le scuole secondarie questa Scelta di poesie leopardiane, parecchi canti abbiamo aggiunti che al pari di quelli già ammessi avevan ragione di comparirvi (Alla luna, Il sogno, Alla sua donna, Il risorgimento, Il pensiero dominante, Sopra un basso rilievo antico sepolcrale). Altri, benchè bellissimi e celebratissimi li abbiamo di nuovo esclusi, perchè o più audaci nelle negazioni, o più facili ad accender la fantasia: ma dalla Ginestra ci siamo contentati di estrarre, sull'esempio dell' Ambrosoli,' tutta, si può dire, la parte veramente poetica.

Il nostro commento che fin dalla prima edizione fu compilato su quelli di Licurgo Cappelletti, di Paolo Emilio Castagnola, di Filippo Sesler, di G. Mestica, ec. e sopra studj parziali d'altri autori a suo luogo ricordati, è stato in questa edizione riveduto e corretto coll' aiuto principalmente del commento di Alfredo Straccali, il più compiuto forse che sia stato finora pubblicato.

Così pure, conservando l'estratto dei Paralipomeni, che fa conoscere, dentro i limiti consentiti dai riguardi della scuola, la parte più bella e poetica di quella satira quasi ignota ai non letterati di professione, vi abbiamo premesso, a maggiore schiarimento delle allusioni contenutevi, un cenno sui fatti di Napoli dal 1815 al 1821, e inserite buon numero di stanze che avevamo tralasciato nelle precedenti edizioni: ma nelle note non abbiamo abbondato, come pei Canti, non volendo accrescer troppo la mole del volume,

1 Vedi il Manuale della lett. italiana di F. Ambrosoli, Firenze, Barbèra, vol. IV, pag. 124-128.

onde ci siamo limitati alle illustrazioni più indispensabili.

Il testo da noi seguíto, sì pe' Canti, sì per i Paralipomeni, è quello correttissimo pubblicato da Giovanni Mestica (Poesie di G. L., Firenze, Barbèra, 1886, Collezione Diamante), attenendoci, quanto alla distribuzione dei Canti, all'ordine stabilito dall' autore, certo non senza buone ragioni, piuttosto che all' ordine cronologico che il Mestica preferì; tanto più che a conoscere il tempo presunto della composizione di ciascun Canto bastano le indicazioni poste nelle note.

IL COMPILATORE.

EDIZIONI ORIGINALI DEI CANTI.

LEOPARDI G., Canzoni. — Roma, Tip. di F. Bourlié, 1818. In 8o.

Sono le due canzoni: All'Italia e Sopra il monumento di Dante, dedicate a V. Monti.

Canzone ad Angelo Mai.

Bologna, per le stampe di

Iacopo Marsigli, 1820. In 8o picc.

Versi del conte Giac. Leopardi. — Bologna, Nobili, 1824. In 12o.

Contengono dieci canzoni: All'Italia, Sopra il monumento di Dante, Ad Angelo Mai, Nelle nozze della sorella Paolina, A un vincitore nel pallone, Bruto minore, Alla primavera, Ultimo canto di Saffo, Inno ai Patriarchi, Alla sua donna, accompagnate da annotazioni dell' autore; le quali annotazioni ricomparirono nel Nuovo Ricoglitore di Milano, 1825, precedute da un articoletto critico pur dell'autore. LEOPARDI G., Idilli. Nuovo Ricoglitore ec., 1825-26.

Sono: L'infinito, La sera del giorno festivo, La ricordanza (che nelle edizioni seguenti è intitolata Alla luna), Il sogno, Lo spavento notturno, La vita solitaria, e portano in fronte, scrittovi dallo stesso poeta, l'anno in cui furono fatti, cioè il 1819.

Versi del conte Giac. Leopardi. delle Muse, 1826. In 12o.

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Bologna, dalla Tipografia

Contengono i seguenti scritti, colla respettiva data dell' anno in cui furon composti: Idilli, MDCCCXIX, Elegie, MDCCCXVII (le due Elegie per la cugina Geltrude Cassi; vedi il num. X, Il primo amore), Sonetti in persona di Ser Pecora ec., MDCCCXVII, Epistola a Carlo Pepoli, MDCCCXXVI, La guerra dei topi e delle rane, MDCCCXV, Volgarizzamento della satira di Simonide, MDCCCXXIII.

Canti del conte Giac. Leopardi.
Piatti, 1831. In 12o.

Firenze, per Guglielmo

Contiene la dedicatoria Agli amici di Toscana, i dieci canti pubblicati in Bologna nel '24, e tredici altri, parte dei pubblicati nell'ediz. del '26, parte nuovi, i quali ultimi sono Il risorgimento, A Silvia, Le ricordanze, Il canto notturno d'un pastore ec., La quiete dopa la tempesta, Il sabato del villaggio.

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