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l'amore non corrisposto, e la noia invincibile di chi
non vede uno scopo degno delle sue cure, e la con-
vinzione orrenda che tutto è vano, fuori che lo stesso
dolore.

Il tema è antico quanto il mondo. Nacquero gli
uomini, ed il loro cantare mescolò a breve riso molto
pianto e tutte le letterature hanno espresso il dolore.1
Ma nella nostra non c'era stato ancora chi avesse
così largamente e così profondamente significato quel
malessere umano, quel puro sconforto che anche i
felici provano in certi momenti della vita, e che quasi
continuamente sperimentano certi uomini non tanto
per vere sventure, quanto per soverchia sensibilità o
per desiderj irrequieti. E poichè di siffatti uomini,
per molte e varie ragioni che lungo sarebbe enume-
rare, abbonda specialmente il secolo nostro, così non
è meraviglia che in esso abbiano fiorito, più che ne-
gli altri, grandi poeti del dolore, un Byron, un Heine,
uno Shelley, un Leopardi, a dire de' principali.

Il qual Leopardi non fu tratto a così lugubre tema
soltanto dal temperamento, infermiccio di sua natura
e reso più debole per i troppo precoci e prolungati
studj. Egli anzi insorge e si sdegna contro l'opinione
di coloro che « considerano le sue opinioni filosofi-
che come il resultamento delle sue personali soffe-
renze » e non suol dare fra le cause dell' infelicità il
maggior peso alle malattie corporali.

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Certo un temperamento forte, una gagliarda tem-
pra di nervi e di muscoli è da credere che difficil-
mente avrebbero condotto l'animo suo a pascersi di
così profonda tristezza, benchè vi siano anche illustri

1 << A noi l' Omnis creatura ingemiscit di san Paolo fa venire in mente
il Sunt lacrima rerum di Virgilio. Questo pianto o gemito universale
è sentito da tutte le anime affettuose e meditative..... Esso appare
ne' poeti di ogni età, per quanto varia sia la forma di loro poesia.
Paolo Perez, Pens. e dottr. di Antonio Rosmini, Intra, 1873, P. II,
pag. 373, nota 1.

2 In una lettera a M. Louis de Sinner, Florence, 24 mai 1832.

esempi del contrario.' Ma, se quella naturale o acquisita debolezza fu forse l'origine prima della sua malinconia, ciò non basterebbe a spiegare la persistenza, la sicurezza, l'assiduità, l'amarezza sempre crescente, onde il poeta e il filosofo si uniscono in lui a deplorare la vita umana; sì, la vita umana come tale, cioè infelice inesorabilmente sotto qualunque evento, età o condizione.

La sensibilità e nervosità eccessiva, confermata ed accresciuta dal soverchio di applicazione intellettuale, cui mancò fino da fanciullo il necessario contrappeso di esercizio fisico, il non avere nè urgenti occupazioni nè gagliardi diletti che lo distraessero dal martirio del continuo meditare, la mancanza di vivi affetti, o soffocati per timidezza o rintuzzati per negata corrispondenza, le tristi circostanze di una famiglia gretta, pedantesca ed intollerante, di una società ignorante, superstiziosa e materiale, di un'Italia avvilita, schiava e, almeno apparentemente, contenta della sua servitù; tutto ciò ad un cuore e ad un ingegno caldi e potenti come egli avevali, doveva infondere e connaturare un vivo sentimento e una profonda concezione delle miserie umane.

La maggior parte degli uomini, nella maggior parte della loro vita, fortunatamente e provvidenzialmente, non hanno il senso di questo dolore cantato dal Leopardi. Chi per mediocrità d' intelletto e scarsità di istruzione, chi per continue e faticose occupazioni a cui il desiderio del guadagno proprio o del bene altrui lo tengono avvinto, chi per una salda fede religiosa non turbata da dubbj nè agitata da scrupoli, chi per aver l'animo consolato dagli affetti della famiglia o stordito da passioni anche basse, senza parlare di una robusta costituzione fisica (che non è però nè sempre, nè per tutti la condizione più necessaria), chi per tutte

1 Uomini sani e robusti, come lo Schopenhauer e il Byron, furono pessimisti e si può citare anche, sotto certi rispetti, il nostro Alfieri.,

o per molte di queste cose insieme, fatto è che gli uomini in generale non sono capaci nè sempre, nè in grado sommo del triste senso dei mali umani. Il giusto uso delle sodisfazioni corporali, l'ordinato processo delle faccende quotidiane, i colloquj colle persone care e cogli amici, il non ispingersi con la fantasia molto al di là del presente, lo sperare anche in mezzo alle disgrazie ed alle malattie, il non aver soprattutto grandi e sconfinati desiderj, il sapere quello che si vuole e l' eseguirlo risolutamente, lasciano alla maggior parte degli uomini, come già dissi, passare una vita, se non felice, almeno tollerabile.

Ma date uno squilibrio nelle facoltà dell'animo e del corpo, date un alto intelletto, un bisogno straordinario di godere, di amare, di essere stimato ed amato, di dominare, non sostenuto poi da ugual forza di volontà, o contrariato pertinacemente dalle circostanze; date inoltre una mente che si sente spinta, senza ostacoli, a cercar le ragioni del proprio male, e che, indocile a piegar la fronte alla fede in una provvidenza divina, nulla trova che gli spieghi l'origine e la giustizia dell' umana infelicità, e voi avrete un uomo il quale o ucciderà forse sè stesso, o, se potrà, sfogherà l'angoscia che lo invade in canti nutriti di dolore e in dottrine di disperata filosofia.1

Dal dolore umano però può rampollare, ed ha spesso rampollato in tutte le letterature, come dicevamo, una larga e profonda vena di poesia. Così il Leopardi è riputato nel suo genere uno de' più grandi poeti, da commuovere non soltanto, come alcuni leggermente credono, in certe età della vita, o in certi stati d'infelicità, o in certi periodi politici, o in certe

1 È noto che il potere scrivere e poetare sulle proprie disgrazie reca una grande consolazione, perchè separa in certa guisa da noi il dolore e, direbbero i filosofi, l'obiettiva. Il Goethe seppe, con questo mezzo, lenire e dimenticare gravissimi dispiaceri, e lo stesso Leopardi dovette a questo conforto il poter tollerare la sua trista vita.

condizioni di mente, ma in tutti i tempi, fin che l'uomo sarà uomo, chi abbia senso e potenza d'immaginare.

La poesia che si appoggia sul vero è poesia eterna, e il dolore è pur troppo vero, benchè per buona ventura pochi lo sentano a fondo o continuamente. E il Leopardi ne ha ricercato tutte le corde, ne ha scrutato tutti i più riposti segreti, con una minutezza, con una precisione, con una, ora ardente foga, ora fredda tranquillità, che lacerano il cuore di chi gli tien dietro. Diremo che ha falsato il soggetto, od esagerato? Può esser questo nei punti ov' egli tira una conseguenza, stabilisce una teoria generale, o fa regola universale certi squisitissimi sentimenti proprj forse di lui solo: ne conveniamo: e per questa ragione le prose morali (più certo che le poesie) si potranno in molta parte confutare. Ma dove nota dei fatti, dove enuncia impressioni, dove analizza colla propria esperienza il cuore umano, i piaceri, i diletti, le speranze; allora il Leopardi è quasi sempre vero, e ce lo attesta, se non altro, la commozione che ci lascia nel cuore. Diciamo piuttosto che questo vero sarebbe bene non venisse conosciuto troppo presto e molto meno notato e studiato dalla gioventù, a cui si convengono la baldezza della speranza e un forte coraggio, invece di quel prematuro sconforto, che potrebbe accrescere la sua infelicità anche per l'avvenire.1 Ma come togliere dalle mani de' giovani tanta bellezza, tanta profondità di poesia, unica, nel suo genere, in Italia? La grande poesia rompe tutti i cancelli, si fa strada dappertutto, rende incerti anche coloro che più hanno interesse o dovere a porre freni educativi contro lo straboccare del pensiero e del sentimento. Si posson proibire i poeti di secondo e terzo ordine. Come fare a impedir

1

<< Il sentimento della vanità delle umane cose giova forse all'età provetta; ma è reo chiunque fa parere inutili e triste le vie della vita alla gioventù, la quale deve per decreto della natura percorrerle, preceduta dalle speranze.» Foscolo, Not. di Did. Cher.

la lettura dei grandi? E poi, nelle poesie del nostro Leopardi, avvi qualche cosa di generoso, di virtuoso, di virile che tempera l'accasciamento della disperazione: in lui si manifesta, or più, or meno, quell'anima << alta, gentile e pura' » di cui poteva, senza mentire a sè stesso, vantarsi.

Vediamo in brevi tratti il dolore umano come lo ha concepito ed espresso il nostro poeta.

Il giovine si affaccia alla vita pieno di allettatrici speranze, gli pare che tutte le cose gli sorridano, che gli uomini gli porgan la mano, compatiscano i suoi errori, e gli agevolino la strada alla felicità: gli pare che troverà pura, incontaminata, non sparsa di pene, la consolazione dell'amore: che la gloria spiegherà sopra di lui l'ali sue; e insomma che la vita sarà per lui una festa. Ma eccoti di lì a poco i disinganni. L'incuria, l'invidia e mille ostacoli insorgono da ogni parte contro di lui. La bellezza, la forza, l'audacia soppiantano troppo spesso il merito vero e modesto: una precoce e letal malattia gli toglie sul fior degli anni e delle speranze la persona che amava. Ecco la corda maestrevolmente toccata dal nostro nel Primo amore, nel Sogno, nella Vita solitaria, nel canto A Silvia, nelle Ricordanze, nell' Ultimo canto di Saffo, ec.

Il disinganno si estende alla natura che ne cir conda, al mistero delle cose. La natura non parla più colle sue arcane voci al cuore, come quando si era fanciulli. Le vaghe fantasie dell'infanzia si dileguano. Noi ci sentiamo soli nel mondo (Ad Angelo Mai, Alla primavera o delle favole antiche, I Patriarchi). Guardiamo il creato, vediamo il continuo ed immutabile succedersi dei fenomeni celesti e terrestri, e non ne troviamo il perchè; non ci è dato salire a quei pianeti, sapere chi abiti lassù, per quale scopo segreto

7 Vedi Il Risorgimento, v. 154.

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