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dere ch'ella fece l' indipendenza. Vivendo poi la romana Corte in paese, ove i costumi del clero erano già in antico venuti a gran corruttela, secondo ne fanno fede i versi de' trovatori, più non ebbe l'ecclesiastica disciplina la sua primitiva severità. Però niuno, che abbia senno, non vede, come dalla dimora de' pontefici in Avignone abbiano avuto principio gli umori, che serpeggiando per tutta cristianità furono in prima cagione del grande scisma di Occidente, e poscia delle diverse eretiche sette, che hanno disgiunto dalla cattolica Chiesa molti popoli della Germania e della Inghilterra. Queste cose io ricordo per ossequio alla verità, e perchè siano palesi i motivi del fiero sdegno avuto dall' Alighieri verso i pontefici de' suoi tempi.

Essendo il papa fuori d'Italia presero i Ghibellini nuove speranze. E saputo che Arrigo di Lussemburgo si preparava a calarvi per cingere la corona imperiale, prima ch' ei valicasse le alpi gli mandarono ambascerie, pregandolo volesse affrettarsi al loro soccorso. Venne Arrigo, e tentò di pacificare la Lombardia, rimettendo nelle città i fuorusciti dell' una, e dell' altra parte. Altro però non fece con questo, che lasciarvi materia a discordie ancor più crudeli delle passate, e porvi stabile fondamento alla signoria de' Visconti. Nè segul dalla sua venuta migliore effetto in Toscana, dove Firenze con nobilissimo ardire gli tenne fronte, comecchè Arrigo per tre mesi la campeggiasse, mettendone al ferro e al fuoco tutto il contado. Indi per febbre, altri dicono per veleno, si morì a Buonconvento nelle maremme sanesi, facendo col suo esempio vedere, come la parte imperiale avesse perduto riputazione in Italia. Perchè

aiutato dai Ghibellini sol di parole, non potè porre in esecuzione alcun suo disegno, ovvero le piccole mutazioni fatte da lui finirono insieme con la sua vita. Sicchè l'Italia rimase, com'era prima, in preda alla popolare licenza, battuta dai suoi tiranni, divisa dalle nemiche fazioni, che già le andavano preparando secoli vergognosi di servitù.

Queste cose mi parve fossero da ricordare a dichiarazione del poema di Dante, e della sua vita. Durante la quale, benchè non lungo ne fosse il corso, accaddero tanto meravigliosi, improvvisi, e fieri accidenti, che certo la sua fantasia ne dovè essere impressionata profondamente, sicchè la naturale disposizione, ch'egli aveva alla poesia per quella impressione molto si accrebbe, e per essa, e per altri affetti vivamente sentiti egli fu poeta. Dante era ancor fanciulletto quando il santo re di Francia Luigi IX passò in Affrica con grande naviglio, e con molti armati a combattere i Saracini e poi sulla nuda terra, in abito, e con parole di penitente là si mori, presso alle rovine dell'antica Cartagine, aggiungendo nuove e meste memorie a un luogo, che per se stesso tacitamente insegnava quanto sia grande la vanità delle cose umane. Indi a poco i Pisani furono rotti dai Genovesi presso allo scoglio della Meloria, onde in Pisa, siccome scrive il Villani' : « Non » v'ebbe casa, o famiglia, che non rimanesse vota di >> più uomini morti, o presi in detta sconfitta, e d' al» lora innanzi Pisa non ricoverò mai suo stato, signo» ria, nè podere. » E perchè alla pisana infelicità mancasse il più dolce d'ogni conforto, la compassione,

Storie fiorentine, lib. vit, cap. xcit.

cioè, dell' universale, la miserabile morte del conte Ugolino, e de' suoi figli, e nipoti commosse tutti i buoni in Italia a vivissima indignazione contro di lei. E che questa sentisse Dante meglio d'ogni altro lo provano i versi, con cui ha dipinto il disperato dolore di quell'uomo colpevole forse contro la patria, ma più che colpevole sventurato ; lo provaño specialmente le fiere parole, con cui vitupera la crudeltà dei Pisani. Dante era giovine allora, e il cuore de' giovani non si arrende alle ragioni di Stato: si apre facile alla pietà; quindi i giovanili giudizi si fondano quasi sempre sopra di questa.

Il gran poeta non aveva compiuto i diciassette anni quando i Palermitani, e gli altri popoli di Sicilia, non potendo più tollerare la tirannia del re Carlo alzarono quel feroce concorde grido di « Muoiano, muoiano tulti i Francesi» e tutti i Francesi furono morti. Poi udì narrare, o forse vide con gli occhi suoi, la crudeltà di Filippo il Bello contro i templari, vide le scellerate rapine, le apparecchiate torture, gli accesi roghi, e udì da quelli levarsi tremenda voce, annunziatrice di morte al re peccatore. Quasi nel tempo stesso all' orecchio dell' esule ghibellino, o più veramente a quello dell' impavido difensore della giustizia giungeva il grido dell'elvetica libertà, la quale rimane, e perdura ancora, immota, siccome i monti presso cui nacque, mentre gli ordini di que' tempi sono per tutta Europa caduti, spente le famiglie dei re dominanti allora, morte le passioni che agitavano tutti i cuori, e tutte le menti. L'impresa tentata da pochi rozzi pastori sorti lieto fine i disegni degli ambiziosi caddero a vuoto, od ebbero corta vita, quasi a Dio piacesse far manifesto, nè le città, nè i re

gni poter durare senza giustizia, e l'aiuto suo non mancare a quelli, che prendono virilmente l'armi per lei.

Anche noi vedemmo rovine di troni, sollevamenti di popoli, furori di sette, crudeli guerre dai cittadini nella loro patria medesima combattute. Anche noi ci trovammo in mezzo ad odii tremendi, e inorridimmo più volte alla narrazione di eccessi osati appena dalle masnade di Attila, e di Alarico. Anche ai nostri tempi molti uomini d'alto cuore, e di forte ingegno si videro andare esulando o languire in tetra prigione, e il pianto degli orfanelli chiedenti il padre ci fece piangere ora di sdegno, ed or di pietà. Pure dov'è il poeta, che avendo impressa nell'anima la memoria, anzi l'immagine delle vedute sciagure l'abbia quindi ritratta ne versi suoi? dov'è il poeta, io dimando, che abbia saputo avere stile, fantasia, cuore, intelletto conforme ai tempi, siccome gli ebbe il grande Alighieri? Io non credo, che l'ingegno moderno abbia tanto negl' Italiani perduto di gagliardia da non potere sollevarsi all'altezza de' fatti, de' quali fummo noi testimoni ma il dubbio ci ha svigoriti: esso ha fatto sterile il nostro cuore; ha troncato le ali alla nostra immaginazione. Più non crediamo, e quindi più non amiamo: nè dove è morto l'amore ha vita la poesia. Però gli avvenimenti ond' è stato, noi presenti, turbato e sconvolto il mondo, hanno fatto negli animi nostri quella impressione, che i correnti navigli fanno sul mare il quale aprendosi dietro ad essi in solchi spumanti poi subito si richiude, appianandosi come prima in lucido specchio, o tempestoso agitando i suoi vasti flutti.

LEZIONE QUARTA.

SOMMARIO.

79

Come Dante vivesse la vita pratica, e la ideale - Effetti che ne seguirono

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Sua nascita, sua prima educazione, suo primo amo-
Prende le armi in servigio della sua patria · Come

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re, sue amicizie
s' innamorasse della filosofia Si narra quello che fece durante il suo
priorato Esilio di Dante, il quale di Guelfo si fa Ghibellino Suoi
viaggi Si dà a comporre in volgare il poema, già cominciato in la-
tino Va in Francia - Speranze destate in esso dalla venuta in Italia
di Arrigo di Lussemburgo - Perchè ricusasse di ritornare in Firenze -
Ultimi suoi viaggi, e sua morte,

L'educazione dell' uomo non può essere mai compiuta quando non riceva gli effetti della vita meditativa e della operosa. Ella fu buona presso gli antichi, perchè questi dopo di avere con faticosi studi acquistato la cognizione del vero e il senso del bello si davano al reggimento della repubblica, nè trascuravano l'arte. della milizia, onde erano al tempo stesso oratori, poeti, uomini di Stato e guerrieri. Ciò non accade tra noi; colpa in parte della fortuna, più ancora del nostro fiacco volere. Perchè se i tempi non ci consentono quello, che agli antichi fu lecito di operare, dove in noi fosse desiderio non meno del comun bene, che di estendere virtuosamente la fama del nostro nome, potremmo far molte cose, che non facciamo, per le quali ci saria dato di porre in atto i principii, e le verità, che speculando abbiamo trovato. Io qui favello di quelli, che danno

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