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PROPRIETÀ LETTERARIA

Torino

Stabilimento Tipografico VINCENZO BONA.

AI LETTORI

PQ4037
F5
V. 1-2

Licenziando al publico la terza edizione di questo volume sembrami non aver argomento a spiegarlo o raccomandarlo con troppe parole. Ho cercato di migliorarlo dove mi parve opportuno qualche ritocco, ho fatte più aggiunte qui e qua, ho emendata al possibile la frase e però mi conforta la speranza che i lettori benevoli concederanno a questa il favore di che vollero onorate le precedenti edizioni.

Ho detto i lettori benevoli, e in verità non mi sono inteso di adoperare la solita frase volgarmente convenzionale. Però che troppe volte il proposito deliberato di censurare a vanvera fu da questi miei volumi tristamente sperimentato. O sia la materia facilmente controversa, o il metodo facilmente disputabile, troppa gente mi fece l'onore di lodare a denti stretti quest'opera (forse perchè io non ho cercato mai privatamente, come è costume di troppi ormai, compiacenti e aperti encomiatori). Ma quando io per correggerla studiai certe censure e mi tormentai il cervello per rendermi esatto conto degli errori che m'ero lasciato scappare, dovetti persuadermi che a poca cosa si riducevano e che il meglio era lasciar dire e tirar dritto.

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Anche recentemente la Nuova Antologia mi faceva carico d'essere trascorso a giudizi estetici nell'esporre la letteratura moderna (Vol. III di questa opera), come se la letteratura dovesse insegnarsi alla gioventù per farne tanti bibliotecari, invece che per educare in essa il sentimento del bello e del buono, l'amore della Patria e dell'Arte! Che quel sapiente sia un professore?! Ma forse egli doveva trovar qualche cosa da censurare, non foss'altro per avere argomento a far di mattonella un elogio a libri altrui, fatti con tutt'altri intenti e però non confrontabili col mio.

E diceva quel criticone che la bibliografia è troppo scarsa, facendo dunque finta di non aver visto sulla copertina annunziata a lettere di scatola come imminente la publicazione delle Tavole bibliografiche in un volume separato! Oh l'onestà letteraria dei criticoni! Eppure queste due erano le sole censure ch'egli trovò da fare nel mio volume di più che 500 pagine. Segno che non ce n'erano, direbbe il lettor benevolo. No segno che il criticone non l'ha letto e che tira. giù le critiche ad occhio e croce, non con l'onesto proposito di rendere conto di ciò che un libro contiene, ma col proposito disonesto di dir male o bene o così così, secondo gli torna.

Poichè adunque la critica si fa oggidì in modo così fatto, è inutile una prefazione; perchè i benevoli non ne hanno bisogno e i malevoli, tanto, non ci badano.

Di Torino, nell'aprile del 1889.

G. F.

LEZIONE I.

Origine della lingua (1).

I. Varie opinioni sull'origine della lingua. II. 11 latino rustico.

III. Il latino

rustico fonte dell'italiano. IV. I dialetti italici antichissimi e moderni. V. Vocaboli d'origine straniera. VI. Trasformazione della grammatica. VII. Conclusione.

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I. La questione dell'origine della lingua italiana durò viva da Dante sino ai nostri giorni.

Dante, il primo a trattarne, nel libro De vulgari eloquentia, pur riconoscendo la parentela ch'è tra le lingue del s (italiana) d'oc (provenzale) e d'oil (francese), non sa riferirne la origine, come ad un ceppo comune, alla latina, e dice sembrargli ch'esse dovessero costituire un medesimo idioma prima della confusione babelica delle lingue. Le opinioni poi sostenute dagli altri moltissimi che ne scrissero, possono riassu

(1) Consulta su questa lezione, oltre gli autori in essa citati: DE MATTIO, Origine, formazione ed elementi della lingua italiana. Innsbruck 1869. CAIX, Saggio sulla storia della lingua e dei dialetti d'Italia. Parma, 1872. BARTOLI, I primi due secoli della letteratura italiana. Milano, 1880. GLORIA, Del volgare illustre dal secolo VII fino a Dante. Venezia, 1880. MORANDI, Sull'origine della lingua italiana. Città di Castello 1886. Indico questi, s'intenda bene, tra i più recenti e più facilmente alla mano per i giovani di buona volontà; e ciò sia detto una volta per sempre.

FINZI, Lezioni di Storia della Letteratura italiana, Vol. I, 3a ediz.

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mersi in tre, non tenendo conto della curiosa ipotesi messa in campo dal Giambullari (1495-1555) in quel suo trattatello sull'Origine della lingua fiorentina o Il Gello. « Il nerbo di << questa lingua (egli dice) è arameo (1) in tutto e per tutto; perchè, oltre un'infinità di voci che schiettamente sono « aramee, noi abbiamo ancora i modi e le proprietà del dire << tanto ebraiche e tanto caldee che quelle genti stesse non « le hanno maggiori ».

La più diffusa di quelle tre opinioni sopraccennate, recata in mezzo da parecchi cinquecentisti, come il Bembo (2) e il Varchi (3), e seguita poi variamente da molti scrittori moderni, si nostrali che forestieri, faceva derivare l'italiano dal corrompimento del latino per opera degl'idiomi parlati dai barbari. Ed è falsa, perchè solo circa 140 vocaboli d'origine germanica sono penetrati nella lingua nostra (quella del secolo XIII, s'intenda bene). E meno ancora vi penetrarono la pronuncia ed il colorito proprii degli idiomi teutonici; qualità che assai difficilmente possono modificarsi nella moltitudine dei parlanti, atteso che esse procedono essenzialmente da quelle varie condizioni territoriali, climatiche, fisiche, intellettuali e morali, da quella varietà d'instituzioni, costumanze, tendenze, educazione, cultura, che rendono così differenti l'indole e la civiltà dei popoli.

Altri invece (per es., il Giudici sulle orme del Fauriel (4)) ri

(1) Aram, scrive il GIAMBULLARI stesso, chiamano le Sacre Scritture tutta la Siria e di qua e di là dell'Eufrate.

(2) Nel trattato a dialogo: Della volgar lingua. Venezia 1575, Milano, Sonzogno, 1880.

(3) Nell'Ercolano. Dialogo. Firenze 1570, Milano, Sonzogno, 1880.

(4) CLAUDIO FAURIEL, Dante e le origini della lingua e della letteratura italiana. Trad. dal fr. - PAOLO EMILIANI GIUDICI, Storia della letteratura italiana. Firenze, Le Monnier.

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