Sayfadaki görseller
PDF
ePub

ferve in ogni pagina del Canzoniere. Alle volte è il sentimento umano che vince, e allora fremono i desideri ardenti dell'innamorato (sestina 3a: sonet. 36), allora egli accusa la durezza di Laura (canz. 1a e 4a: sonet. 37: sest. 2o e 3o), si lagna ch'ella troppo di rado gli si lasci vedere (ballata 1a; sonet. 24 e 36: canzone 6a e 8); ripensa ai luoghi dove la vide, e le forme e le vesti di lei (canz. 2 e 11: sonet. 61), e si dibatte sotto il giogo dell'amore e vorrebbe scuoterlo o morire (canz. 6a: sonet. 22). Altre volte invece le due coscienze si consociano, i due sentimenti opposti si contemperano e l'amor suo di terreno si fa spirituale; allora Laura diventa per lui sprone a belle opere e fonte di santi e nobili pensieri e gli apre la via che lo conduce al cielo (canzone 17a); allora grida:

<< I' benedico il loco e 'l tempo e l'ora
«Che sì alto miraron gli occhi miei,
«E dico: Anima, assai ringraziar dei,
«Che fosti a tanto onor degnata allora.

[ocr errors]

Da lei ti vien l'amoroso pensiero,

« Che, mentre 'l segui, al sommo Ben t'invia,
« Poco prezzando quel ch'ogni uom desia;
« Da lei vien l'animosa leggiadria

« Ch'al ciel ti scorge per destro sentiero;
«Sì ch'io vo già della speranza altiero ».

Ma talvolta il misticismo prende bruscamente il sopravvento e il povero poeta condanna il suo amore, disprezza le belle membra che ha tanto desiderate, domanda a Dio inspirazione a una vita migliore, chiama perduto il tempo speso in amore, e grida indegno l'aver posto in cosa mortale tanta fede, quanta solo si conviene alla divinità (canzone 17: sonetto 40, ecc.).

Tale è la storia di ventun anni d'amore e di poesia. Finchè Laura vive, è un continuo aspirare a lei e pentirsene poco appresso; cercarla e fuggirla; saperla inflessibile e desiderarla

pieghevole: rappresentarsela in tutti gli aspetti e in tutti gli atti, ritrarne tutte le forme e tutte le movenze, studiarne tutte le bellezze, deliziarsi nella contemplazione ideale di quella figura vagamente dipinta nella sua fantasia e compiacersi poi d'appannarla egli stesso e distruggerla al primo ritorno di coscienza, al primo soffio d'ascetismo. Ma passato que! soffio la figura si ricompone, l'idolo ricupera il suo impero sul cuore del poeta e la donna trionfa più bella e più lucente ne' suoi canti. I quali non solamente ti dånno la viva pittura di Laura, quale appariva alla imaginazione del poeta, ma e ti significano i moti, i tumulti, gli sgomenti di quell'anima combattuta. Ciascun sonetto, ciascuna canzone è come un mo mento di quella storia d'amore; idealeggiato, si sa, quanto ai particolari e al colorito, e vestito di quelle forme che prendeva a traverso l'animo di lui commosso e la fantasia infiammata.

Se non che, mentre Laura era viva, egli aveva un bel sognarsela e un bel fantasticare; i lieti pensieri soavi e le care imagini dovean tosto sfatarsi dinanzi alla cruda realtà. Ella era sorda ai suoi sospiri e non sapeva i suoi vaneggiamenti; tale il pensiero che gli martellava il cuore, tale il ritornello costante delle sue rime: desiderio insoddisfatto, amore non ricambiato. Ma, quando Laura venne a morire, il desir che monta e cresce (1) dovè necessariamente spuntarsi dinanzi al gelo della tomba, e il poeta immemore ormai delle ripulse patite, potè lasciar libero il volo alle sue fantasie e imaginare nelle gioconde illusioni la carissima donna fatta pietosa, innamorata anch'essa e tutt'occupata dell'amor suo. Per tal guisa nella seconda parte del Canzoniere Laura si trasfigura e,

(1) Parte Ia, sonetto 37.

d'idolo ch'era, diventa più veramente donna (1). Nella prima parte è schiva, fredda, compassata, statua più che persona; qui invece è amabile ed amorosa, scende consolare il poeta, non sospira che di lui, ascolta attentamente la storia delle sue pene, gli asciuga il pianto con la mano tanto desiderata e gli dice parole d'ineffabile dolcezza (cfr. canz. 1a e 6a; sonetto 14, 15, 18, 70, 71). Egli si inalza col pensiero sino al cielo ov'ella, per esprimermi con una frase di Dante (2), non ha altro difetto che d'aver lei. Chi non ricorda questo mirabile sonetto?

Levommi il mio pensiero in parte ov'era
Quella ch'io cerco e non ritrovo in terra:
Ivi, fra lor che il terzo cerchio serra,
La rividi più bella e meno altera.

Per man mi prese e disse: in questa spera
Sarai ancor meco, se il desir non erra;
I' son colei che ti die' tanta guerra,
E compie' mia giornata inanzi sera.

Mio ben non cape in intelletto umano;
Te solo aspetto e quel che tanto amasti,
E laggiuso è rimaso, il mio bel velo.

Deh perchè tacque ed allargò la mano?
Ch'al suon de' detti sì pietosi e casti

Poco mancò ch'io non rimasi in cielo ».

Ora si noti la frase: se'l desir non erra. Laura, non più sdegnosa e fiera come in suo vivente, desidera ora ed ama il poeta e non si perita di confessarglielo e dirgli ch'ei solo manca alla sua beatitudine: te solo aspetto e il mio bel velo; quasi che a rendergli intera la felicità, anche tra i gaudi celesti, ami rivestirsi di quella bellezza corporea che a lui

(1) Cfr. il sempre bellissimo Saggio sul Petrarca del compianto DE SANCTIS, al cap. La trasfigurazione di Laura.

(2) V. nella Vita Nuova la canzone: Donne che avete intelletto d'amore.

piacque tanto. Questo certo non è linguaggio d'angelo, ma di donna.

Così con la morte di Laura si calma il dissidio che lacerava il cuore al poeta, il quale ora può serenamente contemplare nelle sue estasi la cara donna, tutta data all'amor suo, con affetti e sentimenti tutt'umani, senz'ombra di sensuale nè di mistico. E conversa con lei e, ripensando il passato, trova bella e loda anche e benedice la sua durezza non ad altro attribuendola che al verace amore ch'ella nutriva per lui. I seguenti luoghi del Trionfo della morte mostreranno, meglio di molte nostre parole, la completa trasfigurazione di Laura. È il poeta che domanda e lei che risponde:

[ocr errors]

Deh, Madonna, diss'io per quella fede
Che vi fu, credo, al tempo manifesta,
Or più nel volto di chi tutto vede,
Creovvi Amor pensier mai nella testa
D'aver pietà del mio lungo martire,
Non lasciando vostr'alta impresa onesta?
Ch'e' vostri dolci sdegni e le dolc'ire,
Le dolci paci ne' begli occhi scritte,
Tenner molt'anni in dubbio il mio desire.
Appena ebb'io queste parole ditte,
Ch'io vidi lampeggiar quel dolce riso
Ch'un Sol fu già di mie virtudi afflitte.
Poi disse sospirando: mai diviso

Da te non fu 'l mio cor, nè giammai fia:
Ma temprai la tua fiamma col mio viso.
Perchè a salvar te e me, null'altra via
Era alla nostra giovinetta fama :

Nè per forza è però madre men pia.

Fur quasi eguali in noi fiamme amɔrose,
Almen poi ch'io m'avvidi del tuo foco:
Ma l'un l'appalesò, l'altro l'ascose.

Tu eri di mercè chiamar già roco,
Quand'io tacea, perchè vergogna e tema
Facean molto desir parer sì poco..

Non è minor il duol perch'altri 'l prema,
Nè maggior per andarsi lamentando:
Per finzion non cresce il ver nè scema.

Teco era 'l cor: a me gli occhi raccolsi :
Di ciò, come d'iniqua parte, duolti,

Se 'l meglio e 'l più ti diedi, e 'l men ti tolsi».

IV. I Trionfi sono l'ultimo lavoro poetico del Petrarca; avendoli egli incominciati nel 1357, non si può con sicurezza asserire che l'ispirazione glie ne sia venuta dalla lettura della Divina Commedia, mandatagli in dono nel 1359 dal Boccaccio, amico suo e ammirator grande e primo commentatore di Dante. L'imitazione c'è tuttavia (1), e si palesa non tanto nell'uguaglianza, tutta esteriore, del metro, quanto nell'orditura generale e in molte particolari imagini e rappresentazioni. Certo non è a dimenticare che l'imitatore si chiama Petrarca; ma quell'apoteosi di Laura, quell'incastonare l'imagine di lei in un più vasto concetto morale, qual è lo stato dell'uomo ne' diversi stadi della vita sua propria e dell'universo, quella sfilata di personaggi che seguono il trionfo d'Amore e ricordano a forza il canto di Francesca, quell'altro del trionfo della fama che arieggia al quarto dell'Inferno: quelle personificazioni, quelle allegorie, quel fare dottrinale han troppa somiglianza si licet parva componere magnis — con l'idea e con taluni episodi e passaggi della Commedia, da poter negarne l'imitazione.

[ocr errors]

Il concetto adunque dei Trionfi è morale, e la forma è allegorica, perchè rappresentano per mezzo di simboli e di personificazioni vari stati e condizioni dell'uomo. Non c'è nè larghezza di disegno, nè splendore d'imagini, e le figure non han vita, non sono che ombre. Solo dove campeggia Laura

(1) Si noti che il P. lavorava ancora ai Trionfi nel 1373.

« ÖncekiDevam »