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ferirono l'origine degli idiomi neolatini al risorgere degli antichi dialetti parlati nei vari paesi avanti la conquista di Roma; dialetti non potuti spegnere nè distruggere dal latino. Ma questa teoria non è più accettabile della prima, perchè la maggiore e miglior parte di quei dialetti è ancora sconosciuta ai linguisti, nè forse questo sarebbe se gli elementi loro rivivessero nelle moderne lingue romanze.

La terza opinione, onore del quattrocentista Leonardo Bruni Aretino (1), che primo la concepi, fa provenire il volgare dalla parlata plebea (sermo rusticus, castrensis, plebejus), che doveva vivere anche ai più bei tempi della cultura romana. E l'opinione del Bruni fu provata vera dalla critica moderna, mercè principalmente gli studi dell'insigne filologo tedesco Federico Diez (2). Non già che molti altri dei nostri scrittori non avessero, in parte almeno, intraveduta la verità; ma il fatto è che non si poteva ottenere un risultato sicuro, prima che l'opera laboriosa d'una lunga schiera di studiosi non avesse raccolti e sceverati e preparati i materiali alla critica, e che questa, procedendo con quel metodo sperimentale e comparativo a cui s'informano le scienze, non avesse volta la filologia per la sua vera strada, e fattane una vera e propria scienza.

II. — Si può adunque avere per fermo che la lingua italiana (del pari che la francese, la spagnuola e la portoghese) trae la sua principalissima fonte dal latino. Non però dal latino classico, che adoperarono gli scrittori, ma da quel latino rustico, che viveva a canto al classico ed era parlato dal popolo.

(1) In una lettera latina a Flavio Biondi di Forlì. Vedi Epistolae familiares, lib. VI, 10. 1472. Lo seguì CELSO CITTADINI nel Trattato della vera origine e del processo e nome della nostra lingua. Roma 1721. (2) Grammatica delle lingue romanze. Tedes. trad. anche in fr. Paris, Franchi, 1874.

Gli antichi ci han lasciate non dubbie traccie d'un tal volgare e non dubbie testimonianze della sua esistenza. Dico che presso molti scrittori, come Ennio, Plauto, Terenzio, Lucrezio, Varrone, Vitruvio, si trovano parole che evidentemente ap partenevano alla parlata del popolo. E testimonianza ne abbiamo, tra gli altri, in Cicerone dove (De oratore, III) consiglia a fuggire così la rusticam asperitatem come la peregrinam insolentiam, e dove (ibid.) scrive: rustica et agrestis quosdam delectat, quo magis antiquitatem, si ita sonet, eorum sermo retinere videtur, e dove ricorda il sermo plebejus; e in Quintiliano (Instit. Or. XII), a cui aliam videtur habere naturam sermo vulgaris, aliam viri eloquentis oratio.

Del resto, l'esistenza dei dialetti dell'uso a canto alla lingua nobile delle scritture è un fatto necessario e comune a tutti i popoli antichi e moderni, per modo che, anzichè abbisognare di prova per dimostrarlo, si potrebbe a giusta ragione, secondo che dice appunto il Diez, domandare le prove a chi asserisse il contrario, come di un'eccezione alla regola.

III. Ma perchè l'italiano uscì dal latino volgare e non dal latino illustre? Gli è che una lingua ne produce un'altra trasformandosi continuamente per corruzione fonetica e per isvolgimento interiore. Corruzione fonetica, perchè con l'alterarsi progressivo dei suoni si vengono di conseguenza alterando le forme tutte della lingua; svolgimento interiore, poichè mutando intimamente e di continuo tutti gli elementi che costituiscono la vita di un popolo, come dire instituzioni, costumi, idee, sentimenti, ecc., anche la lingua, che tutto ciò riflette in sè stessa come specchio fedele, si trasforma, si svolge, appunto perchè deve adeguarsi perfettamente a cotesto incessante svolgersi della civiltà. La corruzione fonetica, che genera l'alterazione morfologica, riguarda adunque soltanto

l'esteriore dei vocaboli, la forma; Deus è diventato Dio per alterazione fonetica; e così augello è venuto da avicella, pecchia da apicula, meraviglia da mirabilia, gozzoviglia da gaudibilia, giorno dall'agg. diurnum, amavano da amabant, ecc. Lo svolgimento interiore, come dice abbastanza chiaramente l'espressione, tocca l'intima natura, la sostanza della lingua e procede di pari passo con l'evoluzione del pensiero. Cosi moglie (da mulier) prese il posto di uxor per essersi rallentati i vincoli coniugali in maniera che la donna non era più tenuta nell'alto concetto di consorte e madre di famiglia (uxor), ma era solamente avuta in conto di femmina (mulier). Del pari la forma quest'oggi (hanc hodie) deriva dall'essersi perduto il concetto dell'hoc già compenetrato nell'hodie (hocdie). Di guisa che procedendo anche più oltre si generò la forma ancor più larga ed analitica aujourd'hui (al-giornod'oggi) che scende direttamente dalla lunga circoscrizione usata nel basso latino, in hoc diurnum de hodie; come se hoc diurnum non sonasse in fondo il medesimo che hodie. Finalmente a questa cagione dello svolgimento interiore voglionsi riferire anche le nuove forme verbali introdotte nelle ingue romanze, come il modo condizionale, il tempo passato rossimo, e va dicendo. Così il volgare latino diventa a poco 1 poco sempre più differente da quello di prima, fino a prenlere aspetto e qualità e forma di lingua del tutto nuova.

Una somigliante evoluzione non poteva avvenire nel latino llustre; quel latino che, pur avendolo raccolto dalla bocca del opolo, gli scrittori avevano regolato e polito e immutabilnente fissato in quei monumenti dov'esso raggiunse così alto rado di ricchezza, d'eleganza e d'armonia. Come col cader ell'impero venne spegnendosi la civiltà e la cultura romana, nche la lingua, che il popolo conquistatore in un con le leggi veva imposto ai vinti, anche la lingua cedette il luogo alle

parlate plebee, le quali, occulte da prima e riservate all'us privato, s'innalzarono allora a più nobile ufficio, servendo ag usi della curia, del tribunale, della scuola. Al prevalere p e allo svolgersi del latino rustico conferirono eziandio ass efficacemente le invasioni barbariche e il diffondersi del cr stianesimo. Chè le invasioni spensero quasi ogni lume di cu tura letteraria; e i predicatori e gli scrittori sacri, dovend per amore di chiarezza e per poca dottrina, adoperare quell lingua ch'era ormai la sola parlata e capita da tutti, venner parlando e scrivendo un latino sempre più contraffatto, vu per l'uso e il significato dei vocaboli, vuoi per la costruzion e la sintassi.

Allora nella lingua scritta furono introdotte tutte quell forme le quali prima non appartenevano che alla parlata d volgo. Quindi ebriacus si sostituì a ebrius, bucca ad os, tesi a caput, ficatum a jecur, porta a janua, spatula a humera fluvius ad amnis, campus ad ager, serpens ad anguis, belli a pulcher, casa a aedis, diurnus a dies, catus (quindi gatt a felis, batuere a verberare, ed altre infinite. Allora alcu voci, come domus, vesper, verbum, perdettero nell'uso comu il loro primitivo significato, perchè consacrate alla religion Si può pertanto asserire che il vocabolario italiano è cir per nove decimi nel latino volgare. Certo che avemmo tos anche noi una lingua letteraria illustre, la quale non accol che una parte del latino volgare, ricevendo dagli scrittori, p opera della cultura classica, moltissime voci, forme e costru proprii soltanto al latino scritto (1).

(1) E per ciò abbiamo anche molte forme parallele, o dittologie com per es., flebile e fievole, flutto e fiotto, ecc. Fievole e fiotto sono di fo mazione popolare, e flebile e flutto, più vicine all'originale latino fleb e fluctus, sono di formazione letteraria posteriore.

IV.-Quando però si è affermato che la lingua italiana deriva dal latino rustico non si è risolta che a mezzo la complessa questione. Perchè di qual lingua italiana s'intende parlare? Ancor presso alla fine del secolo XIII la lingua comune dei dotti, della curia, degli uffici e de' contratti privati e publici è in Italia il latino e intanto non pur nelle varie regioni, le quali hanno già i nomi storici che conservano anche al presente (Lombardia, Veneto, Toscana, Umbria, Liguria, Puglia, ecc.), ma eziandio nelle varie città delle medesime regioni si parla un volgare diverso. Per la qual cosa il fiorentino si differenzia dall'aretino, dal pisano, dal lucchese, tuttochè Arezzo, Pisa e Lucca non siano che a breve distanza da Firenze. Se adunque nel trecento non c'era una comune lingua italiana, ma solo c'erano molti dialetti italiani, non è tanto da cercar nel latino rustico l'origine della lingua letteraria italiana quanto l'origine dei nostri dialetti. Che se poi uno di questi dialetti o volgari italici diventò la lingua letteraria comune a tutta la nazione italiana, ciò potè procedere da moltiplici cagioni che la storia letteraria ha certo ufficio di ricercare; ma il fatto non si può anticipare ad un tempo che non ne ebbe invero nè coscienza nè sentore di sorta.

Come adunque dal latino rustico nacquero i dialetti italiani? Per rispondere a siffatta domanda è necessario risalire assai addietro nei secoli, quando prima ancor di Roma molti popoli di stirpe in certo modo affine, ma pure più o meno diversi di costumi, di lingua e di leggi, popolavano la penisola col nome di Etruschi, Oschi, Umbri, Sabelli, Messapi, Apuli, Campani, ecc. I paesi da loro abitati furono a poco a poco sottomessi alla crescente potenza di Roma, la quale a mano a mano, con quella sua meravigliosa forza di assimilazione che non ha riscontro nella storia umana, li venne romanizzando, imponendo loro tutti gli elementi della propria civiltà, e principalissimo la lingua.

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