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di dumilia agostari. Quanto a questi agostari, furono coniati, dicono costoro, da Federico II dopo il 1231; onde la poesia che fa menzione della difensa e degli agostari non può essere anteriore al 1231 (così concludono) perchè prima non c'erano (1).

Ora, come si spiega la contraddizione di questi indizi storici? Ecco: prima di tutto è certo minor meraviglia che Ciullo, per qualsiasi causa, dia per vivo un morto, di quello che profetizzi leggi e monete di là da venire. Poi, ci fu chi credè dover mutare la frase « quant'ha lo Saladino » in « quanto aveva 'l Saladino »; altri in « quant'abbe » (per ebbe); altri in altro modo, ma pur sempre in passato; variante che torrebbe la discrepanza tra' commentatori, ma non accettabile per la concordia dei codici, nè necessaria. Il vero è che qui Saladino e Soldano non hanno valore individuale, non si riferiscono personalmente a questo o a quel principe musul

(1) In vari scritti, più o meno recenti, i dotti siciliani hanno strenuamente propugnata l'antica opinione che riferiva il contrasto al secolo XII. Anche recentissimamente il Di Giovanni, nel volume II de' suoi Studi di filologia e letteratura siciliana, ripublica un lungo scritto nel quale si ribatte con molta e molto ingegnosa dottrina le conclusioni del D'Ancona. Dalla dissertazion del Di Giovanni può dirsi assodato che difensa e agostari non faron sì proprii di Federico II da non poter essersi accennato ad essi anche in un tempo anteriore. Qui non è luogo da rinfrescar siffatte questioni; solo ci sembra di dover ritenere che, non ostante gli argomenti vecchi e nuovi del Di Giovanni, al contrasto Alcamese non si può assegnare una data anteriore ai primi decenni del secolo XIII. Il che ci conduce a concludere che pochi lustri prima o pochi lustri poi la fioritura poetica nelle varie regioni italiane fu presso che contemporanea. Se i Siciliani vogliono per sè l'onore di aver, i primi, data la nuova poesia all'Italia, non mancano quelli che hanno ben diversa sentenza. Infatti il Monaci, grande autorità in questa materia, in un saggio stampato nella Nuova Antologia (15 agosto 1884) col titolo Da Bologna a Palermo, propende a credere, per documenti trovati, che il movimento della poesia avesse nel secolo delle origini seguìto una via opposta a quella creduta sin qui, vale a dire si fosse formato prima un centro poetico a Bologna e di qui l'arte nuova irraggiasse nella rimanente Italia giungesse tosto

sino in Sicilia.

mano, ma antonomasticamente a dei principi musulmani in genere, dei quali ancor oggi tra il popolo è proverbiale la ricchezza; tanto più che nome di Saladini ebbero anche i successori di Jussuf, così appunto come si chiamarono e anche oggi si chiamano Napoleoni i più o meno diretti discendenti del primo imperatore. Quindi, poichè non è qui luogo di passar distesamente in rassegna tutti gli altri argomenti, concluderemo anche noi che il Contrasto Alcamese non può farsi risalire più addietro del 1231.

Per ciò che tocca la lingua, fino ai nostri giorni s'è creduto, in generale, che Ciullo e gli altri Siculi scrivessero i loro canti tali e quali sono pervenuti a noi. Il che viene a dire che circal a mezzo il secolo XIII s'era già formata in Italia una lingua letteraria comune, o che almeno fin d'allora la Sicilia aveva bella parte, insieme con la Toscana, all'onor di quella lingua che doveva poi dar la Vita Nuova e la Commedia. Ma ormai la critica imparziale ha fatto giustizia di questa falsa opinione, la quale, poichè ne verrebbe ai Siciliani la gloria della lingua, fu sempre ed è tuttavia tenacemente difesa dagli scrittori dell'isola. No: ogni regione d'Italia nel secolo XIII adoperò il proprio dialetto; e come Pietro da Bescapè il milanese e Bonvesin da Riva e la Donna padovana il veneto, e l'Anonimo genovese il ligure, così Jacopone da Todi usò il suo umbro ed i siculi il loro siciliano. Se non che mentre gli scrittori popolari si mantenevano quasi interamente fedeli al loro dialetto regionale, i poeti d'arte, e segnatamente quei di corte, pur conservandone il fondo e l'impronta, cercarono probabilmente d'innalzarlo ad un certo tipo di lingua letteraria comune che, come dice Dante nel suo De vulgari eloquentia, si rinveniva in tutte le contrade d'Italia e non era propria di nessuna. È pur da ritenere che in quel quasi repentino germogliare della nuova poesia in tutte le regioni italiane, fosse tra queste un continuo e potente scambio d'influssi anche per ciò che tocca la lingua. Di guisa che, come tutti i rimatori dotti e cortigiani si stringevano concordi in quell'angusta cerchia di concetti e d'espressioni convenzionali che formavano il sostrato della poesia provenzale, così anche usa

FINZI, Lezioni di Storia della Letteratura italiana, Vol. I, 3a ediz.

vano una cotal loro lingua convenzionale, che aveva il proprio fondamento nei singoli dialetti, ma pur recava mescolata una più o meno grande quantità di forme proprie non solo della Provenza, ma eziandio di quegli altri paesi italiani dove prima venne in fiore l'arte nuova. E questa è la ragione per cui nei poeti siciliani si possono trovare molte voci pugliesi e toscane, nei toscani molte pugliesi e siciliane, nei bolognesi molte sicule e toscane, e così via. Ciò deve essere accaduto in origine; trasmigrati poi in Toscana, i canti Siculi, Pugliesi, Bolognesi vi furono, inconsciamente forse, travestiti quasi del tutto nel volgare della nuova patria, e così passarono nei codici e dai codici nei libri. Di che si ha una prova evidente nel fatto, che in molti luoghi la parola toscana, sostituita alla siciliana, distrugge la rima e guasta spesso la misura del verso. E la riprova si desume dalla non lieve differenza idiomatica ch'è tra il canto di Ciullo e quelli de' poeti cortigiani suoi contemporanei; chè questi, usando concetti ed espressioni convenzionali e comuni, poterono venir assimilati dai Toscani più facilmente che non il Contrasto, il quale, improntato di uno schietto colorito locale, non poteva perdere in tutto la sua forma primitiva senza perdere anche qualcosa del suo carattere, senza modificarsi anche sostanzialmente. Il che non toglie però che anche il poeta del Contrasto non siasi sforzato d'accostarsi anch'esso a quel tipo quasi convenzionale di vulgare aulico che sopra ho detto, adoprandovi una quantità di parole più o meno ricercate e, non certo prette sici liane, ma provenzalesche, pugliesi, ecc., le quali più crudamente spiccano tra le rozze espressioni e il far grossolano del com. ponimento. Aggiungeremo per ultimo che, a cagione appunto di questa mescolanza un valoroso filologo, troppo presto rapito ai buoni studi, Napoleone Caix, non dubitò attribuire a questo Contrasto un'origine pugliese anzichè siciliana. Ma è pur d'uopo confessare, come a conclusione di questa disamina, che, finchè manchino nuovi documenti originali ed autentici veramente, la maggior parte delle questioni da noi toccate intorno a questo periodo non si potranno risolvere se non se con più o meno probabili congetture.

Am.

Mad.

Am.

Mad.

IL CONTRASTO.

Rosa fresca aulentissima, ch'appari in ver la state,
Le donne te disiano, pulzelle e maritate (1):

Traemi d'este focora, se t'este a bolontate;
Per te non ajo abento (2) notte e dia
Pensando pur di voi, madonna mia.

Se di meve trabagliti, follia lo ti fa fare;
Lo mar potresti arrompere avanti a semenare (3):
L'abere d'esto secolo, tutto quanto assembrare (4):
Averemi non pòteri (5) a esto monno;

Avanti li cavelli m'arritonno (6).

Se li cavelli artonniti, avanti foss'io morto,
Cà 'n issì mi perdera (7) lo solaccio e 'l diporto.
Quando ci passo (8) e vejoti, rosa fresca dell'orto,
Bono conforto donimi (9) tutt'ore:

Poniamo (10) che s'ajunga il nostro amore.

Che 'l nostro amore ajungasi non boglio m'attalenti (11);

Se ci ti trova pàtremo cogli altri miei parenti,

Guarda non t'arricolgano questi forti correnti (12).

(1) Cangiato ormai toscanamente estati e buluntati in state e bolontate, fu necessario modificare tutto il secondo verso, che doveva parlare di uomini e non di donne : e poichè non poteva più dirsi Li omini ti disiano pulzelli e maritate, si cangiò addirittura il verso, dicendo: le donne, ecc. ». V. D'ANCONA, Commento al Contrasto, in Ant. Rim. volg. secondo la lez. del Cod. Vat. 3973, Vol. 1o.

(2) Riposo.

(3) Potresti solcare, arare il mare per seminarvi dentro.

(4) Ragunar tutte le ricchezze di questo mondo.

(5) Non potresti.

(6) Arritonno: taglio (tondeo). Prima mi taglio i capelli, cioè mi fo monaca. (7) Perderei.

(8) Ci passo, cioè innanzi a casa tua.

(9) Mi dai.

(10) Facciamo.

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(11) Mi talenti, mi piaccia. (12) Quasi tutti interpretano: guarda non ti accolgano (non essere gettato in) queste correnti impetuose. Noi inclineremo a intendere in modo sospensivo il verso antecedente, come chi dicesse: se ti ci trovano i miei!... Nel seguente è rinterzata la frase con la ripetizione « Guarda non ti arricolgano (non ti colgano), e vie più coi qualificativi forti correnti, che si devono riferire ai parenti, e potrebbero significare impetuosi,

Am.

Mad.

Am.

Mad.

Como ti seppe bona (1) la venuta
Consiglio che ti guardi alla partuta.

Se i tuoi parenti trovanmi, e che mi posson fare?
Una difensa mettoci di dumilia agostari;

Non mi toccara patreto per quanto avere ha'n Bari (2):
Viva lo 'mperadore, graz'a Deo!

Intendi, bella, questo che dich'eo?

Tu me non lasci vivere nè sera nè mattino:

Donna mi son di pèrperi, d'auro massa ammontino (3);
Se tanto aver donassimi quant'ha lo Saladino,
E per ajunta quant'ha lo Soldano,

Toccareme non pòteri (4) a la mano.

Molte sono le femmine ch'hanno dura la testa
E l'uomo con parabole l'addimina e ammonesta (5);
Tanto intorno percacciale fin che l'ha in sua potesta.
Femmina d'uomo non si può tenere.

Guardati, bella, pur di ripentere.

Ch'eo me ne pentesse? Davanti foss'io uccisa
Ca nulla buona femina per me fosse ripresa.
Er sera ci passasti correnno (6) alla distesa;

violenti, o fors❜anche correnti nel proprio significato, come dire: non avere speranza di scampare, chè ti raggiungono. Questa frase di forti correnti adoperata nel senso da noi detto è anche nella Tavola ritonda (cap. 1), edizione Polidori, Bologna 1864.

(1) Ti fu, ti riuscì buona. Sapere con simile costrutto e significato è anche dei classici.

(2) Si può intendere in due modi: per quante ricchezze ha tuo padre in Bari, o per quante ricchezze ci sono in Bari (alludendo forse al tesoro di S. Niccolò?): come chi dicesse in particolare: « se fosse ricco più di Creso » o in generale: << per tutto l'oro del mondo ». II D'OVIDIO però suppone qui la forma ambari corruzione di ammari, in mare.

(3) Pèrperi: monete d'oro bizantine Massa: ammasso, copia Ammontino: a monti, a mucchi. Intendi: son donna ricca, io: ho l'oro a massi, a monti.

(4) Non potresti.

(5) Le domina, le signoreggia e persuade, spiegano tutti; ammonesta è un provenzalismo che vale ammonisce, persuade. Ma non tornerebbe meglio spiegare addìmina e non addimina (addimena, mena: e il Petrarca: questa mia donna mi menò molt'anni) per trascina, aggira? L'uomo con parole le aggira e persuade? Però poco avanti troveremo anche dimino per dominio.

(6) II D'ANCONA preferirebbe cantanno, ed a ragione, quanto al senso.

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