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derò molte parole in pregarla; m'allungherò piuttosto in significarle il mio bisogno.

Sappia adunque Vostra Signoria, che da otto mesi in qual ho avuto molti travagli: ma fra tutti i miei danni il maggiore è quello ch'io ricevo da' miei servitori; i quali essendomi stati un pezzo in casa per vie occulte, al fine mi sono scoperti manifesti nemici, e da loro mi sono state rubate alcune de le mie scritture più care, e fatti altri danni notabili, perocchè la lor scelleraggine, che è notissima a me ed a molti, è più tosto ammantellata che convinta da' giudici, nẻ s'essi vanno impuniti, posso sperare di avere in questo stato servitore che non sia per imitarli. Onde ho deliberato di ricorrere a Vostra Signoria, e di pregarla per la nostra antichissima conoscenza, per l'osservanza che sempre le ho portata, per la sua virtù, per l'umanità, ed insomma per lo debito di cavaliero e per la carità cristiana, che mi mandi da cotesto stato, o pur dai suoi proprii castelli, un servitore, su la fede del quale io possa riposare. E tanto è il timore ch'io ho che mi sia corrotto, che riceverò per grazia singolarissima s'opererà ch'a la sua autorità s'aggiunga quella del signor duca da Urbino, il quale lo minacci di gastigo gravissimo, ogni volta ch'egli commetta verso me alcun mancamento; ed in questo dica di volersene stare a la mia relazione, perché prove iuridiche di qui, in questo caso, non potrebbe aspettare. Dica di farlo; e quando avvenisse il caso (il che non credo) faccia quel che giudicherà convenevole. Io scrivo per questa ragione a Sua Eccellenza cosí in generale; rimettendomi a quel di più, che Vostra Signoria le dirà in nome mio.

Gli anni del servitore non vorrei fossero meno di diciasette, né più di trenta: la condizion tale ch'egli non isdegnasse di far tutto ciò di che può aver bisogno un povero cortigiano, benché egli avrà poco da fare e non verrà mai meco per la terra: ed occorrendo che io faccia viaggio, lo menerò a cavallo. Che sia pro' de la persona non m'importa, perché non temo di violenze; se fosse, non mi spiacerebbe: ma perché manchi questa condizione, non si resti di mandarlo, se per altro è buono. Il salario ch'egli avrà da me, sarà uno scudo e mezzo il mese, d'oro in oro; ed oltra il salario, gli darò

tanti de' miei panni, che poco avrà da spendere in vestirsi, ed essendo quale io spero, avrà da me più che non prometto. Signor Guido Baldo, questo favore ch'io ora le domando, se si misura dalla facilità con ch'ella il può fare, non è per avventura se non mediocre; se dal bisogno ch'io ne ho, è grandissimo e tale, che se Vostra Signoria non mi dà servitore, sono costretto necessariamente a mutar patrone, e patrone amorevolissimo; o almeno, a mutar stanza. Quanto prima Vostra Signoria me lo manderà, più mi sarà caro: e s'è possibile, e se la brevità del tempo non deve pregiudicare al giudizio de la elezione, Vostra Signoria me lo mandi subito dopo la ricevuta di questa. Venga co' suoi commodi, che li rimborserò quanto avrà speso per viaggio. Ecco ch'io le ho esposto il mio bisogno, senza molte cerimonie, e senza molti preghi: ma s'io nel pregarla non sono stato efficace, sarò gratissimo nel riconoscere il favore, il quale mi legherà d'obligo eterno. Ed a Vostra Signoria bacio le mani; pregandola di baciarle in mio nome al signor suo padre, ed al signor abate quando li scriverà. Di Ferrara (1577).

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Che dirà il mio signor Antonio quando udirà la morte del suo Tasso? E per mio avviso non tarderà molto la novella; perché io mi sento al fine de la mia vita, non essendosi potuto trovar rimedio a questa mia fastidiosa indisposizione, sopravvenuta alle molte mie solite; quasi rapido torrente dal quale, senza potere avere alcun ritegno, vedo chiaramente esser rapito. Non è più tempo che io parli de la mia ostinata fortuna, per non dire de la ingratitudine del mondo, la quale ha pur voluto aver la vittoria di condurmi alla sepoltura mendico; quando io pensava che quella gloria che, malgrado 'di chi non vuole, avrà questo secolo da i miei scritti, non fusse per lasciarmi in alcun modo senza guiderdone.

Mi son fatto condurre in questo munistero di Sant'Onofrio, non solo perché l'aria è lodata da' medici, più che d'alcun'altra parte di Roma, ma quasi per cominciare da questo luogo e con la conversazione di questi divoti Padri, la mia conversazione in cielo. Pregate Iddio per me: e siate sicuro, che si come vi ho amato ed onorato sempre ne la presente vita, cosi farò per voi nell'altra più vera, ciò che a la non finta ma verace carità s'appartiene. Ed a la Divina grazia raccomando voi e me stesso. Di Roma, in Santo Onofrio (1595).

LEZIONE IX.

Il poema eroico e Torquato Tasso. (1)

II. La vita del Tasso.

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I. I precursori del Tasso. Gian Giorgio Trissino.
Gerusalemme Liberata. Suo concetto. Sua contenenza. Sua forma.
sizione del poema.
Conquistata.

V. Suoi pregi e difetti. VI. Critiche al poema. La

I. In quel tempo appunto che il romanzo di cavalleria saliva a meravigliosa perfezione con l'Orlando Furioso, alcuni scrittori, tutti legati alle tradizioni classiche e pieni la mente de' malintesi principî aristotelici sulle famose unità, cominciarono a vagheggiare un' epopea eroica condotta sul tipo della Iliade e dell'Eneide. Nẻ vuolsi credere che codesta nuova tendenza fosse in sé molto viziosa e procedesse da vieto convenzionalismo scolastico; anzi mosse da buone ragioni storiche e letterarie, che qui si verranno accennando.

Anzitutto deve parere ben naturale che, come nel cinquecento si tradussero e imitarono quasi tutti i capolavori della

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(1) V. CANELLO, Stor. lett. del cinquecento. Milano, Vallardi. CECCHI P. L., Studi sul Tasso, 2 vol. Le Monnier. COLAGROSSO, Studi sul Tasso e Leop. Forlí, 1883. SERASSI PIER FRANCESCO, Vita del Tasso. Firenze, Barbéra. MANSO, Vita del Tasso. GUASTI, Epist. del Tasso.

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vol. 5. Le Monnier. FERRAZZI, Studi sul Tasso. Bassano, Pozzato. Vedi anche vari scritti sul Tasso ne' Saggi critici del DE SANCTIS, D'OVIDIO, D'ANCONA, MAZZONI, nonché la Vita e le altre pubblicazioni tassesche del SOLERTI, ecc.

letteratura antica, gl'ingegni si volgessero anche al divulgare per traduzioni e all'imitare i poemi classici. E questi tentativi erano allora tanto più plausibili, quanto l'ormai perfetto svol gimento storico ed artistico del poema cavalleresco mostrava chiaro agli ingegni men grettamente tenaci nelle sterili gare della imitazione del Boiardo e dell'Ariosto la necessità d'aprir nuove fonti e nuove vie all'epica italiana. Alla quale, con l'ingenua persuasione di risollevarla a migliori destini, si vollero adattare tutte le forme e i meccanismi dell'epopea omerica, senza che per sue intrinseche qualità essa fosse capace di appropriarseli. Intanto i poemi greci son di formazione primitiva e spontanea, sorti cioè ne' primordi della civiltà ellenica da un complesso di tradizioni nazionali lungamente elaborate da tutto un popolo, raccolte poi e allargate e raffinate più o meno riflessamente, mercé l'arte individuale attribuita al mitico poeta. Ora l'Italia, che non poteva avere una letteratura veramente nazionale nel duecento (Cfr. vol. 1°) quando s'apriva a vita e civiltà novella, donde poteva mai attingere un fondo di tradizioni eroiche sulle quali innalzare un'epopea, nel bel mezzo del cinquecento, quando, giunta al più alto fastigio della civiltà, era maestra e signora di tutt'i fatti della storia, di tutte le forme della vita, di tutto il magistero dell'arte? Rimaneva l'epica d'imitazione; ma da ciò ch'abbiam detto appar manifesto che imitare Omero doveva riuscire opera vana ed assurda, perché non è possibile adattare lo spirito d'un'epopea nazionale primitiva, che rispecchia la coscienza di tutt'un popolo, ad un'opera di pura riflessione che sorge in tutt'altre condi zioni di luoghi, di tempi e di vita. Che ciò faccia Virgilio, sí capisce; perché i Romani, tutt' intenti fin dal principio a costi tuir saldamente il loro organismo politico, non ebbero l'ingegno e la fantasia alle saghe epiche e si accontentarono di derivare dai miti greci le loro tradizioni storiche e religiose. Cosi l'E

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