Sayfadaki görseller
PDF
ePub

Solamente due fatti notevoli, che si connettono con l'ACcademia della Crusca, crediamo opportuno citare. In primo uogo le molte lezioni che vi si tenevano intorno ad opere od à luoghi specialmente di Dante e Petrarca, dove con molta erudizione e sottigliezza, ma con poco discernimento e punto calore, si cercava di mostrare, platoneggiando, le bellezze di quei poeti, o studiarne il magistero della lingua e dello stile, O sostenere questa o quella interpretazione. Cosi ebbero accademica fama le lezioni del Gelli, del Giambullari, del Varchi ed altrettali. L'altro fatto curioso e deplorevole, comeché non sortisse tutto l'effetto desiderato, fu la rassettatura del Decamerone, ordinata dalla Corte romana. Il Boccaccio, pittore fantastico e geniale dei costumi del tempo, avea fatto degli ecclesiastici i protagonisti dei suoi racconti più piccanti e salaci. Questo non poteva andare a' versi alla Curia, rimessa a nuovo dal Concilio di Trento. Ecco adunque venir l'ordine da Roma, affinché le vindici forbici purificassero l'opera empia. Se ne trattò a lungo col granduca come d'un affare di Stato, e finalmente due pietosi e valenti letterati, Vincenzo Borghini prima, e poi il cavaliere ed accademico infarinato messer Leonardo Salviati, cincischiarono oscenamente l'opera grande del Certaldese, contraffacendo i caratteri, rimutando gli episodi e i personaggi, qua togliendo, là aggiungendo, raffazzonando insomma un Decamerone a loro gusto, turpe ed irreconoscibile. E questo magnifico accademico infarinato, che stampava due volumi di avvertimenti sulla lingua del Centonovelle, spendendo quasi un centinaio di pagine a discutere perché e quali lettere sieno maschie e quali femmine, aveva il coraggio di stampare nella sua miserabile edizione del 1582, che quel suo Decamerone egli l'aveva « riscontrato in Firenze con testi antichi, et alla sua VERA lezione ridotto » !

APPENDICE ALLA LEZIONE X.

Dagli Annali di Tacito volgarizzati dal Davanzati.

[ocr errors]

I.

LIBRO IV.

17. Entrati consoli Cornelio Cetego e Vitellio Varrone, i pontefici, e con loro gli altri sacerdoti, pregaron gl'Iddii per la vita del principe, e anche di Nerone e Druso, non per carità verso quei giovani, ma per adulazione, nella quale il popolo corrotto erra nel troppo come nel poco. Laonde Tiberio, alla casa di Germanico non mai benigno, qui si versò, che pari di lui vecchio, si pregasse per quei fanciulli. Mandò pe' pontifici, e domandolli se il fecero per preghi o minacce d'Agrippina; e, negando, li garrí destramente, essendoli parenti o principali della città; ma in senato avvertí, che un'altra volta non levassero i lievi animi de' giovanetti in queste superbie di acerbi onori. Perché Seiano non finiva di dire:

[ocr errors]

La città è in parti come in guerra civile: alcuni si chiamano di quei d'Agrippina: e cresceranno, lasciandogli fare; alla crescente discordia « altro rimedio non ci ha che scapezzare uno o dua di questi feroci ». 18. Cogliesi innanzi C. Silio e Tizio Sabino, d'ambo i quali l'a micizia di Germanico fu la rovina; e di Silio piú, che, avendo governato un grosso esercito sette anni, acquistato le trionfali in Germania, vinto Sacroviro, quanto maggior macchina era, con piú spavento degli altri cadeva. Offese Tiberio ancor piú lo suo tanto vantarsi dell'essere stati i soldati suoi sempre ubbidienti, quando gli altrui sediziosi; e che egli non arebbe imperadore, ogni po' che avessero scherzato anche le sue legioni. Adunque (diceva Tiberio), io sono niente, non lo potrò mai ristorare ›. Perché i beneficî rallegrano in quanto si posson rendere; gli eccessivi si pagano d'ingratitudine e d'odio.

<

[ocr errors]

19. Era moglie di Silio Sosia Galla; odiata dal principe, perché grippina l'amava: questi due risolvé assalire e Sabino prolungare. Varone consolo non si vergognò ubbidire a Seiano in dar la querela con la entenza, che i Padri loro eran nimici. Chiedendo il reo tempo breve, che accusatore uscisse di consolo, Cesare disse: ‹ Che l'aggiornare le parti stava a' magistrati, né si poteva menomare la balía del consolo, nella cui vigilanza consiste che la repubblica non riceva dannaggio ». Era roprio di Tiberio con simiglianti parole prische ricoprire le malvagità sue uove. Fece dunque gran ressa di ragunare i padri, quasi a giudicar 'avesse Silio con leggi, o fusse Varrone consolo, o caso pubblico quello. 'aver saputo e tenuto mano alla guerra, chiuso gli occhi alla fellonía i Sacroviro, guasto la vittoria con l'avarizia, e Sosia sua moglie, erano peccati. « L'ira di Cesare è il mio peccato disse sempre, né mai altro er sua difesa. Al governo non potevano apporre; ma alle accuse di Stato on si poteva rispondere. Silio non aspettò la sentenza, e si ammazzò.

[ocr errors]

1.

II.

LIBRO XVI.

Volle di poi la fortuna la burla di Nerone, sí debole, che credette a un sogno d'un mezzo matto Cartaginese, detto Cesellio Basso. Costui venne a Roma, e comperata l'udienza del principe, gli rivela, aver trovato in un suo campo una caverna altissima piena d'oro non coniato, ma rozzo e all'antica; esservi mattoni massicci, e da un'altra parte ritte colonne; il tutto stato occulto tanto tempo per accrescere sua fortuna. Credersi che Didone di Fenicia fuggita da Tiro, quando ebbe edificata Cartagine, nascondesse quel tesoro perché quel nuovo popolo non insolentisse per la troppa ricchezza, o la cupidigia del rubarla non accendesse li re di Numidia, nimici per altro, a far guerra.

2. Nerone adunque, senza intendere chi colui fusse, che riscontri desse di tanto tesoro; senza mandare in sul luogo a riconoscerlo, è il primo a pubblicarlo; e manda per esso, quasi per conquistata preda, galee rinforzate di ciurma, per piú arrancare. Il popolo, non men corrivo, in quei giorni d'altro non ragionava: ma diversamente; e facendosi per ventura lo spettacolo de' secondi Cinqu'anni, presero quindi materia i dicitori di lodare il principe, che gl'Iddii, non pure gli faceano nella faccia della terra nascer le solite biade, e nelle viscere tra i metalli generar l'oro, ma con fecondità nuova gli ammannavano i tesori; con altre adulazioni non meno faconde, servili, fidati in sua leggerezza.

3. Accresceva con questo vano assegnamento lo spendio; fondeva le facoltadi antiche, quasi fornito per molti anni da sparnazzare le nuove; e già ne assegnava gran donativi; e le ricchezze in erba impoverivano l'universale, perché Basso, rovigliato tutto il suo campo, e gran paese vicino, giurando esser qui, esser qua la prelibata caverna; aiutato non pure da' soldati, ma da' contadini popoli comandati; alla fine uscito del pecoreccio, con sua maraviglia d'aver sognato il non vero, non mai piú intervenutogli, per vergogna e paura s'uccise: altri dicono ch'ei fu preso e poi lasciato, toltogli i beni invece del gran tesoro reale.

4.- Venendo il tempo di fare detto spettacolo, il senato, perché l'imperadore non facesse la indegnità del montare in iscena, gli offerisce le corone dovute al sovrano cantore e dicitore. Rispose che non le voleva per autorità, né per favore, con far torto a veruno, ma per meritata sentenza. Prima cantò suoi versi: e gridando il popolo che mostrasse ogni suo sapere (cosí disse), osservò nel teatro tutte le regole del ceterizzare; stracco non sedere: il sudore con altro, che con la vesta propria, non rasciugare; non si spurgare, né soffiare; e quando finito ch'ebbe, s'inginocchiò al popolo, adorandolo con le man giunte, e attendeva, tremoso mostrandosi, la sentenza. La plebe romanesca, usata aiutare i gesti ancora degli strioni, gli rispondeva con le battute, tuoni applausi misurati, che parea lieta (e forse era) di questa vergogna pubblica.

5.

Ma i venuti per ambascierie, o lor faccende, da lontane città o provincie, ritegnenti ancora i costumi gravi d'Italia antica, o non pratichi a quelle follie, non le potevan vedere, né sapean imitare. Non battevan le mani a tempo; guastavano gl'intendenti; e bastonavangli spesso i soldati messi per li gradi, perché non uscisse pur un grido discordante, o trascurato silenzio. Certo fu, molti cavalieri nella calca, volendo passare innanzi essere affogati: altri, per lo disagio continuato dí e notte, ammalati a morte, essendovi molti occulti e palesi appuntatori di chi vi mancasse o stesse tristo o lieto. A' deboli subito fur dati i supplizi, ai grandi i frutti dell'odio poco tempo dissimulati. Vespasiano, che per sonno inchinava, dicono che ne toccò una grida da Febo liberto, e valsegli aver buoni amici, e soprastargli maggior fortuna.

6. Finita la festa, Poppea morí d'un calcio datole il marito crucciato nel ventre pregno. Alcuni scrivono di veleno, con piú odio che ve rità; poiché n'era innamorato e bramava figliuoli. Il corpo non fu al modo de' Romani arso, ma de' re stranieri imbalsimato, e riposto nel sepolcro de' Giulj ma con pubbliche esequie, ove egli la lodò in ringhiera dall'esser stata bella, madre della divina Infanta, e da altre fortune invece di virtú.

:

LEZIONE XI.

Il secentismo nella vita e nell'arte.(1)
Il poema nel seicento.

. Il secentismo nella vita e nell'arte.

II. L'Adone del Marini e costui vita. III. Continuatori del Tasso. IV. I poemi eroicomici. La Secchia rapita e la vita e l'indole del Tassoni. Lo Scherno degli Dei. V. Ancora del poema eroicomico. Il Ricciardetto del Forteguerri. Marchetti traduttore di Lucrezio.

VI. Il Ceva poeta latino e il

I. Col Tasso a cagione dell'età in cui visse abbiamo eduto iniziarsi la decadenza della magnifica poesia del cinquecento. Comincia un periodo novello, in cui le forme delarte perdono quasi del tutto la loro grazia nativa e armonica compostezza. Alla rappresentazione immediata e perspicua delle cose e dei sentimenti, sottentra l'espressione artifiziosa i concettuzzi stiracchiati e lambiccati, i quali colpiscono fuggevolmente l'intelletto, non con la vera bellezza interiore, ma con lo strano accozzamento d'idee disparatissime, col. gioco Continuo delle antitesi, con le immagini ampollose e sperticate, con le tinte smaglianti e soverchiamente risentite. In luogo li quell'intima armonia tra espressione e concetto nella quale consiste il magistero dell'arte, si coltivò con ogni studio la forma

(1) Oltre le monografie speciali possono leggersi le opere generali sul eicento letterario del MORSOLIN e del BELLONI (Milano, Vallardi) e il Seiento in Vita Italiana del Treves.

« ÖncekiDevam »