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meno pura del Macchiavelli, il quale nella speranza di vedere il suo paese unito e forte, non rifuggiva dinanzi all'imperio d'un uomo anche scellerato come Cesare Borgia. Che monta se la mano sia quella di Caligola o di Teodosio, purchè sia forte? A vero dire Dante sembrami che non avrebbe desiderata la spada del Borgia; ma tra Macchiavelli e Dante avvi l'intervallo di due secoli, e la Fiera italiana non che poter essere corretta più dagli sproni, era già così piagata da aver bisogno del ferro rovente.

la ve

Comunque ciò sia, che, se a Dio piaccia, parlando in seguito degli scrittori politici, dovremo rifarci sopra questo argomento, non vuolsi dimenticare, che la libertà della patria sta in cima d'ogni desiderio dell' Alli ghieri, e che il nome di Firenze basta a mettere in movimento le corde più delicate del suo cuore. I rimproveri e le minaccie, le invettive e le imprecazioni che prodiga contra ai nuovi reggitori, anzi che essere cenno d'odio e di malevolenza paionmi significazione di gagliardissimo amore. Chi lacera le chiome ste della sua diletta donna è più che malvagio, sacri lego; Carlo di Valois non può essere paragonato che al più gran traditore, il quale esce a giostrare colla lancia di Giuda; e talvolta direste che non s'attenti di lordarli, pronunziando i nomi che gli sono tanto cari, perchè i tristi abitanti giunsero a tale che, o per isventura del luogo, o per mal uso che li frughi, hanno la virtù come nimica mortale. A queste ardite immagini e fantasie, credete, o giovani, non arriva mai chi fortemente non ama.

Che se di quando in quando vengagli fatto riporre la mente e gli occhi sopra qualche parte od azione che consoli alcun poco l'acerbo del suo dolore, oh! allora sa ben egli trovare e le squisite espressioni Cereselo. Vol. I.

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d'amore, e le parole ridenti, e i sensi d'ammirazione e di lode. Con quanto affetto non rimembra egli i luoghi e i tempi della sua giovinezza? con quanta gioia non si piace in ridire il nome del suo bel S. Giovanni? con quanto desiderio non ricorre alla dolce speranza di poter quando che sia rivisitare le vie, le case e le campagne della terra natale? Amaro è il pane dell'esilio che, è mendicato a frusto a frusto, amaro il salire e il discendere per le scale altrui, ma s'egli può un momento dimenticarsene ed illudersi colla anche più soave lusinga di tornare un giorno a coronarsi dell'ambito alloro sul battistero della sua cattedrale, in faccia a tutti i suoi, ogni acerbezza si raddolcia, ogni miseria è posta leggermente in obblivione. Il sogno favorito della sua mente si è appunto che vengagli consentito di figurarsi Firenze come la casa d'una famiglia tranquilla, libera e senza ambizione e invidie, fiorente di opere illustri e di vigorosa figliuolanza, felice per un governo forte e ben temperato. La descrizione messa in bocca al vecchio Cacciaguida, ri sponde pienamente alla favoleggiata immagine dell'età dell'oro:

Fiorenza, dentro della cerchia antica,
Ond' ella toglie ancora e terza e nona,
Si stava in pace, sobria e pudica.
Non avea catenella, non corona,
Non donne contigiate, non cintura
Che fosse a veder più che la persona.
Non faceva, nascendo, ancor paura

La figlia al padre, che 'l tempo e la dote
Non fuggian quinci e quindi la misura.
Non avca casa di famiglia vôte,

Non v'era giunto ancor Sardanapoło

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A mostrar ciò che in camera si puote Non era vinto ancora Montemalo

Dál vostro Uccellatoio, che, com'è vinto
Nel montar su, così sarà nel calo.
Bellincion Berti vid'io andar cinto

'Di cuoio è d'osso, e venir dallo specchio
La donna sua senza 'l viso dipinto;
E vidi quel de' Nerli, e quel del Vecchio
Esser contenti alla pelle scoverta,

E le sue donne al fuso ed al pennecchio.
O fortunati! e ciascuna era certa

Della sua sepoltura, ed ancor nulla
Era per Francia nel letto deserta.

L'una vegghiava a studio della culla,

E consolando usava l'idioma

Che pria li padri e le madri trastulla; L'altra traendo alla rocca la chioma, Favoleggiava con la sua famiglia

De' Troiani, e di Fiesole o di Roma.

Saria tenuta allor tal maraviglia

Una Cianghiella, un Lapo Saltarello,
Qual or saria Cincinnato e Corniglia.

Voi lo vedete, o giovani, questa è una stupenda pittura dell'età dell'oro (come vi dissi) ma quale si addice ad un esule, che colle fosche tinte della prima parte del quadro, fa risaltare meglio la chiarezza o serenità della scena interiore, o, per uscir di metafora, quale si consente ad un uomo che piange insieme e ragiona.

Cosi quanto agli uomini, e alle glorie loro il Poeta non osserva altra misura se non quella voluta dalla giustizia e dal merito, senza lasciarsi impaurire da umani rispetti e da pregiudizio di tempi e di fortune. La corona d'un imperatore e d'un principe è degna

di ossequio; la tiara di un pontefice è sacra e veneranda; ma pure il Poeta non rifugge e non teme (venga che può) di menáre il flagello, quando giustizia l'imponga; siccome non rinnegà qualunque maniera di merito quand' anche torni ad encomio del più crudele nemico. Il male è sempre degno di rimprovero qualunque sia la persona che lo commetta, e il bene di lode ovunque si trovi. Difficilmente pertanto vi sarà fatto di avvenirvi nel nome d'un illustre uomo di stato, guerriero o artista, che non sia nelle tre Cantiche raccomandato da un qualche cenno di lode; e massimamente poi gli amici della sua giovinezza, perche per l'appunto più caramente gli rimembrano i tempi andati, e le candide gioie della terra natale. Insomma, o giovani, l'Allighieri, ossia che vogliate considerarlo come poeta cristiano o filosofo, o come cittadino, è tale che non ha paraggio coi moderni, e supera per grandezza gli antichi; onde può dirsi a buon diritto di lui, quel ch' e' cantava nel Paradiso del povero e vetusto Romeo, il quale

.... se il mondo sapesse il cuor ch'egli ebbe, Mendicando la vita a frusto a frusto,

Assai lo loda e più lo loderebbe,

Per tutte queste cose non vi farà oramai più maraviglia se io, cominciando a ragionarvi di lui, dicessi, ch'ei pareva il genio fatale a cui fu commesso il destino dell'Italia nostra, e principalmente delle nostre lettere. La storia comprova pienamente l'asserzione mia, e la sen tenza del Gioberti il quale nel suo trattato del Bello diceva: lo avrò per compiuta la redenzione delle lettere italiche, quando vedrò diffuso in tutte le per sone che attendono a ingentilirsi, lo studio indefesso ed amoroso, e direi quasi la religione di Dante. »

Dell' Allegoria della Divina

Commedia.

SOMMARIO.

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LEZIONE VIII.

-

Difûcoltà

Storia allego

Quanto importi lo studio dell' allegoria. gravi che vi si incontrano. Metodo da seguirsi. rica. - L'Inferno rappresenta l'uomo caduto, che si sforza di rilevarsi, per ricongiungersi a Dio. Il Purgatorio raffigura i dolori e i patimenti dell' espiazione. Il Paradiso segna l'ultimo termine, o il trionfo dell' uomo nella vista e nel godimento di Dio.

osservazioni.

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Ultime

Duolmi assai, prestanti giovani, di non potermi scco voi trattenere più a lungo intorno alle singole bellezzę della Divina Commedia, per considerarle partitamente ed a bell'agio, che sarebbe utilissimo e dolcissimo studio ad un tempo. Ma oltre che vorrebbesi a ciò il corso di più anni, per avventura mi verrebbero meno le forze all'impresa, la quale del resto potrete compiere, e certo compirete poscia da per voi medesimi, solo che io riesca ad innamorarvi un poco di questo grande Poeta. Ciò è quanto di meglio posso per ora da queste mie lezioni impromettermi, ed è più che bastante all'uopo. Tuttavia per mettervi, quand' altro non fosse, almeno sul cammino, si che possiate poscia prose. guir da soli quel viaggio, non so passarmi di darvi un eenno più compiuto di quell'allegoria che parvemi la

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