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Rassegna dei principali poeti lirici dal Patrarca sino ai nostri giorni

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e nel Cinquecento. Vizii dei Seicentistit

Razione contro l'Arcadia. vile. La Scuola cristiana.

L' Arcadia.

La nuova Scuola, o della poesia ei-
Conclusione.

Considerandolo come il principe dei lirici moderni, sia perchè raccolse in sè tutte le bellezze dei poeti antecedenti, sia perchè molte ne aggiunse di proprie, divenendo esempio imitabile ai seguenti, noi eravamo in debito, o giovani, di studiare più lungamente e con più cura il Petrarca e il suo Canzoniere. E ora certamente vi parrà non che opportuno, un complemento necessario, prima di congedarci da lui, esporre al meno con brevissimi cenni, quali fortune seguisse dopo la morte sua nell'Italia nostra la lirica; comecchè l'ampiezza del tema sia tale, che più volte ci farà mestieri d'un tocco leggiero, dove si vorrebbero ampie e minute dipinture. Ma (giovami ripeterlo) io non debbo in queste mie lezioni che seguarvi là traccia di quel cammino che voi poscia compierete a vostr' agio, contemplando e studiando a parte a parte quante bellezze lungo la via verrannoyi incontrate.

E innanzi a tutto sembrami da non dimenticarsi che nella quantità quasi sterminata di poesie liriche di cui abbonda il paese nostro, chi è costretto a camminare speditamente (come siam noi) debba ristringersi a quelle dei pochi eletti, i quali tentarono qualche utile innovazione, o perfezionarono in alcun modo i generi antecedentemente trattati, E ciò non perchè non trovisi nei più alcuna cosa di osservabile e da studiarsi; ma per non perdersi in quei troppo minuti particolari, che nell'ampiezza del quadro o naturalmente scompaiono, o ingenerano confusione. A misura che il quadro è più vasto fa anche mestieri di usare maggior diligenza, affinchè l'occhio dell'osservatore, non che smarrirsi, si riposi e subito e senza fatica sulle figure principali,

La lirica dunque (per ripigliare il filo del nostro ragionamento) non era stata fino a Dante che l'interprete, quantunque non sempre felice, di quelli affetti intimi, di quelle battaglie dell'anima che si divincola contro sè medesima, teme e s'attrista, ovvero allegrasi e spera, secondo che la passione s'atteggia, perdendo o acquistando di vigoria. Nelle rime giovanili Dante, facendo già presentire la futura grandezza, aveva cantato meglio degli antecessori e dei coevi suoi; ma la storia completa, come dissi più sopra, dell' amore era data dal Petrarca con tutte quelle perfezioni d'arte da rendere cauti e timidi quelli che si avvisassero di tenergli dietro e imitarlo. Ma Dante e Petrarca avevano anche dischiuso un nuovo cammino alla lirica, di cui negli altri era appena dato qua e là di passaggio, e in cui gli antichi veramente primeggiavano; io voglio dire quella poesia civile, quella lirica che, uscendo dalla cerchia del proprio cuore ed affetti, volge le sue inspirazioni al bene universale, e feconda i semi delle più nobili Cereseto. Vol. I.

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virtù cittadine. Disgraziatamente fra noi, parte per malignità delle circostanze e delle fortune che non arrisero, parte per errore delle menti, la buona pianta non prosperò gran fatto; e per molto tempo, folte poche ed onorevoli eccezioni, la lirica non uscì, per così dire, dai primi limiti, o quando poi fece prova di espandersi, cercò nelle lodi di questo e quel personaggio o in ar gomenti troppo leggieri, il tema de' suoi canti, e delle sue ispirazioni. L'esempio e la sovrana bellezza deł Canzoniere aggiunsero forza e incoraggiarono, non che spaventarla, quella prima inclinazione dei poeti; il difetto di vera vita pubblica travio la seconda. Per la qualcosa i Canzonieri d'amore si moltiplicarono fino a divenir noiosi, ad onta dello ingegno di molti; e la fantasia di quelli altri si consumò in adulazioni poco onorevoli, che non bastarono però, come era giusto, a tenere in fama, uomini mediocri, signorotti prepotenti, Mecenati poco generosi. Sonovi uomini e nomi negletti carent quia vate sucro, come disse Orazio; ma ve ne hanno altri cosi caduchi a cui non basterebbe neppure la musa di Dante e di Petrarca.

II Quattrocento fu troppo erudito per avere -gran fortuna nella lirica. Questa mia sentenza non vi parrà contraddire a quanto venneci detto in una delle prime lezioni, dove si attribuì la presta decadenza della poesia dei Trovatori al difetto della dottrina; conciossiachè altro sia l'ignoranza che isterifi subito quella poesia provenzale, altro il soverchio peso delle dottrine, che o impedirono in questo secolo alle fantasie di abbandonarsi liberamente all'impeto proprio, o nascendo soffocarono i germi poetici. Le quistioni grammaticali, le indagini filologiche, le correzioni dei codici del Quattrocento, erano d'una utilità grande e fruttifera; ma l'avvenire solo dovea pienamente godere di quei frutti, maturati

con tante cure e con tanto senno. Sembra una legge quasi universale ché non colui il quale stenta accumulando, sì bene gli eredi siano serbati a godere le ricchezze raccolte. Ma senza ricorrere ad altre ragioni, mentre la vera è così manifesta, non è a mettere in dubbio, che la fatica del chiosare e dello intendere, spossando le menti, non dava poi campo di farne loro pro in opere originali.

Ancora quel giusto e nobilissimo entusiasmo che nasceva per questo e quel Classico, a misura che se ne dissotterravano le scritture, faceva dimenticare le glorie domestiche del secolo passato, e la lingua e letteratura volgare, se bene fossero così visibilmente figliate dalla greca e dalla latina. Dante, non che i lirici contemporanei, fu per poco messo in abbandono, o se ne spiegò la Commedia come libro dottrinale e non letterario; e il Petrarca e Boccaccio si tennero in onore, perchè considerati quasi principi di questo risorgimento del Classicismo. A tal uopo vi ricorderà ciò che si disse rispetto alle prime edizioni delle opere del Petrarca, nelle quali ponevasi per ultimo il Canzoniere siccome lavoro di semplice ricreazione, e solo confacente alla giovanile leggerezza.

L'errore, come voi vedete, era perdonabile, nè poteva essere che passaggiero, imperocchè una generazione di uomini, la quale educavasi sui grandi scrittori dell'antichità, e che sbagliava solamente per soverchia forza d'amore che portava loro, non dovea mancare di riaversi presto, rammentando che una poesia, la quale vive delle reminiscenze d'un tempo che più non è, la quale parla una lingua morta, rado è che abbia l'impeto e l'entusiasmo voluto dalla lirica, e certo non è fatta per divenire popolare. Si volle dagli storici invocare l'opera e l'ajuto di un Mecenate, dove

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non si richiedeva che, un semplice ragionamento del buon senso. Comunque sia (e forse meritava questa onoranza non come protettore ma come poeta, che meglio vale) a Lorenzo de' Medici, soprannominato il Magnifico, è attribuito il primo vanto di aver nei gai convegni della sua corte, nelle feste del popolo ripristinata la lingua volgare, e rinfrescata la fama poe tica del Petrarca, imitandolo in un suo Canzoniere, foggiato su quel perfetto modello. Senonchè per quanto ivi abbondino armonia di forme, bellezza di concetti, e un certo far proprio che lo pone sopra ad una gran parte di Petrarchisti più famosi di lui; paionmi ben più osservabili in questo periodo quei canti popolari scritti e da lui, e dal Poliziano, e da altri, che furono poi raccolti e pubblicati sotto il nome di Carnescialeschi dal tempo in cui erano recitati. Avvegnachè alcuna volta scritti con minor cura e coll'apparenza di essere improvvisati, in essi, o m'inganno, o parmi di sentire una certa freschezza di modi, armonia così nova, un far tanto proprio, e tinte così vive, che indarno vi riesce di cercarne di somiglianti nelle poesie più tornite, e misurate sopra una sesta bella sì, ma che tiene l'ingegno dello imitatore a disagio. Era un primo tentativo di foggiarsi una lirica originale, un nuovo genere che la rettorica dei Cinquecentisti riconfinò fra il popolo, ma che, pensando anche ai modelli della classica Grecia, meritava di essere condotta a quella perfezione di cui pareva ed era certamente capace. Per sentire meglio la verità di ciò che asserisco, paragonate quella canzone petrarchesca del Poliziano, che incomincia,

Monti, valli, antri e colli

Pien di fior, frondi ed erba ecc.

מון

ed è pur cosa leggiadra, colla gaiezza a mo' d'esem

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