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più gravi irrisioni e con un linguaggio così petulante e ardimentoso da scusare in parte nella mente dei popoli una persecuzione in verità poco evangelica.

Dato il primo colpo, e sperperati una volta ́i cultori della gaia scienza, indarno tentossi più tardi di rianimare la splendida e caduta letteratura, la quale e per la nativa sua povertà, e per la forza prepotente degli avvenimenti venivasi spegnendo via via, per non risorgere mai più. L'accademia di Tolosa, i giuochi floreali, quantunque celebrati senza risparmio di spesa, non bastarono mai a ritornare la vita nelle spente reliquie di quella civiltà passeggiera. « Tuttavia (secondo la șavia osservazione del Sismondi già citato) non siamo corrivi nel giudicare troppo severamente i Trovatori dietro la leggiera impressione, e le poche orme che lasciarono di sè nella memoria nostra; non dimentichiamo che il secolo in cui vissero era un secolo d'ignoranza e di barbarie universale..... Quanto i Trovatori sottostanno ai principi della moderna letteratura, tanto superano quelli che poetarono di quel tempo in Francia, in Italia, in Inghilterra, in Lamagna La poesia che sola un tempo brillò di mezzo alla barbarie universale, che strinse in una tutte le anime oneste pel culto di nobili sentimenti, che fu per lunga stagione il vincolo comune di tanti popoli diversi, perdette agli occhi nostri quanto altra volta formava il suo incanto e il suo fascino, dacchè noi perdemmo eziandio quella speranza a cui aveva dato nascimento. Quei canti sì varii, che mostravano di contenere il germe di nobilissime opere, e che per siffatta espettazione erano accolti con tanta avidità, ci sembrano più freddi e più tristi dacchè fallirono all' impromessa. Così l'aurora boreale splende senza riscaldare la terra nelle lunghe notti del setten

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trione: fra la fitta delle più dense tenebre il cielo pare ad un tratto infiammato, ardenti sprazzi di luce e raggi dipinti si dilatano dal polo sin quasi a mezzo il cielo, la natura sorride di questa inaspettata magnificenza, ma la luce boreale, pari alla poesia dei Trovatori, è povera di calore, e non diffonde la vita. »

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Progressi della lingua e della poesia. - S. FranGuido Guinicelli. Fra Guittone. Buonagiunta da Guido Cavalcanti.

la sua corte.
cesco. -
Lucca. Brunetto Latini,
temporanei delle arti belle.

mabue. Oderisi da Gubbio. Divina Commedia.

Progressi con

- Ci

Dante e la

L'architettura. La pittura.

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Qualunque sia la influenza che vogliasi consentire ai poeti Provenzali sulle lettere italiane (e Dante e Petrarca la confessano con gratitudine) essa non è tale e così grande, siccome già dicemmo, che noi dobbiamo cercare le ispirazioni dei nostri primi rimatori esclusivamente nelle loro poesie. « Imperocchè (a detta del Muratori) fiorirono i Provenzali per la maggior parte dopo il 1100, e nello stesso tempo, anzi prima, dovettero pure i Siciliani far versi volgari, se è vero ciò che scrive il nostro Petrarca, cioè che essi in tal guisa componessero alcuni secoli prima del 1361. Quanto all'uso poi della rima, di cui si volle attribuire quasi tutto il merito prima agli Arabi e quindi ai Trovatori, come riguardo alla varietà dei metri,

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voi, senza scostarvi dalla fonte latina, potrete di leggieri trovarne le tracce molto innanzi all'apparire di amendue questi popoli. La rima infatti non potrebbe, dirsi sconosciuta ai classici medesimi, se dobbiamo giudicarne da parecchi passi delle opere loro; e certo era poi comunemente adoperata, quando collo smarrirsi delle regole di prosodia, e più ancora del gusto poetico, si sostituirono i ritmi alla severità dei metri antichi, il lenocinio delle rime alle più caste armonie dei classici. Lo stesso dite della misura dei versi volgari, dei quali oltre i molti esempi nelle vecchie poesie, infinite se ne possono citare nei ritmi stessi, congegnati soventi nelle più varie foggie e soventi anche difficilissimi; meschino accorgimento col quale gli autori sopperivano alla povertà delle immagini e alla rozzezza della dizione inarmonica. Quanto più venne meno quello stupendo maneggio della lingua, e quella potenza tutta propria degli antichi maestri di espri mersi poeticamente, conservando anche la maggiore semplicità, tanto più studiossi di variare le forme esterne, e toccare gli animi colla difficoltà ricercata degli accessori. Lo stento e la gonfiezza succedono sempre allo immiserirsi delle menti, come l'ambizione degli ornamenti ricercati al difetto del sovrano magistero dell'arte. È una ricchezza fatale, che accenna ad una vera e miseranda povertà. Tuttavia non si può, ne sarebbe giusto il negare che della perizia dei Trovatori, e dell'esempio loro non si avvantaggiassero molto i primi nostri, mentre non ignoriamo che at tentamente li studiavano ed avevano in molto pregio. Che anzi parecchi dei nostri levarono alta fama di se scrivendo appunto e rimando nella lingua provenzale; fra i quali piacciavi siccome più famosi ricordare Folchetto, Calvi, Princisvalle Doria, e massima-.

mente poi quel Sordello di Mantova, l'anima lombarda, altera e disdegnosa, cui l'Allighieri amava di tributare una larghissima testimonianza di lode.

Ma senza spendere troppo lungo tempo in cosiffatte questioni di primazia, le quali massime in opere di gusto sogliono riuscire o inutili o grette, veniamo, e certo con maggior frutto, a considerare rapidamente quale fosse la condizione delle nostre lettere, e quali i progressi, innanzi che l'Allighieri iniziasse la storia della italiana letteratura con quel miracolo della Divina Commedia.

Io dico adunque che mentre la poesia provenzale toccava il suo più alto punto di gloria, e la lingua d'oc celebravasi per tutta Europa siccome in nobili produzioni la più doviziosa, quella del si faceva più oscuramente le sue prime prove in Sicilia nei versi d'un Lucio Drusi (se pure ha vivuto mai un poeta di tal nome), e in quelli di Ciullo d'Alcamo siciliano, il più antico di cui si abbia men incerta notizia. Questi nuovi ma poveri esperimenti erano poi con maggiore fortuna continuati dal secondo Federigo e dalla corte sua, dove egli aveva raccolto il fior degli ingegni contemporanei. Uomo di vasti pensieri e di nobilissimo animo Federigo II sapea trovar agio e tempo fra le moltiplici cure del torbido regno di attendere agli studi, di promoverli ne' suoi domini, e di prepaFare con una magnanima protezione la gloria, ventura delle nostre lettere. La lingua del si pertanto, la quale innanzi di lui suonava informe sulla bocca del popolo, fu allora condotta, per così dire nella reggia, e fatta degna degli onori del trono, incorandó egli coll'esempio, colle parole e coi doni i primi poeti, come quelli che ne erano i più naturali nutritori e custodi. Perlocchè le ne veniva in sul principio ben a diritto il

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