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tere, per il quale solo credetti opportunissimi alcuni schiarimenti preliminari. Dante nel monumento innalzato da sè raccolse quanto di grande aveva il tempo são, e giunse a tale di perfezione, che i predecessori suoi non avrebbero osato impromettersi, e i posteri non seppero quindi mai raggiungere. Ma la Divina Commedia non è perciò un monumento isolato e solitario come le piramidi nel deserto; che anzi strettissimamente si connette alla storia e alla politica dell' epoca, ed è come il segno che stringe intorno a sè l'antica e la-moderna coltura. Il selvaggiume di alcuni dei secoli medii parea o minacciava d'interrompere la tradizione classica; Dante coll'opera sua ce ne mostra l'adden. tellato, in quella che ricco delle feconde dottrine del Cristianesimo inizia una nuova e grandissima letteratura.

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Famiglia e

primi anni del poeta. Beatrice. Amore di Dante e sue rime.

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Da quanto io venni sino a questo punto, o giovani, nelle poche lezioni preliminari ragionando, voi dovete avere bastantemente compreso quali fossero i progressi e le ricchezze acquistate via via dalla lingua del si, quali uomini pei primi, e con quale fortuna la coltivassero, e come finalmente anche le arti belle e le lettere, massime la poesia, si venissero a poco a poco rifacendo con nuove forme, rispondenti meglio alla novità medesima dei tempi. Ma tutti quelli esperimenti dei quali abbiamo fatto cenno, non erano, a vero dire, che preparazione ai prodigi dell'arte venuti dopo, e alla gloria di quel triumvirato italiano, che certamente non ha pari in alcuna storia letteraria delle nazioni moderne. Lo avere tre uomini così grandi, quali sono Dante, Petrarca e Boccaccio, non è cosa tanto comune nei fasti d'un popolo; ma rarissimo poi, per non dir prodigioso vi parrà che e' s'incontrino quasi nel me

desimo tempo, e ne consacrino coll' autorità del nome la prima epoca. Quindi è che quanti scrittori (e sono molti) fiorirono di quel tempo possono essere molto acconciamente raccolti sotto la bandiera di questi sommi, i quali nella vastezza della mente loro abbracciarono ogni maniera di scienza, e o coll' esempio o colla influenza ne agevolarono gli incrementi, ne apparecchiarono i trionfi. Dalla sublime epopea all'umile ballata, dall' arduo trattato di filosofia alla lettera famigliare, dalla grave storia alla festiva novella, dalle sottili investigazioni filologiche al ridente romanzetto d'amore, dal lento studio dell'archeologia alla graziosa descrizione e satira dei costumi, tutto tentarono, dovunque posero l'ingegno e la mano e dovunque lasciarono le più splendide orme della loro potenza; tanto che a disegnar questo secolo non troverebbesi nome più acconcio di quello di triumvirato italiano; il quale mentre è vero del presente, pare che accenni anche ai venturi, di cui sono come la pietra fondamentale.

E, per incominciare da Dante, che è il primo in ordine di tempo e di grandezza, voi dovete innanzi a tutto richiamare alle menti vostre quale fosse la condizione politica dell'Italia nell'epoca in cui egli apparecchiavasi a scrivere, imperocchè se lo studio della storia contemporanea è utile per conoscere a fondo l'indole d'uno scrittore qualunque e' sia, per addentrarsi alcun poco nella intelligenza delle opere dantesche è assolutamente indispensabile. Per altro io non voglio, e non mi verrebbe quì consentito di entrare in lunghi ragionamenti, che riuscirebbero all'uopo nostro soverchi; ma bastami solo il rammentarvi che l'Italia era di quel tempo divisa in due grandi fazioni, conosciute sotto il nome di guelfi e ghibellini, o ponti

ficii e imperiali, delle origini dei quali nomi sarà bello però il dir brevemente.

L'imperó occidentale restaurato nella persona di Carlomagno, ben lungi dal produrre quei frutti saporosi che i popoli per una vecchia o venerazione o consuetudine di quel nome illustre se ne impromettevano, aveva dato origine, moto e forza alla ira di due parti, le quali dovevano quindi sotto diverse appellazioni per lunghi secoli combattersi. Giusta le antiche tradizioni, che facevano ancora accarezzare quel nome, Roma e l'Italia erano la sede naturale dell'impero; ma accanto a quella dignità suprema, che raccoglieva un tempo in sè medesimo i due poteri religioso e civile, ne era sorta una nuova e veneranda per lo splendore della religione, cioè quella dei pontefici. Essa diveniva tanto più formidabile, e, diciamo anche, pretenziosa, in quanto che appunto era quella che ripristinava in Carlomagno l'impero civile, caduto con Roma per le barbariche invasioni. Roma era divenuta sacerdotale, e se una parte del dominio rifacevasi laico, pareva una generosa donazione dei medesimi pontefici.

Gli antichi imperatori di Roma pagana si erano fatti insieme pontefici e re; ma Cristo, recando in terra la nuova dottrina, insegnava a disgiungere i due poteri, come cosa di natura al tutto diversa. Armonizzarli insieme senza che l'uno soverchiasse l'altro fu dunque l'opera che stancò gli studi del medioevo, e a cui non potè mai pervenire, si perchè la natura degli uomini è cupida e irrequieta, e si ancora perchè dopo il loro erano infiniti altri interessi, che sarebbonsi dovuti comporre e tutelare; e per essere, sembravano troppo eterogenei. L'impero prendeva anima e autorità dalle reminiscenze classiche di Roma e del

l'Italia; ma gl' imperatori nuovi, cominciando da Carlomagno, erano stranieri; e le terre italiane governate da signorotti e tirannelli, scossero il giogo incomportabile dal collo, erigendosi in comuni o piccole repubbliche con leggi proprie e diverse; comecchè tutti poi unanimemente concorressero nel riconoscere la supremazia dell'imperatore. Da questo nuovo temperamento di ordini civili ne rampollavano diritti, pretese, usanze e costumi non più veduti. Ora le franchigie di questi piccoli stati venivano combattute con acrimonia, ora tutelate dai medesimi imperatori; quindi una vicenda perpetua di paci e di guerre, quindi le gare e i dissidii fra città e città, fra terra e terra, le rapide mutazioni, gli esigli, le stragi. La Chiesa che vedevasi minacciata nella potenza e nei privilegi acquistati per una lunga dominazione, e anche in forza delle dottrine da lei promulgate, favoriva gli oppressi, e si stringeva o allontanava dagli imperiali secondo che parevano più o meno proclivi nel sostenerla. Di qui ne venne la distinzione delle due parti, la guelfa o liberale, rappresentata dai pontefici, e la ghibellina o imperiale, capitanata dagli imperatori. A vero dire questa distinzione è nella sua teorica tanto manifesta, che non lascia luogo a dubitazioni di sorta; ma nel fatto poi tali sono le contraddizioni, e i mutamenti, che se non si ponga ben mente, è facile che s'ingeneri confusione in chi studia le istorie di quel tempo, e dia faccia di vero all'opinione di quelli che si contentarono di chiamarli col nome di secoli barbari. Era la via più breve per non affaticare la mente in istudii sottili, perchè del resto non vuolsi credere che il fermento dal quale era agitato la umana congregazione nell'evo mezzano, riuscisse al tutto e sempre dannoso, e che la inquie tudine nascesse da barbaro desiderio di battaglie e

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