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Io vo pe'verdi prati riguardando

I bianchi fiori e' gialli ed i vermigli,
Le rose in su li spini e i bianchi gigli,
E tutti quanto gli vo somigliando
Al viso di colui, che me amando

Ha presa, e terrà sempre, come quella
Ch' altro non ha in disio che' suoi piaceri.
De'quai quand'io ne trovo alcun, che sia
Al mio parer ben simile di lui,

Il colgo e bacio, e parlomi con lui,
E, come io so, così l'anima nia
Tututta gli apro e ciò che I cor disïa:
Quindi con altri il metto in ghirlandella
Legata co'miei crin biondi e leggieri ecc.

II Petrarca, a cui il Boccaccio era già stretto coi vincoli d'una fortissima amicizia, quando seppe della risoluzione di lui di ardere le proprie rime, ne lo rimproverò vivamente, senza poterlo rimuovere dal suo proponimento. Cionondimeno, o un certo amore paterno lo consigliasse con maggiore efficacia dell'amico, o si lusingasse di trovar in parte almeno grazia presso i posteri, risparmiò i poemi maggiori, come sarebbe la Teseide, il Filostrato e il Ninfale Fiesolano, dai quali però non ritrasse al postutto che la povera gloria d'avere forse inventata l'ottava.

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Dopo questo periodo egli non pensò più che agli studii suoi d'erudizione, e caldissimamente poi a quello della prosa volgare, che era il campo ancora intatto, e dove con tutta ragione poteva impromettersi il primo grado.

Uomo netto che era (con esempio rarissimo fra i letterati) dalle grette invidiuzze, ma sviscerato amante del sapere ovunque si ritrovasse, egli non perdonò a diligenza (ed è suo nobilissimo pregio) per ristorare

la gloria di Dante, il quale non erasi ancora del tutto rilevato dal colpo della doppia condanna, benchè ingiustamente avuta in Firenze. Taluno opinò, aver egli personalmente nell'ultima sua vecchiezza conosciuto in Ravenna il massimo Poeta; ma quale sia la verità di cosiffatta asserzione, certo è che ne amò gli scritti, e fu il primo ad immaginare di erigere una cattedra, per ispiegarvi pubblicamente la Divina Commedia. Come preliminare a tale studio prese allora a scriverne la bella vita (la quale è dopo il Decamenone la migliore delle sue scritture volgari (1)) con quell'affetto che vi traspira per ogni parte; e poscia si accinse esso medesimo all'opera del cómmentare (1373); gloriosa impresa cui non ebbe però agio bastante di mandare a compimento. Era affizio degno del cuore d'un cittadino, inteso così a ristorare l'onore d'un grande conculcato; era uffizio degno della mente d'un dotto, che vedeva quanto ciò importasse e alle lettere e alla morale; uffizio à cui Giovanni soleva intendere come ad una spezie di sacerdozio civile, il sacerdozio della scienza. E per fermo la dottrina non è mai così bella come allora quando sia sorgente di gentilezza e di cichia; a quiet suole riuscire sempre quando se ne cerchi l'acquisto non per interesse o vanità, ma per ischietto amore che se le porti, e per isperanza di giovarsene ad immegliare se stesso e la società in cui si vive. Le accanite dispute delle scuole nel Medio Evo, le atroci invettive dei grammatici, del Quattrocento, come dovevano educare il popolo, scandalezzato di vedere il campo istesso della scienza, ad ogni tratto convertito in una schifosa arena di gladiatori? Da tutte

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(1) Fra quante opere (osserva il Foscoló) abbiamo del Boccaccio, la più luminosa di stile e di pensieri a me pare la Vita di Dante: e la sua Lettera a Pino de' Rossi a confortarlo nell' esilio, è caldissima d'eloquenza signorile; onde i vocaboli corrono meno lenti e più gravi d'idee. che nelle novelle. » Ediz. Silvestri.

queste contese non so qual frutto ne ritraessero le dottrine; ma niuno può ignorare che la scienza fa quale non edifica, è vanità che corrompe.

Sciaguratamente questo civile, sacerdozio delle lettere non fu sempre dal Boccaccio ben compreso e avuto in pregio, è i suoi libri più popolari erano di tal natura da nuocere alla moralità del popolo anzi che educarlo; e fu grandissimo danno, che un uomo innamorato delle caste e severe bellezze della Divina Commedia, rompesse poscia nei laidi racconti delle -Cento novelle. All'amicizia del Petrarca dovette il primo riconoscimento di questo grave error suo. Ed egli si penti d'avere insozzate le proprie opere di tante seoncezze, e forse le avrebbe distrutte, se ciò fosse stato possibile. Però da quel tempo prese a mutar vita, e cominciò anche un nuovo ordine di studii sacri, comecchè senza grande profitto. Vi fu perfino chi opinò, aver egli vestito l'abito dei monaci Certosini, forse per gratitudine al B. Pietro de' Petroni, il quale, morendo, avevagli mandato a dire, facesse senno una volta, e si pentisse dei danni prodotti dalle sue scritture volgari.

Questi dubbi e timori ne turbarono a ragione gli ultimi anni della vita, nei quali non ebbe (siccomé dissi) altra consolazione fuor quella degli studii severi sugli antichi. Come uomo di lettere il Boccaccio merita di essere proposto a modello, e si potrebbe farlo anche più liberamente se quella macchia non ne oscurasse la gloria.

Buon citttadino, non ricusô giammai l'opera sua alla patria, cui servì lealmente in molte ambascerie; letterato gentile, amo e desiderò ardentemente d'essere in fama, senza invidiare a quella degli altri; riconobbe il merito dovunque si rinvenisse, anzi fecesi banditore solenne, secondo che dicemmo, della maggioranza dell' Allighieri.

Sopportò senza lagnarsi la sottigliezza delle fortune, cui aveva volontariamente sminuite per amore agli studii, tanto che ricevette con gratitudine un piccolo legato del Petrarca, per comperarsi una veste da inverno. L'esempio dell'amicizia che correva tra lui e questo insigne poeta, credo che possa essere proposto a modello degli studiosi. Era tra loro una gara di studii, ma senza invidia; una soave corrispondenza d'affetti senza smancerie, e senza la viltà di celarsi i proprii difetti; erano insomma (come ne correva la voce a' di loro) un cuor solo ed un'anima sola. Degne a tal uppo di essere citate nella semplicità loro piena d'affetto mi sembrano le parole del testamento (1), a cui or ora io accennava, siccome quelle che onorano ad un tempo e il donatore e la povertà del donato. D. Ioanni de Certaldo seu Boccaccio, verecunde admodum tanto viro tam modicum lego, quinquaginta florenos auri de Florentia pro una veste hyemali ad studium, lucubrationesque nocturnas. Praedicti autem mei amici de parvitate hujusmodi legatorum non me accusent, sed fortunam, si quid est fortuna etc.

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Petrarca premori all'amico del suo cuore, ma questo fu colpo fatale anche alla salute del Boccaccio, già cagionevole, e logora dalle fatiche durate. Invano pertanto cercò la solitudine e le agiatezze della campagna per averne qualche conforto; la morte colselo non molto dopo in Certaldo nel giorno 21 di dicembre 1375. Sulia sua tomba furono scolpiti i seguenti quattro versi:

Hac sub mole jucent cineres ac ossa Ioannis; Mens sedet ante Deum, meritis ornata laborum Mortalis vitæ. Genitor Boccatius illi;

Patria Certaldum; studium fuit alma pöesis.

(1) Boccaccio. Testamento scritto da lui stesso Origine, vita, studj, e costumi di Dante Alighieri, Ediz. Silvestri,

ǹl Decamerone (1)

LEZIONE XIV.

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SOMMARIO. - Difficoltà e pericolo di ragionare intorno al Decamerone. Fama di quest' opera. Semplicità dell'orditura. —Que stioni sull' originalità dell' invenzione. Bellezze di stile. · Pittura di costumi. Immoralità dell'opera. Pregi e difetti della prosa del Boccaccio. Degli affetti. Dell' eloquenza.

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Esempi.

Ultime considerazioni.

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Io vi confesso, o giovani, che non posso senza una certa paura farmi a ragionare dell'opera maggiore di Giovanni Boccaccio; imperocchè mentre per una parte è un monumento troppo famoso della nostra lingua letteratura, è per l'altra insudiciata di tante e tali laidezze da nauseare qualunque animo gentilmente educato. «Questo (siccome coll' usata assennatezza osserva Cesare Balbo) fu certamente grandissimo danno, e durò e dura in tutta la nostra letteratura; gran danno fu che lo scrittor primo diventato modello, che il formator di nostra prosa sia stato un novellator per celia; come fu gran vantaggio di una nazione, vicina l'aver avuti, a modelli e formatori di sua prosa due severi filosofi o geometri, un Descartes e un Pascal: » Il Boccaccio medesimo, allorquando vide si rapidamente diffondersi per l'Italia l'opera sua, si accorse del fallo, e gliene increbbe si fortemente che (1) Vol. 23-26 Biblioteca Scelta. Silvestri,

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