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conservando la frase proverbiale, quand'anche sia meno gentile la forma rustica, benchè meno graziosa, imperocchè in tal maniera di scritture l'arte non ne ha danno, e la narrazione diventa più colorita e caratteristica. Emiliano Giudici, il quale senti ed espresse con eleganza questo merito dell'antico narratore, chiude il suo giudizio, dicendo che « la novella del secolo décimonono è in germe nel Sacchetti ». Non saprei se ciò possa asserirsi accertatamente; ma niuno vorrà negare che il libro delle Trecento novelle non sia uno specchio fedele della vita domestica del secolo decimoquarto.

Ma se Franco Sacchetti, anche studiando e amando le pagine immortali del Decamerone, credette non senza molta saviezza di cercare nuove tinte nei novellieri anteriori al Boccaccio, e riuscì, anche dopo un maestro così valoroso, originale; si comprende però perchè il Cinquecento ripigliasse da capo la più schietta imitazione, e si piacesse maggiormente dello studio forse troppo visibile del Certaldese, che della elegante semplicità del Sacchetti. La novella, siccome tutti gli altri generi letterarii, diventano nel Cinquecento piuttosto l'espressione della coltura generale, che dipintura del tempo. La forma è sempre il primo pensiero ; e lo splendore della rettorica la vince ognora sulla importanza `della materia; perlocchè il Boccaccio era un un tal autore da non trovare così di leggieri un

Ma posto ancora non si pensasse a sacrifinale.

tutto

sugli altari dell'arte, qual altro significato civile poteva darsi in quest' epoca all' uso del novellare, dacchè la vita pubblica era tanto diversa da quella degli Italiani dei secoli antecedenti? La conversazione alle corti de' Principi era cosa tutta squisita e cavalleresca; ma credete voi che sarebbesi allora comportata la quasi nuda libertà, di cui è tanta orina negli antichi no

vellieri? Dante avrebbe egli senza pericolo potuto rimproverare a Can Grande la improntitudine d'una sua domanda? Il Saladino avrebbe egli pazientemente udita la novella maliziosa del Giudeo? Quali fossero le conversazioni delle corti più eleganti vi addimostra il Cortigiano di Baldassare Castiglione, dove sarà di leggieri messo in campo ogni maniera di argomenti purchè non accennino mai a politica, e non tocchino nel vivo. Se così gli piaccia, Bandello dedichi pure le sue più sporche novelle al fior dei cavalieri e delle dame italiane; l'Aretino empia il paese delle sue scandalose giullerie; il Della Casa canti fra le brigate le terzine del Forno; gli uomini insomma si trastullino liberamente colla rettorica e colle arti, bene sta; purchè non entrino esse mai o non vogliano farle servire a più alto fine. Allora Niccolò Machiavelli, dopo avere stancata la mente, interrogando le antiche istorie, e cercando le ragioni che governano i popoli, seriverà scherzando la novella di Belfegor, la quale se ha un importanza tutta sua per la condizione speciale e la potenza dello scrivente, non ha poi altro significato fuor quello d'una satira ingegnosa e ben condotta; allora Agnolo Firenzuola e Matteo Bandello, senza legarsi alla tessitura del romanzo del Boccaccio, modellano in tutto le loro sconcie narrazioni sulle più laide del Decamerone; ma voi sareste di lieve indotti a credere, e' non si propongano se non di lusingare alla corruttela dei contemporanei, tessendo l'apologia dell'adulterio e del bordello. Noi non dobbiamo pertanto rintracciarvi se non l'arte più o meno felice del raccontare, la cura della lingua, la \vivacità del dialogo.

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E per incominciare senz'altro da questi due; il Firenzuola primeggia appunto per l'arte, mentre il Bandello è per avventura per gli argomenti più vario; ambedue

schifosamente sucidi, e con tale cinismo da disgradarne quanto erasi per lo innanzi e detto e tentato. Quanto al fatto della lingua il Bandello medesimo, confessa la propria inferiorità in alcune prefazioni, che sono curiosissime a leggersi, e non vogliono per minor male essere mai álla lettera interpretate.

"Io non sono Toscano (dice nella terza) nè bene intendo la proprietà di quella lingua; anzi mi eonfesso Lombardo, anticamente disceso da quelli Ostrogoti, che militando sotto Teodorico loro re, ed avendo le stanze a Dertona, edificarono la mia patria nella via Emilia tra i Liguri Cisappenini non lungi dalla foce della Schirmia, ove quella le prese acque fontanili dell' Appenino, e da' torrenti accresciute disearca nel re dei fiumi. Essa colonia chiamarono Castelnuovo, che anco oggidì per la civiltà delle nobili famiglie e numerosità del popolo è famosa. Non sarebbe adunque gran maraviglia, se io talora usassi alcuna parola triviale e poco usitata, che spirasse alquanto del Gotico. Se la lingua tosca mi fosse stata natia, o apparata l'avessi, molto volontieri usata l'avrei; perciocche conosco quella essere molto castigata e bella, Nondimeno per quello che a me ne paia, il coltissimo ed inimitabile m. Francesco Petrarea, che fu Toscano, nelle sue rime volgari non si trova aver usate due o tre voci pure Toscane; perchè tutti i suoi poemi sono contesti di parole italiane, comuni per lo più a tutte le nazioni dell'Italia. Tuttavia se saranno alcuni che vogliano biasimarmi, mi dorrò di non aver saputo a tutti soddisfare »,

Ma la sola cosa di cui il Bandello nè si dolga, në sospetti, e della quale però non chiegga scusa, è la sconcezza della massima parte de' suoi racconti, che egli religioso, sacerdote e vescovo, dedica indifferen

Della novella e del romanzo
dal Boccaccio sino a noi.

SOMMARIO.

Sacchetti.

LEZIONE XV.

Imitazioni del Decamerone. Il Pecoróne. - Franco

La novella nel Cinquecento. Nuova forma e indiFizzo che si studiano di darle i moderni. - Origine del romanzo. Leggenda del Medio Evo. Busone da Gubbio. Enea Silvio. Romanzi pastorali. -Romanzi storici e di costumi. Manzoni. Conchiusione.

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Alessandro

L'uso del novellare festevole alle corti dei principi, nei castelli dei baroni, era cominciato appena che i costumi presero alcun poco a ingentilirsi, e le lingue romanze mano a mano si vennero componendo dagli informi dialetti che, rampollati dal tronco della lingua latina, diedero origine a quelle della moderna Europa. Altrove noi abbiamo, sebbene rapidamente, toccato dei Trovatori provenzali, della nuova poetica, e delle peregrine foggie del verséggiare secondo gli insegnamenti della Scienza gaia. Erano rozzi elementi, ma pur tali e così fecondi, che venuti a mano d'un grande artista, come era il Petrarca, potevano rotondarsi e prendere la squisita forma del Canzoniere in lode di Madonna Laura. Parlando poi della Divina Commedia facemmo anche un piccolo cenno delle molteplici visioni e delle pie leggende intorno al mondo avvenire, che corsero in gran numero per le bocche degli uomini nel Medio Evo, e non furono allora, nè

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sarebbero osservabili oggidì, se Dante non le avesse nei versi delle tre Cantiche immortalate. Presto ci verrà in acconcio di cercare nei romanzi di cavalleria, della Tavola rotonda, nelle leggende attribuite a Turpino, nel libro dei Reali di Francia gli elementi dell'Epopea romanzesca, che ci diede poi nel Cinquecento quei miracoli d'arte dell'Orlando Furioso. Il Boccaccio rispetto alla sua maggior opera, che è il Decamerone, `non usò diversamente secondochè dicemmo, paragonando il racconto delle tre Anella, e non fece che dare forma nuova e colore alla materia già, di lunga mano apparecchiata. Ma l'arte ha questo di proprio, che più si cela, dove la squisitezza è maggiore, e più male si presta alle imitazioni, dove pare che sia tanto agevole, da essere eguagliata per poco sforzo che fac ciasi. Quindi la moltiplicità degli esperimenti, le male riuscite, le gare e le invidie dei mediocri. Allora si avvera in tutto quel d'Orazio :

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Ex noto fictum carmen sequar, ut sibi quivis -Speret idem, sudet multum frustraque laboret Ausus idem: tantum series juncturaque pollet! Tantum de medio sumptis accedit honoris !

L'Allighieri non ebbe gran numero di imitatori per la maravigliosa grandezza del suo concetto, che non dava campo a matte speranze; ma al Petrarca, siccome vedemmo, ne toccarono ben parecchi, e moltissimi al Boccaccio. Ciò era facile a prevedersi. La popolarità dei modi usati, la modesta semplicità del tessuto, l'ordine armonico, ma poco avvertito degli argomenti, la famigliarità della trattazione, che non lascia quasi agio di pensare con quanta cura egli passi per tutti i tuoni, e sappia spianarsi la via ad ogni maniera di stile, dal

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