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Girolamo Vida e la Cristiade

SOMMARIO. dii giovanili.

LEZIONE XVIII.

-e slu

Conni sulla vita di G. Vida. Suoi natali
Protezione a lui accordata da Leone X. Suoi

lavori poetici, e principalmente della Cristiade. Clemente VII lo
crea vescovo di Alba. Sue virtù e sua morte.
poema, e osservazioni critiche.

-

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Analisi del

In quella che dall'amena terra di Mergellina Jacopo Sannazaro inviava a Clemente VII il poema intorno al Parto della Vergine, un altro illustre Poeta nell'agiata solitudine di Tuscolo, riponeva mano ad una epopea nuova sulla vita di Gesù Cristo; interrotta per la morte immatura di Leone X, e l'assunzione al pontificato di Adriano, uomo di antica severità, e poco amico ai poeti, in verità non perchè nón amasse le lettère, ma perchè le arti del bello vedeva soverchiare ogni altra maniera di studii più gravi, e più profittevoli.

Girolamo Vida (che tale è il nome del Poeta `a cui accenniamo) accingevasi alla difficile opera, ponendosi per una via più diritta, e con pensieri diversi da quelli del Sannazaro. Ossia che mercè i lunghi studii in divinità, egli avesse meglio compresa la stupenda grandezza dell'edifizio cristiano; ossia che sentisse più giustamente intorno all'ufficio della poesia, certo è

che attingendo le ispirazioni a più limpide sorgenti, doveva eziandio riuscire ad un termine più degno e confacente all'argomento divino. Egli stesso vi parli in vece mia, tanto più che è cosa soave il trovare pur uno fra tanti che non rinneghi la sovrana poesia dei salmi di Davide anche a fronte di quella di Omero, di Virgilio e di Orazio:

Facessite hinc, vani poetarum greges,
Auferte vestra kinc somnia.

Non est quod audiam, quod amplius legam
Diserta vestra carmina,

Seu Graeca, seu Latina sint ea, ut lubet.

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Me mea Musa detinet altior.

Inusitatae dulcior citharae sonor
Meis inerrat auribus,

Et intimis alte insidens praecordiis
Totum mihi me surripit.

Iordanis usque ab algida Cycni audio

Ripa canori carmina.

Ut ille luce, ut nocte de multa canit,
Quae nullus antea audiit!'

Cui te sacrorum conferam vatum parem?
Cui regum eumdem comparem?

Con questo altissimo concetto delle bellezze della Bib-s bia, considerandola anche solo come fonte di nuova poesia, non è a maravigliare e' si stancasse delle vanità letterarie, cominciando ad avvedersi che, a non falsare il sublime ufficio della poesia, dovevasi ricorrere alle ispirazioni vive e attuali del Cristianesimo, rinunziando al mondo convenzionale, che fra loro i poeti si componevano.

Sat ludo, scenaeque datum: ludicra priorum Fictaque sat vacuas tenuerunt carmina mentes. Nam quis non teneros molli pede lusit amores,` Et nemora, et fontes, atque inter pocula lusus? Aut quis non divosque, virosque in proelia miscet, Dum validos juvat arma, tùbasque aequare, canendo? Vana superstitio mentitos numina Divos

Iam sileat, pudeat scelerum, quae plurima coelo Affingunt: pudeut sedes scelerare beatas

Versibus, et superos probris involvere nostris. *Iam pia relligio coelo caput extulit, aurea Luce fugans tenebras, haud falsi Numinis index. Carmina nunc mutanda: novo nunc ore canendum. Iamque alias sylvas, alios accedere fontes Edico: jam nunc polluto calle relicto

Hac iter esto; huc Musarum revocantor alumni.

Tuttavolta, per quanto noi vogliamo tener conto di cosiffatti sentimenti all'autore, anche a lui avremo a rimproverare più volte le mende proprie dell'età, imperocchè, pur conoscendo il mal vezzo del tempo, è malagevole a sceverarsene del tutto, parte per colpa della natura umana, parte per forza della stessa ́ lingua, che era nel midollo pagana.

Innanzi però ch'io faccia ragione della Cristiade, consentitemi, o giovani, di premettere alcune notizie biografiche dell'autore.

Nella città di Cremona, l'anno di grazia 1490, venne a luce Girolamo Vida, di onesti parenti, Guglielmo e Leona Oscasala, se chiari per sangue ed antichità di legnaggio, non però molto agiati dei beni della fortuna. Parea che dei due grandi imitatori di Virgilio nel Cinquecento, il Sannazaro e il Vida, l'uno dovesse

trovare le ispirazioni poetiche presso la tomba di lui, l'altro presso la culla.

La sottigliezza degli averi, per buona ventura non fu tale da impedire al giovinetto Girolamo di applicarsi per tempo e darsi tutto agli studii delle belle lettere; conciossiachè il padre, conoscendogli una singolare perspicacia d'ingegno, volesse a ogni modo avanzarlo per quella via. Le cure non furono sprecate ad un ingrato, si perchè egli usò con solerzia del benefizio, e perchè non lo dimenticò poscia mai, pagando con riconoscenza molta ed amore entrambo i parenti, cui onorò vivi, e pianse amaramente, quando la morte. glieli rapiva, in quella appunto che avrebbero veduto il frutto maturo delle spese fatiche:

Vobis conspicuos unis ingressus honores

Subdere colla jugo potui male sueta, manusque
Victus sponte dedi, haud onus aversatus iniquum;
Quae mihi cuncta olim (tibi enim commercia divum)
Praedixti toties venturi praescia mater,

Vos unos agitantem animo, vestraque fruebar
Laetitia exultans, et gaudia vestra fovebam,
Mecum animo versans, quam vobis illa futúra
Laeta dies qua me vestris amplexibus urgens
Irruerem improvisus ad oscula, vix bene utrique
Agnitus, insolitis titulis, et honoribus auctus.
Scilicet et longo tandem post tempora visus,
Dum tenuit me Roma, humili vos sede Cremona.
Una erat haec merces tantorum digna laborum.

Ebbe appena il Vida felicemente percorse le prime scuole a Cremona e a Mantova, non che quelle di filosofia e teologia nei ginnasii di Padova e di Bologna, che, giovine ancora, fu aggregato ai Canonici regolari, e

poco dopo mandato a Roma, siccome campo più vasto e confacente all'altezza dell' ingegno suo, per cui già tanto bene imprometteva. Roma era di quei giorni l'Atene italica quanto di grande e di nobile v' avea nella penisola, raccoglievasi in questo centro della civiltà, intorno alla sede del magnanimo Leone. Pittori, scultori, letterati, filosofi e poeti erano sicuri di trovare colà aperta una via splendida e ricca, mentre gli onori vi si profondevano con una larghezza che poteva parere soverchia eziandio coi sommi, non che con molti mediocri, i quali non mancavano, e non erano nè i più modesti, nè i più ritenuti nel chiedere.

Ma il giovine. Vida era ben lungi dal novero di questi ultimi, e i due elegantissimi poemetti del giuoco degli Scacchi, e dei Bachi aveano fatto per tempo conoscere quanto egli vedesse ben addentro nelle lettere, quanto francamente padroneggiasse la lingua del Lazio, e come fosse meritevole dell'amore del letterato Pontefice. Il quale coll' intento medesimo con cui aveva incorato il Sannazaro, ordinò al giovine Poeta di correre la stessa via, scrivendo un poema intorno alla vita di Gesù Cristo.

Il Vida, se non per la scienza che in entrambo era uguale, per l'indole dell'animo religioso, era uomo più acconcio all'impresa del Sannazaro. Noi abbiamo già veduto quale stima e' facesse delle bellezze bibliche e del Cristianesimo: e gli Inni suoi, che sono luminoso testimonio della sua pietà e del suo ingegno, gli meritarono la gloria d'avere risuscitato in Italia una maniera di lirica famosa presso i Greci, una lirica, la quale avvicinasi per la forma é per la materia ́ all'epopea. L'inno quale è foggiato dal Vida fu rimesso oggidì in onore presso di noi dal Mamiani, e più sarà quanto più se ne studieranno la bellezza

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