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ed un vescovo, ed è tuttavia un grandissimo elogio, quando si pensi, per esempio, ai Cardinali Bembo c Bibiena, a Mons. Della Casa, al Canonico Francesco Berni, e al vescovo Matteo Bandello. Ad un critico invidioso, il quale con versi inurbani avrebbe voluto trarlo in lizza, poteva quindi rispondere francamente, che non avendo mai co' suoi- versi offeso uomo al mondo, non avrebbe voluto incominciare da lui:

Meque remordentem cuperes_tua^cernere contra:
Nunquam efficies: CANDIDA MUSA MEA EST.

Con queste ultime parole iscritte sulla sua divisa poetica, non è a stupirsi che i Vida fosse caro a tutte le fazioni che dividevano allora il mondo letterario con tanto scialacqno d'ingegno e di scritture. Egli non si dolse per critiche, non invani per onori, Quanto vedesse addentro nei misteri dell'arte si può scorgere dagli Inni-sacri meglio ancora che dalla Cristiade, dai poemetti e dalla Poetica, della quale ci verrà in acconcio di fare più tardi un cenno in un altra lezione. Egli cessò di vivere fra le benedizioni e le lagrime dei popoli alle sue cure commessi nell'anno 1566, nel giorno 27 di settembre.

Ora veniamo all'analisi dei sei libri della Cristiade, il suo più vasto lavoro.

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Da quanto siamo fin qui venuti accennando, voi vi sarete bene, giovani, avveduti, che noi come poeta cristiano di lunga pezza anteponiamo il Vida al Sannazaro, anzi a tutti i poeti latini del Cinquecento. Nè questo giudizio ci pare senza buon fondamento, quando ci facciamo a considerare le moltiplici bellezze della Cristiade, la quale è il miglior poema che I'Italia producesse intorno alla storia evangelica, ed

avrebbe, penso, ottenuta una grande popolarità, se fosse piaciuto all' autore di scriverlo nel nostro volgare. Questo errore (e scusatemi se oso chiamarlo errore) fece si che il nome di lui fosse universalmente pochissimo conosciuto.

Come tutti i verseggiatori della storia evangelica, anche il Vida volle nella tela ordita, comprendere tuttaquanta la vita di Gesù Cristo, senza però cadere, come quei, primi nella leggenda; conciossiachè lo studio dei Classici, che era nel suo tempo grandissimo, lo francasse dall'errore grossolano. Dell' ingegno usato da lui a questo proposito ci verrà in acconcio di parlare più sotto; qui ci basti ora avvertire la bellezza dell'esordio, per cui ci trae, a così dire, in mezzo alla scena, facendoci per la bocca dello stesso Protagonista avvisati della solenne azione che oramai avvicinasi al compimento. È una introduzione cosi felice, e tanto somigliante a quella della Messiade del Klopstock, che sareste quasi indotti a credere che il poeta Alemanno prendesse dal nostro la mossa prima della sua ben più vasta epopea.

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Gesù Cristo, segregandosi dalle turbe, predice agli Apostoli la sua morte oramai imminente. Questa solitudine, il silenzio dei boschi, l'ansiosa espettazione dei discepoli, la gravità delle parole, e la grandezza degli avvenimenti profetati, hanno in sè qualche cosa di misterioso e magnifico, che occupa tutto l'animo dei lettori. Lo stesso atteggiamento del Redentore, appoggiato ad un vecchio cedro, la mestizia del volto divino, accrescono all'azione la solennità religiosa:

(

Atque ubi secretos nemora in seclusa vocavit, Procera innitens cedro, moestissimus, ore, Eque imo rumpens suspiria pectore fatur: Ventum ad supremum, socii, etc.

Se dovesse cercarsi un difetto, parmi cbe troverebbesi, á mio avviso, in quel profondo sospiro, il quale diminuisce la forza del moestissimus ore; e potrebbe convenir benissimo ad: Enea, quando grida if terque quaterque beati, non molto all' Uomo-Dio, mesto, ma sempre tranquillo.

Dopo questi primi înizii, Gesù recasi a Betania per risuscitarvi Lazzaro, in quella che appunto il Demonio, spaventato dai miracoli di lui, e più ancora dalla rapida diffusione delle nuove dottrine, risolve di venire alle ultime prove per isterminarlo. Pertanto e radunà un concilio infernale, e manda i suoi a suscitargli altri ostacoli, ed a preparargli la morte. Questa lunga descrizione è tanto leggiadra, e così bene condotta, che il Tasso medesimo, giudice senza dubbio períto, non dubito di tradurla e inserirla quasi a verbo nella sua ́Gerusalemme. Quelle magnifiche stanze, che incominciano: Chiama gli abitator dell'ombre éterne

Il rauco suon della tartarea tromba ecc.

e che tutti sanno a memoria, non perdono nulla, o se così vi piace, acquistano forza ed evidenza maggiore in bocca di Torquato; ma parmi giusto che réndasi al Vida almeno la gloria della prima invenzione. Eccone un brano, che potete confrontare, recitando tra voi e voi le ottave italiane:

Ecce igitur dedit, ingens buccina signum: Quo subito intonuit coecis domus alta cavernis Undique opaca, ingens: antra intonuere profunda, Atque procul gravido tremefacta est corpore tellus. Continuo ruit ad portas gens omnis: et adsunt”. Lucifugi coetus varia, atque bicorpora monstra, Pube lenus hominum facics, verum hispida in anguem

Desinit ingenti sinuata volumine cauda

Ergo animis prompti, atque opibus coiere parati
Una omnes: fremitu vario sonat intus opaca
Regia, rex donec nigrum igne tricuspide dextram
Armatus coetu in medio sic farier orsus:
Tartarei proceres, coelo gens orta sereno,
Quos olim huc superi mecum inclementia regis
Aethere deiectos flagranti fulmine adegit,
Dum regno cavet, ac sceptris multa invidus ille
Permetuit, refugitque parem: quae proelia toto
Egerimus coelo, quibus olim denique utrimqueˇ·
Sit certatum odiis, notum, et meminissé necesse est:
Alle astris potitur, parte et plus occupat ucqua
Aetheris, ac poenas inimica e gente recepit
Crudeles: pro sideribus, pro luce serena
Nobis senta situ loca, sole carentia tecta
Reddidit, ac tenebris jussil torquere sub imis
Immites animas hominum, illaetabile `regnum.

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Praecipitate moras: fluxis succurrite rebus.
Nunc tectis opus insidiis, nunc viribus usus.
Vix ea futus; ubique ruentes jussa facessunt
Auctores scelerum, portisque ex omnibus ‘alte
Diversi erumpunt, fremit abdita murmure tellus.

Cristo arrivato in questo mentre nella terra di Betania con un miracolo nuovo richiama Lazzaro alla vita: narrazione commovente nel Vangelo e nel poema che ritrasse da quello la semplicità e l'affetto. Di là trasferitosi a casa di Simone il leproso, il Redentore avviensi nella bella e pentita peccatrice, che gli terge i piedi colle lagrime, ed ottiene il perdono. Al silenzio delle sacre carte supplisce largamente la fantasia del Poeta,

il quale sa cogliere il destro e trovare immagini`nuove, quando aprasi un campo opportuno, e senza deviare dalla istorica verità, da una piccola circostanza prendere occasione per delineare la storia intima del cuore. Qui sta il segreto dell'arte, e uno dei principali,ingegni della epopea, anzi d'ogni maniera di poesia. Chi è la peccatrice dell'Evangelista? A questo risponderà il Poeta, interrogando le tradizioni volgari, e narrandovi a Jungo siccome questa bella caduta crescesse alle çaste gioie della ricca famiglia da cui era uscita, come, rimasta orfana, si abbandonasse a poco a poco prima al solletico del piacere, poscia a lunghi sorsi bevesse alla tazza avvelenata la morte. Quindi i delirii e la svergognata esultanza della colpa; e da ultimo la stanchezza, il primo senso di timore, l'inquietudine, e gl' implacabili rimorsi che ne intristiscono i giorni, annuvolando quella fronte serena e coronata di rose, finchè il perdono non vi richiami la più mite ilarità del pentimento, ritornando l'anima smarrita al pensiero del cielo..

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Intanto Gesù, vittima destinata al supplizio, avvicinasi volonteroso alla città di Gerusalemme, sapendo che l'ora espiatrice è oramai suonata; e, per dimostrare essere Egli arbitro supremo in quella ancora che viene a prendere la forma dell'ultimo degli uomini, yi entra in aspetto di trionfatore, fra gli applausi di quel popolo istesso che, dopo alcuni di, lo chiamerebbe sul Calvario. Fin qui però egli è Dio che risana d'un cenno l'infermo della probatica piscina, è re che scaccia, come dalla propria casa, i profanatori del tempio, che fulmina colla minaccia dei profeti la maledizione futura della Donna delle provincie, divenuta infedele ed adultera. Quindi è che mentre gli Apostoli ammirano la magnificenza di Gerusalemme, e la

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