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Tu che sei tutto amor, la sacra stampa
Della natura tua nell' uomo imprimi:
Gagliardo sprone e inestinguibil lampa
Tu sei di tutti aneliti sublimi.

Tu godi quindi se il mio spirto avvampa
Per que' tuoi fidi che in virtù son primi:
Tu godi se fra lor taluni eleggo,

E nel lor santo oprar meglio ti veggo.

A me tu dato hai queste fiamme ardenti,
Con cui desio de' petti amici il bene,
E con cui studiando i tuoi portenti
Traggo esultanza, e di capirti ho spene:
Cosi caldo sentir più non diventi
Esca giammai di vanità terrene :
Mie passioni in guisa tal governa,
Che lode sieno a tua saggezza eterna.

Sempre le temo, e sempre sento ancora

Che in amar altre cose io troppo m'amo:
Cieca errò mia bollente alma sinora,
E presa fu di sua superbia all'amo.
Distruggi il suo sentire, o lei migliora;
O vil torpore, od amor santo io bramo :
Ah no, non vil torpor, dammi amor san-
Tu che le tue fatture ami cotanto! [to,

SALUZZO.

Et sit splendor Domini Dei nostri super nos. (Ps. 89, 17.) On di Saluzzo antiche, amate mura! Oh città, dove a riso apersi io prima Il core e a lutto e a speme ed a paura!

Oh dolci colli ! Oh mačstosa cima

Del monte Viso, cui da lunge ammira La subalpina, immensa valle opima! Oh come nuovamente or su te gira Lieti sguardi, Saluzzo, il ciglio mio, E sacri affetti l'aër tuo m'ispira! Nelle sembianze del terren natio

V'è un potere indicibil che raccende Ogni ricordo, ogni desir più pio. So che spiagge, quai siansi, inclite rende Più d'un merto soave a chi vi nacque, E bella è patria pur fra balze orrende; Ma nessuna di grazia armonia tacque,

O Saluzzo, in tue rocce e in tue colline, Ene'tuoi campi e in tue purissim'acque. Ogni spirto gentil che peregrine

A pie di queste nostre Alpi si sente Letiziar da fantasie divine. Sovra il tuo Carlo, e il dotto suo parente (1), Che più vergaron le memorie avite, [te! Spanda grazia immortal l' OnnipossenDolce e saper che di non pigre vite

Progenie siamo, e qui tenzone e regno Fu d'alme da amor patrio ingentilite. Più d'un estero suol di canti degno

Porse a mie luci attonite dolcezza, E alti pensieri mi parlo all'ingegno: Ma tu mi parli al cor con tenerezza, Qual madre che portommi in fra sue braccia

E sul cui sen dormito ho in fanciullezza. Ben è ver che stampata ho breve traccia Teco, o Saluzzo, e il di ch'io ti lasciai A noi gia lontanissimo s'affaccia. Pargoletto ancor m' era, e mi strappai Non senza ambascia da tue dolci sponde, E, diviso da te, più t' apprezzai. Perocchè più la lontananza asconde D'amata cosa i men leggiadri aspetti, E più forte magia sul bello infonde. Felice terra a me parea d'eletti

La terra di mio Padre, e mi parea Altrove meno amanti essere i petti. E mi sovvien ch'io mai non m' assidea Sui ginocchi paterni così pago, Come quando tuoi vanti ei mi dicea. In me ingrandiasi ogni tua bella imago; Del nome saluzzese io insuperbiva; Di portarlo con laude io crescea vago. E degl'illustri ingegni tuoi gioiva, E numerarli mi piacea, pensando Che in med' onor tu non andresti priva. Vennemi quel pensiero accompagnando Oltre i giorni infantili, allor che trassi Al di là delle care Alpi angosciando. Nè t' obbliai, Saluzzo, allor che i passi All'Itale contrade io riportava, [si. Benchè in tue mura il capo io non posasChè il bacio de' parenti m' aspettava Nella città ch'è in Lombardia regina, E colà con anelito io volava.

(1) Carlo Muletti e Delfino suo padre, storici di Saluzzo. Io m'onoro dell'amicizia di Carlo, e parimente di quella del maggiore Felice, suo fratello,

E colà vissi, e colsi la divina
Fronde al suon di quel plauso generoso,
Che premia, e inebbria, e suscita, e
strascina.

[so.

Oh Saluzzo! al mio giubilo orgoglioso
Pe' coronati miei tragici versi,
Tua memoria aggiungea gaudio nasco-
Oh quante volte allor che in me conversi

Fulser gli occhi indulgenti del LombarE spirti egregi ad onorarmi fersi, [do, Ridissi a me con palpito gagliardo

La saluzzese cuna, e mi ridissi Che grata a me rivolto avresti il guardo! E poi che in ogni Itala riva udissi

Mentovar la mia scena innamorata, Ed ai mesti Aristarchi io sopravvissi, L'aura vana, che fama era nomata, Pareami gran tesor, ma vieppiù bello Perchè a te gioia ne saria tornata. Mie mille ardenti vanità un flagello Orribile di Dio ratto deluse,

E negra carcer mi divenne ostello. Non più sorriso d'immortali Muse!

Non più suono di plausi ! e tutte vie
A crescente rinomo indi precluse !
Ma conforti reconditi alle mie

Tristezze pur il Ciel mescolar volle,
E il cor balzommi a rimembranze pie.

Del captivo l' afflitta alma s'estolle

A vita di pensier, che in qualche guisa
Il compensa di quanto uomo gli tolle.

E quella vita di pensier, divisa

Fra le non molte più dilette cose, Ora è tormento ed ora imparadisa. Jo fra tai mura tetre e dolorose

[gio Pregava, e amava, e sentia desto il ragDel poëtar, che il cielo entro me pose. Miei carmi erano amor, prece e coraggio;

E fra le brame ch' esprimeano, v'era Ch'essi alla cuna mia fossero omaggio. Io alla rozza, ma buona alma straniera

Del carcerier pingea miei patrii monti, E allor sua faccia apparia men severa. E m'esultava il sen, quando con pronti Impeti d'amistà quel torvo sgherro Commosso si mostrava a' miei racconti. Pace allo spirto suo, che in mezzo al ferro

Umanità serbava ! A lui di certo
Debbo s' io vivo, e a' lidi miei m'atterro.

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Scevra quasi or mia vita è di dolore, Ad Italia renduto e a'natii poggi, Ov' alte m'attendean prove d'amore. Benedetti color, che dolci appoggi

Mi fur nell' infortunio, e benedetti Color, che mia letizia addoppian oggi! E benedetta l'ora in che sedetti, Saluzzo mia, di novo entro tue sale, E strinsi a me concittadini petti ! Non vana mai su te protenda l'ale Quell'Angiol, cui tuo scampo Iddio commise,

Si che nobil sia cosa in te il mortale! L'alme de' figli tuoi non sien divise Da fraterna discordia, e mai le pene Dell'infelice qui non sien derise! Le città circondanti ergan serene

Lor pupille su te, siccome a suora Ch'orme incolpate a lor dinanzi tiene. E le lontane madri amin che nuora

Vergin ne venga di Saluzzo, e questa
Abbia figliuola reverente ognora;

E la straniera vergin, che fu chiesta
Da garzon saluzzese, in cor sorrida
Come a lampo di grazia manifesta!
Pera ogni spirto vil, se in te s'annida!
Vi regni indol pietosa ed elegante,
E magnanimo ardire, e amistà fida!
Mai non cessino in te fantasie sante,
Che in dottrina gareggino, e sien luce
A chi del bello, a chi del vero è amante;
E del saver tra' figli tuoi sia duce

Non maligna arroganza, invereconda, Ma quella fè che ad ogni bene induce; Quella fede che agli uomini feconda

Le mentali potenze, a lor dicendo, Ch'uom non solo è dappiù di belva immonda,

Ma può farsi divin, virtù seguendo !

Ma dee farsi divino, o di viltate L'involve eterno sentimento orrendo! Tai son le preci che per te innalzate Da me son oggi, e sempre, o suol nativo: [te, Breve soggiorno or fo in tue mura amaMa, dovunqne io m'aggiri, appo te vivo!

LA BENEFICENZA.

Esurivi enim, et dedistis mihi manducare. (MATTH. 26, 35.) MENTRE tanti di nome e d'or potenti Volgono a vanitate e nome ed oro, Né a taluni più bastano i contenti Che sulla terra Iddio concede loro, Mentre a meglio goder cercan furenti La propria gioia nell' altrui disdoro, Simili a falsi Dei d'età lontane

Che a' lor piedi volean vittime umane ;

E mentre mirando
Que' ricchi malvagi
Il volgo fremente
Che invidia lor agi,
Esagera, infuria,
Invoca dal Ciel
Su tutti i felici
Sanguigno flagel;

Que' flagelli rattiene il ricco pio

Che riparar gli altrui misfatti agogna,
E oprando assai per gli uomini e per Dio,
Anco d'essere inutil si rampogna:
Degl' innocenti aiuta il buon desio,
Gli erranti tragge a salutar vergogna ;
Onora l'arti ed anima l' artiero,
E chiamar vorria tutti al bello, al vero.

Il volgo commosso
Ripensa, si calma,
Capisce che il ricco
Può aver nobil alma ;
Insegna a' suoi figli,
Che

pace e lavor

Del povero sono

Salute e decor.

Salve, o di carità sacra fiammella
Che accendi il cor del pio dovizioso!
Se a noi mortali fulgi or così bella,
Qual fulgi tu dell' anime allo Sposo?
A lui che, tutte mentre a sè le appella,
Le appella a mutuo affetto generoso!
A lui che quando cinse umano velo,
Ci palesò che tutto amore è il Cielo !

Amore santifica Tesori e palagi, Amore santifica Tuguri e disagi ; Amor sulla terra

Può tutto abbellir,

L'impero, il servire, La vita, il morir.

Amato molto, amato sia il Signore
Ch' è modello de' ricchi impietositi!
Amato molto, amato sia il Signore,
Modello ai cuori da sventura attriti !
Amato molto, amato sia il Signore
Che noi vuol tutti alla sua mensa uniti !
Amato molto, amato sia il Signore
Che per l' anime umane arde d'amore!
Oscuro o potente,

Di Dio tu sei figlio,
Fratello degli Angioli,
Ancor che in esiglio !
Gran fallo ci avvolse
Nel fango e nel duol :
Amiam ci fia reso
Degli Angioli il vol!

LE SALE DI RICOVERO.

Qui susceperit unum parvulum talem
in nomine meo, me suscipit
(MATTH. 18, 5.)

«SON pargoletto e povero e ammalato ;

Abbi pietà di me, Gesù bambino, Tu che sei Dio, ma in povertà sei nato! Me qui lascia la mamma ogni mattino

Nel solingo tugurio, ed esce mesta Il nostro a procacciar vitto meschino. Ancella move a quella casa e questa,

Ed acqna attinge e lava e assai si stanca, E vive appena, ed indigente resta. Qui soletto io mi volgo a destra, a manca, Senza dolcezza di parole amate, [ca. E fame ho spesse volte, e il pan mi manLe melanconich' ore prolungate

M'empion l'alma di pianto e di paure, E mi sfogo in ismanie sconsolate. Amor la madre assai mi porta, e pure Quando al tugurio torna e pianger m'ode,

Spesso le voci sue prorompon dure ; Talor mi batte, e duolo indi mi rode,

Si che allor quasi affetto io più non sento, E in maligni pensieri il cor mi gode. Povera madre! il viver nello stento

Estingue nel suo spirto ogni sorriso,
Ed anch' io più cruccioso ognor divento

Gesù, prendimi teco in Paradiso,
O tempra la tristezza che m'irrita,
E rasserena di mia madre il viso :
Fa ch'ella trovi ad allevarmi aïta,

Fa che deserto io non mi strugga tanto Fa che un po' d'allegrezza orni mia vita. Se ad altri bimbi io respirassi accanto,

E non sempre gemessi, e qualche mano Söavemente m' asciugasse il pianto, Crescerei più benevolo e più sano

E più caro a la madre io mi vedria : Lassa! altrimenti ella fu madre invano! Ella al mio fianco in pace invecchieria, E per essa con gioia adoprerei A laudevol sudor mia vigoria.

[na,

Le poche forze ai patimenti rei Soggiaceranno in breve, e, fuorchè peNulla i miei giorni avran fruttato a lei.

Ovver, se presto a morte non mi mena

Tanta miseria, crescerò doglioso,
Me coll' afflitta madre amando appena.

Ed ella pur mi dice che odioso

Il povero alla terra e al ciel rimane,
Quando alle brame sue non dà riposo,

Quando coll'ira in cor mangia il suo pane.

Ed ecco del bimbo
La mamma ritorna :
È stanca, ma un raggio
Di gioia l'adorna;
S'asside a lui presso,
Lo stringe al suo sen,
« Oh quanto sinora
Mi dolse, o figliuolo,
Lasciarti ogni giorno
Si tristo, si solo!
T'allegra celeste
Soccorso a noi vien.

« Nell' ore ch' ai figli
Non ponno dar cura
Le madri, cui preme
Fatica e sventura,
Da provvide menti
Ricovro s' aprì.
Alquanto risana,
E là tu verrai:
Son piene due sale
Di pargoli omai:
Giocando, imparando,
Vi passano il dì.

« Al santo pensiero
Che aprì quel ricetto,
Ministre si fanno
Con tenero affetto
Più vergini umili,
Sacrate al Signor :
Null' altro che amarti,
Il sai, potev❜io,
Ma quelle söavi
Ancelle di Dio
Più dolce, più giusto
Faranno il tuo cor.

Io, conscia che al figlio
Non manca un' aïta,
Trarrò senza pianto
Mia povera vita,
L'usato lavoro
Stimando legger.

Al tetto materno
Verrai verso sera,
E sempre alzeremo
Concorde preghiera
Per l'alme pietose
Che asilo ti dier. »

Quel fanciulletto già infermiccio e tristo,
Indi a non molto, in sì benigna scuola,
Rosee le guance e lieti i rai fu visto.
Oh d'amorose labbra la parola

Quanto a' cuori avviliti, e più a' bambini,
Addolcisce le doglie e li consola!

D' entrambo i sessi i pargoli tapini
Ivi sottratti vanno a rio squallore,
Ed a costumi stolidi e ferini.
Che invan vorria la madre o il genitore
Occhio assiduo tener sui cari pegni,
Qua e là faticando per lungh' ore.
Abbandonati a sè, crescere indegni

Veggionsi quindi d'assai plebe i figli,
Egre le membra ed egri più gl' ingegni.
Per cadute e per cento altri perigli
Vedi qual di storpiati e di languenti
Esce turba da' poveri covigli!
Quanti avrian le persone alte e ridenti

Ch'essi strascinan luride e contorte, Perchè guaste d'infanzia agli elementi · Oh benedetti voi che sulla sorte

Della schiatta plebea v' intenerite,
E pensate a scemarle e vizi e morte!
In voi sì belle le grandezze avite
Non son, quant'è il magnanimo disio
Onde a tanti innocenti asilo aprite.

Memori siete di quell' l'omo-Iddio
Che, cinto da drappel di bambinelli,
Li confortava col suo sguardo pio,
Ed imponea d'assomigliare a quelli.

E voi benedette,
Donzelle pietose,

Che al Dio de' bambini
Facendovi spose,
Di madri assumete
Le pene e l'amor.

Per voi dalla terra
Piacer non alligna :
Fors' anco taluno
Vi guarda e sogghigna,
Vi chiama delire
Da stolto fervor.

Ma voi non curanti

Di plauso o di scherno,
I poveri amando
Amate l'Eterno,
Ai bimbi servendo
Servite a Gesù.

Il mondo che ignora

Del core i misteri,
Non sa che più dolce
Di tutti i piaceri
È l'umil conflitto
D'arcana virtù.

La vergine sacra
Al Dio degl' infanti
Sublima sue pene
Con palpiti santi;

É abbietta ai mortali, Ma l'anima ha in ciel.

Con Dio nella mente
Le cure più gravi,
Le cure più vili
Diventan soavi:

Bassezza non tange
Un'alma fedel.

La vergine sacra
Al Dio de' bambini
Vagheggia in Maria
Affetti divini,
Le impronte cercando
Di lei seguitar.

Non volgono ai bimbi
Tirannico ciglio
Color, che mirando
Maria col suo Figlio,
Li veggon dal cielo
Sui bimbi vegliar.

Ah! sì, benedette

Voi tutte, o bell'alme,
Che ai miseri infanti
Porgete le palme,
Di padri e di madri
Vestendo l'amor!

Pensier non vi preme
Di plauso o di scherno:
I poveri amando
Amate l'Eterno :
Ai bimbi servendo
Servite al Signor.

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