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chio del quale gli Aftrologi chiamano (') epiciclo: e ficcome la grande fpera due poli volge, così quefta piccola: e così (1) a questa piccola lo cerchio equatore e così è più nobile, quanto più preffo di quello e in full' arco, ovver doffo di questo cerchio è fiffa la lucentiffima Stella di Venere. E avvegnachè detto fia, essere dieci Cieli, fecondo la stretta verità, questo numero non gli comprende tutti; che quefto, di cui è fatta menzione, cioè l'epiciclo, nel quale è fiffa la Stella, è uno Cielo per fe, ovvero fpera: e non ha una effenza con quella che 'l porta; avvegnachè più fia connaturale ad effo, che agli altri e con effo è chiamato uno Cielo e dinominanfi l'uno e l'altro dalla Stella. Come gli altri Cieli, e l'altre Stelle fieno, non è al prefente da trattare; bafti ciò ch'è detto della verità del terzo Cielo, del quale al prefente intendo: e del quale compiutamente è moftrato quello, che al prefente n'è mestiere.

Poich'è moftrato nel precedente capitolo, quale è questo terzo Cielo, e come in fe medefimo è difpofto; resta a dimoftrare, chi fono quefti che'l muovono. É adunque da fapere, che li movitori di quello fono fuftanze separate da materia, cioè intelligenze, le quali la volgare gente chiamano Angeli e di quefte creature, ficcome delli Cieli, diverfi diverfamente hanno fentito; avvegnachè la verità fia trovata. Furono certi filofofi, de' quali pare effere Ariftotile nella fua Metafifica; avvegnachè nel primo di Cielo, e Mondo incidentemente paja fentire altrimenti, credettero folamente, effere tante quefte, quante circolazioni foffero nelli Cieli, e non più; dicendo, che l'altre farebbono ftate eternalmente indarno, fanza operazione; ch' era impoffibile; concioffiacofachè il loro effere fia loro operazione. Altri furono, ficcome Plato, uomo eccellentiffimo, che puofe non folamente tante intelligenze, quanti fono li movimenti del Cielo, ma eziandio quan

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te

(1) Epiciclo. In alcuni MSS. in, Epiciclo, dal Gr. i'mixundov, quafi quefto luogo, e coftantemente al-fopraccerchio: e Epicielo, che mezzo trove, dove è ufata questa voce, fi farebbe dal latino e mezzo dal Grelegge epicielo; ma credendolo erro- verrebbe a voler dire fopracre de' copifti, non iftimo che fi deb-cielo. ba far cafo di questa nuova parola. Dante affolutamente averà detto epiciclo, ficcome il diffe in rima nell'ottavo del Paradifo.

(2) a questa piccola lo cerchio equatore: e così è più nobile. al. ba quefta piccola lo cerchio equatore: e così è più mobile. E questa credia

Solea creder lo mondo in fuo periclo,mo
Che la bella Ciprigna il folle anore
Raggiaffe, volta nel terzo epiciclo.

effere la vera lezione, ancorchè non fi fia trovata altrove, che nel MS. Andreini.

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te fono le spezie delle cofe, cioè le maniere delle cofe; ficcome una spezie, tutti gli uomini, e un'altra tutto l'oro, e un'altra tutte (1) le larghezze, e così di tutto e vollero che, ficcome le intelligenze delli Cieli fono generatrici di quelli, ciafcuna del fuo; così quefte foffero generatrici dell'altre cofe, ed esempli, ciafcuno della fua fpera: e chiamale Plato, Idee; ch'è tanto a dire, quanto forme e mature universali . Li Gentili le chiamano Dei, e Dee; avvegnachè non così. filofoficamente intendeffero quelle, come Plato e adoravano le loro immagini, e facevano loro grandiffimi templi, ficcome a Giuno, che differo Dea di potenza: ficcome a Vulcano, lo quale differo Dio del fuoco: ficcome a Pallade, ovvero Minerva, la quale differo Dea di sapienza: ed a Cerere, la quale differo Dea della biada. Le quali cofe, e opinioni manifefta la teftimonianza de' Poeti, che ritraggono in parte al modo de' Gentili e ne' Sacrificj, e nella loro fede: e anche fi manifefta in molti nomi antichi rimafi o per nomi o per foprannomi alli luoghi, e antichi edificj, come può bene ritrovare, chi vuole. E avvegnachè per ragione umana queste opinioni di sopra foffono fornite, e per ifperienza non lieve; la verità ancora per loro veduta non fue, e per difetto di ragione, e per difetto d'ammaeftramento; che pur per ragione veder fi può, in molto maggior numero effere le creature fo praddette, che non fono gli effetti, che gli uomini poffono intendere: e l'una ragione è quefta. Neffuno dubita, nè Filofofo, nè Gentile, nè Giudeo, nè Cristiano, nè d'alcuna setta, ch'elle non fieno piene di tutta beatitudine, o tutte la maggior parte: e che quelle beate non fieno in perfettiffimo stato. Onde, concioffiacofachè quella ch'è qui l'umana natura, non pure una beatitudine abbia, ma due, ficcome quella della vita civile, e quella della contemplativa; irrazionale farebbe, fe noi vedemo quelle avere beatitudine dalla vita attiva, cioè civile, nel governo del mondo: e non aveffero quella della contemplativa, la quale è più eccellente, e più divina. E concioffiacofachè quella che ha la beatitudine del governare, non poffa l'altra avere, perchè lo 'ntelletto loro è uno, e perpetuo; conviene effere altre di fuori di quefto minifterio, che folamente vivano fpeculando. E perchè quefta vita è più divina; e quanto la cofa è più divina, è più di Dio fimigliante; manifefto è, che quefta vita è da Dio più amata: e s'ella è più amata, più l'è la fua beatanza ftata larga: e fe più l'è ftata larga, più viventi l' hae dato, che all' M 2 al

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(1) le larghezze, al. le ricchezze.

altrui; perchè fi conchiude, che troppo maggior numero fia quello di quelle creature, che gli effetti non dimostrano. E non è contro a quello, che pare dire Ariftotile nel decimo dell'Etica, che alle fuftanze separate convegna pure la fpeculativa vita: come pure la fpeculativa convegna loro pure alla fpeculazione di certe; fegue la circolazione del Cielo, ch'è del Mondo governo; il quale è quafi una ordinata civilitade, intefa nella fpeculazione delli motori. L'altra ragione fi è, che nullo effetto è maggiore della cagione; perocchè la cagione non può dare quello, che non ha; onde, concioffiacofachè 'l divino intellette fia cagione di tutto, maffimamente dello 'ntelletto umano, che l' umano quello non soperchia, ma da effo è improporzionalmente foperchiato; dunque, fe noi per la ragione di fopra, e per molt' altre intendiamo, Dio avere potuto fare innumerabili quafi creature fpirituali; manifefto è, lui quefto avere fatto maggiore numero. Altre ragioni fi poffono vedere affai; mat quefte baftino al prefente. Nè fi maravigli alcuno, fe queste e altre ragioni, che di ciò avere potemo, non fono del tutto. dimoftrate: che però medefimamente dovemo ammirare loro eccellenza, la quale foverchia gli occhi della mente umana; ficcome dice il Filofofo nel fecondo della Metafifica, ed afferma loro effere; poichè, non avendo di loro alcuno fenfo, dal quale comincia la noftra conoscenza, pure rifplende nel noftro intelletto alcuno lume della vivaciffima loro essenza in quanto vedemo le fopraddette ragioni, e molte altre : (*) ficcome afferma, chi ha gli occhi chiufi, l'aere effere luminofa per un poco di fplendore ovvero raggio, che passa per le pupille del polpaftrello; che non altrimenti fono chiufi li noftri occhi intellettuali, mentrechè l'anima è legata, e incarcerata per gli organi del nostro corpo.

Detto è, che, per difetto d' ammaeftramento, gli antichi la verità non videro delle creature fpirituali, avvegnachè quel

lo

1 ficcome afferma, chi ha gli oc-cienza parlato nelle dotte Offervachi chiuf, l'aere effere luminofa perzioni fopra la Collazione dell'Abaun poco di fplendore ovvero raggio, te Ifaac potendofi ancora dare il che paffa per le pupille del polpafrel cafo, che Dante aveffe detto nipilo. al. del vifpifirello o vilpirello. telle e non polpaftrello. Ma io duNon oftante quefta varia lezione, bito, che polnafrello debba dire: e refta il fenfo molto ofcuro ed in che quefto fia l'orlo delle palpeIrigato. Dubiterei, che poteffe do-bre. Vifpiftrello pare che fa una inver dire che paffa alle pupille pel terpretazione di chi non ha intefa polpaftrello: il qual polpafirello, dif- la propria voce del tefto, ed ha in correndofi dell' occhio, potrebbe for-fua vece pofta queft' altra, per effe effer quello, che nipitello fi do- fer quefto un'animale, che all'aria manda del quale è stato a fuffi-luminofa non efpone il fuo fguardo...

lo popolo d'Ifdrael foffe in parte dalli fuoi Profeti ammaettrato, nelli quali per molte maniere di parlare, e per molti modi Dio avea lor parlato, ficcome l'Apoftolo dice. Ma noi femo di ciò ammaeftrati da colui che venne da quello: da colui che le fece da colui che le conferva, cioè dallo 'mperadore dell' Univerfo, che è Crifto, Figliuolo del Sovrano Id. dio, e Figliuolo di Maria Vergine, femmina veramente, e Figlia di Giovacchino, e d'Adamo uomo vero: il quale fu morto da noi, perchè ci recò vita: il quale fu luce, che allumina noi nelle tenebre; ficcome dice Giovanni Evangelista : e diffe a noi la verità di quelle cofe, che noi fapere lanza lui non potevamo, nè vedere veramente. La prima cofa, e'l primo fegreto, che ne moftrò, fu una delle creature predette ; ciò fue quello fuo grande Legato, che venne a Maria, gio. vinetta donzella di tredici anni, da parte del Sanatore Celeftiale. Questo noftro Salvatore colla fua bocca diffe, che 'IPadre li potea dare molte Legioni d' Angeli. Quefti non negò, quando detto gli fu, che'l Padre aveva comandato agli Angeli, che li miniftraffero e ferviffero. Perchè manifeftoe a noi quelle creature in lunghiffimo numero; perocchè la fua Spofa, e Secretaria Santa Chiefa, della quale dice Salamone: Chi è questa, che fcende dal diferto, piena di quelle cofe che dilettano, appoggiata fopra l'amico fuo? dice, crede, e predica quelle nobiliffime creature, quafi innumerabili: e partele per tre Gerarchie, ch'è a dire, tre Principati Santi, ovvero Divini: e ciafcuna Gerarchia ha tre ordini; ficchè nove ordini di creature fpirituali la Chiefa tiene, e afferma. Lo primo è quello degli Angeli: lo fecondo degli Arcangioli: lo terzo delli Troni, e quefti tre ordini fanno la prima Gerarchia: non prima, quanto a nobiltà, non a creazione; che più fono l'altre nobili, e tutte furono infieme create; ma prima, quanto a noftro falire a loro altezza. Poi fono le Dominazioni: appreffo le Virtuti: poi li Principati; quefti fanno la feconda Gerarchia. Sopra quefti fono le Poteftati e li Cherubini: e fopra tutti fono li Serafini; e questi fanno la terza Gerarchia ed è potiffima ragione della loro fpeculazione il numero, in che fono le Gerarchie, e quello, in che fono gli Ordini. Che, concioffiachè la Maeftà Divina fia in tre Perfone, che hanno una fuftanza; di loro fi puote triplicemente contemplare. Che fi può contemplare della potenza fomma del Padre, la quale mira la prima Gerarchia, cioè quella che è prima per nobiltade, e ch'è ultima noi annoveriamo: e puotefi contemplare la fomma Sapienza del Figliuolo; e quefta

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e

mira la feconda Gerarchia e puoteft contemplare la fomma, e ferventiffima Carità dello Spirito Santo; e questa mira la terza Gerarchia, la quale più propinqua a noi porge delli doni, ch'essa riceve. E concioffiacofachè ciascuna Perfona nella Divina Trinità triplicemente fi poffa confiderare; sono in cia. fcuna Gerarchia tre ordini, che diverfamente contemplano Puotefi confiderare il Padre, non avendo rispetto, fe non ad effo; e quefta contemplazione fanno li Serafini, che veggiono più della prima cagione, che nulla Angelica natura. Puo tefi confiderare il Padre, fecondochè ha relazione al Figliuo lo, cioè, come da lui fi parte, e come con lui fi unifce; e quefto contemplano li Cherubini. Puotefi ancora confiderare il Padre, fecondochè da lui procede lo Spirito Santo: e come da lui fi parte, e come con lui fi unifce; e questa contemplazione fanno le Poteftadi; e per quefto modo fi puote fpeculare del Figliuolo, e dello Spirito Santo. Perchè convengono effere nove maniere di Spiriti contemplanti, a mirare nella luce, che fola fe medefima vede compiutamente. E non è qui da tacere una parola. Dico, che di tutti questi Ordini fi perderono alquanti, toftochè furono creati, forse in nume ro della decima parte; alla quale reftaurare, fu l'Umana Natura poi creata. Li Numeri, gli Ordini, le Gerarchie narrano li Cieli mobili, che sono nove: e 'l decimo annunzia elfa unitade, e stabilitade di Dio. E però dice il Salmista: i Cieli narrano la gloria di Dio, e l'Opere delle fue mani annunziano lo Firmamento. Perchè ragionevole è a credere, che li movitori del Cielo della Luna fiano dell'ordine delli Angeli e quelli di Mercurio, fiano li Arcangioli e quelli di Venere, fiano li Troni; li quali naturati dell' Amore del Santo Spirito, fanno la loro operazione connaturale ad effi, cioè, lo movimento di quello Cielo, pieno d' Amore; dal quale prende la forma del detto Cielo uno ardore virtuofo, per lo quale le anime di quaggiù s'accendono ad amare, fecondo la loro difpofizione. (1) E perchè gli antichi s'accorfono, che quel

no

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(1) E perchè gli antichi s'accorso-fofeos, quando dice, che Venere difche quel Cielo era quaggiù ca- fe ad Amore: Figlio, armi mie, gione d' Amore, dissono Amore botenza mia. effere figliuolo di Venere; ficcome teSimonia Vergilio nel primo delle Eneida, ove dice Venere ad Amo.

re: Figlio, virtù mia figlio dello

I luogo d' Ovidio nel quinto libro,. è al verfo 365. e dice:

Arma, meufque meæ, mea, nate, potentia, dixit, &c.

fommo padre, che li dardi di Tife-Quello di Virgilio nel primo lib.. ce, cioè quello gigante, non curi. v. 668, dice:

E Ovidio 2. nel quinto di Metamor

Na

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