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STORIA DELLA VITA

DI

DANTE ALIGHIERI.

CAPITOLO PRIMO.

Della stirpe di Dante e della sua nobiltà.
I Frangipani e gli Elisei.

L'origine delle antiche famiglie, eziandio delle più cospicue, è quasi sempre involta nelle incertezze e ne' dubbii, per difetto di memorie sicure e di documenti autorevoli. Varii biografi del nostro Poeta hanno creduto poter dire, che egli discendesse dalla nobilissima stirpe romana de' Frangipani, la quale fu nominata così per un atto generoso fatto da uno di essa in tempo di carestia, somministrando gratuitamente il pane alla plebe affamata.1 Ed aggiungono che uno di questa schiatta, appellato Elisone o Eliseo, e che diede quindi origine alla famiglia degli Elisei, portossi a Firenze insiem con quell' Uberto, che il buon Malispini racconta essere stato qua inviato da Giulio Cesare.3

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Altri, non risalendo tant' alto, dicono che quest' Elisone o Eliseo venne qua con Carlo Magno, quando questo imperatore riedificò Firenze, da Attila re degli Unni distrutta.“ Ma tutti questi racconti, come ben s' intende, son favole; perchè è

DANTE. Vita.

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falso che Giulio Cesare inviasse qua quell' Uberto; è erroneo che Attila distruggesse Firenze, poichè non passò mai l' Appennino quegli che, non già la distrusse, ma la malmenò fu Totila re de' Goti; onde Carlo Magno non ebbe a riedificarla: bensì ampliolla, e le si mostrò benevolo.

Quello peraltro che vuolsi bene notare si è, che Dante stesso pregiavasi d'essere di famiglia nobile, e veramente credevasi discendere da uno di quei romani, che colonizzarono Firenze. Nel quindicesimo dell' Inferno, per bocca di Brunetto Latini, dic' egli di sè stesso:

La tua fortuna tanto onor ti serba,

Che l'una parte e l'altra avranno fame
Di te, ma lunge fia dal becco l'erba.
Faccian le bestie fiesolane strame

Di lor medesme, e non tocchin la pianta,
Se alcuna sorge ancor nel lor letame,
In cui riviva la sementa santa

Di quei Roman, che si rimaser quando
Fu fatto il nido di malizia tanta.

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L'allusione qui è chiara: la pianta venuta su dal seme latino, e ch'ei non vuol che si tocchi dalle bestie fiesolane, cioè dai Fiorentini discesi da Fiesole, non è che lui stesso. E notisi anche il modo con che significa questo concetto, dal quale traspare chiaramente, andar egli altero della sua nobile origine. Nel sedicesimo del Paradiso, il tritavo di Dante Cacciaguida parla di sè stesso così:

Gli antichi miei ed io nacqui nel loco,

Dove si trova pria l'ultimo sesto

Da quel, che corre il vostro annual gioco.
Basti de' miei maggiori udirne questo:
Chi ei si furo, ed onde venner quivi,

Più è tacer, che ragionare onesto.

Il principio dell' ultimo sestiere, cioè di Por' san Pietro," era in quel punto della via odierna de' Calzaiuoli, donde per di sotto comincia il Corso, e per di sopra si va in Mer

cato vecchio; sì che restava nel centro dell' antica Firenze: e l'avere abitazione nel centro era segno (secondo che dicono tutti i nostri Cronisti) di antica origine fiorentina, i venuti dal contado prendeano stanza per lo più ne' borghi. Il luogo poi onde gli antenati di Cacciaguida si partirono per ve`nir quivi ad abitare, è (come abbiam veduto qui sopra) Roma.

Adunque le parole di Cacciaguida non suonan biasimo, siccome malamente credono alcuni commentatori, ma suonan lode; perocchè dicendo che egli e i suoi antichi nacquero nel centro della città, dice implicitamente ch' erano d'antica e nobil famiglia, e perciò conchiude: basti solo udirne questo, non importando aggiungere ch'ei venner da Roma. E non l'aggiunge; e dice esser per lui più onesto il tacere, che il farne altre parole, per non darsi lì in cielo, ov' era beato, il meschino vanto d'una nobile ed illustre origine. Ma se all'anima santa di Cacciaguida non conveniva vantarsene, lo si conveniva a Dante; ed infatti se ne vanta, in questo stesso canto dicendo:

O poca nostra nobiltà di sangue,

Se glorïar di te la gente fai

Quaggiù dove l'affetto nostro langue,
Mirabil cosa non mi sarà mai;

Chè là, dove appetito non si torce,
Dico nel cielo, io me ne glorïai.

Vale a dire: << Io non mi maraviglierò più se gli uomini su que» sta terra, dove il cuore è debole, menan vanto del pregio » de' natali; mentre io stesso in cielo, dove non può amarsi >> che il bene, me ne gloriai. » Ed egli se ne gloriava veramente, poichè non lasciava occasione, in cui avesse potuto lanciare una frase di spregio contro coloro, ch' eran venuti su di basso stato, e contro coloro che, per dirla in un modo ch'è antico e moderno, non erano di puro sangue. Nel canto medesimo: Ma la cittadinanza, ch'è or mista

Di Campi, di Certaldo e di Figline,
Pura vedeasi nell' ultimo artista.

Oh quanto fora meglio esser vicine
Quelle genti ch' io dico, ed al Galluzzo
Ed a Trespiano aver vostro confine,
Che averle dentro, e sostener lo puzzo
Del villan d'Aguglion, di quel da Signa,
Che già per barattare ha l'occhio aguzzo.

E appresso:

Tal fatto è fiorentino, e cambia e merca,
Che si sarebbe vôlto a Semifonti,
Là, dove andava l'avolo alla cerca.

E nel Purg. (canto VI, v. 125):

ed un Marcel diventa

Ogni villan, che parteggiando viene.

E nell' Inf. (canto XVI, v. 73):

La gente nuova, e i subiti guadagni,

Orgoglio e dismisura han generata,

Fiorenza, in te, sì che tu già ten piagni.

Comunque sia, e quantunque a Dante per essere il più illustre uomo d'Italia non abbisogni d'un titolo, che non è grande se non quando è fatto tale dalle virtù, perocchè la nobiltà è un manto, che tosto raccorciasi, se non vi s'appone di di in di; pure possiamo sicuramente asserire che la schiatta di lui fu nobile ed antica. Ma egli in buona fede credeva di discendere da famiglia romana, e molti scrittori credono veramente, che tale famiglia fosse quella de' Frangipani, la quale pur nelle istorie del Medio Evo è ricordata siccome il lustre. Ond'è che a schiarire viemeglio siffatta questione giudico conveniente riportare alcune parole, che fece in proposito il signor Filippo de Romanis: « Opinò il signor » Pelli, che il passo del XV dell' Inferno, Faccian le bestie fie» solane strame ec., non sia abbastanza chiaro per concludere >> che la famiglia degli Elisei fosse d'origine romana. Ma se » quella pianta, in cui rigermogliava la stirpe romana, non » si prendesse per la famiglia degli Elisei, non si scorge di

» qual' altra Brunetto potesse intendere, e l' allusione rimar» rebbe senza un soggetto determinato. All'incontro da tutto >> il contesto si rileva, che Dante in quel tratto volle distin» guersi e per origine e per costumi, dai concittadini suoi >> nemici. Perciò mise in opposizione gli lazzi sorbi col dolce » fico, così la gente avara e superba con un cittadino che la » fortuna serba a tunt' onore da essere infine desiderato >> da' suoi persecutori medesimi; e così finalmente mise i >> Fiorentini venuti da Fiesole, che chiama bestie fiesolane, in >> confronto degli altri di origine romana. Simile distinzione >> tra i Fiesolani e Romani, col biasimo dei primi ed encomio >> de' secondi, ci sforza a concludere che Dante, modestamente >> sì, ma con sufficiente chiarezza, volesse dichiararsi romano » d'origine per bocca del suo maestro Brunetto: e chiunque >> sostenesse il contrario, verrebbe a dire che il divino Poeta >> si fosse posto da sè stesso nel numero delle bestie fiesolane, » quantunque Brunetto gl' inculcasse di forbirsi da' lor co>>stumi, il che includerebbe un' assurdità manifesta ed ine» scusabile. Che poi quel passo così vada inteso, lo affermano >> più accreditati scrittori; fra gli altri Giannozzo Manetti, >> Leonardo Bruni, Ugolino Verino........... E il detto loro si ac» corda coll' asserzion del Boccaccio, che quest' Eliseo tra li >> novelli abitatori fosse stato ordinatore della riedificazione » della città, e datore al nuovo popolo delle leggi, secondo >> che la fama del suo tempo ne faceva testimonianza. »

Ma che si prova per queste parole del De Romanis? Ben si prova che, poichè Firenze avea avuto origine da famiglie romane e fiesolane, Dante riteneasi e gloriavasi discendere da una delle prime, e rifiutava la comunanza colle seconde. Ma che la famiglia degli Elisei, da un ramo della quale discesero gli Alighieri, fosse in prima origine derivata da' Frangipani di Roma, come si prova, quando le autorità stesse da questo scrittore invocate non fanno che emettere una semplice opinione? Il Boccaccio dice che Eliseo venne in Firenze con Carlo Magno (an. 781-800); il Pucci dice posteriormente, cioè verso l'anno 833; Filippo Villani non sa diffinire se

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