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CAPITOLO QUINTO.

Dante prende moglie. Studia le scienze sacre. Si ascrive all' arte de' medici e speziali. Dell' industria e del commercio de' Fiorentini. Forma del governo di Firenze. Consegue Dante i pubblici officii. Va ambasciatore a San Gimignano. Ottiene il priorato. Giano Della Bella. I Neri e i Bianchi. I Donati e i Cerchi. Legazione di Fra Matteo d'Acquasparta. Carlo di Valois. Dante va ambasciatore a Bonifazio VIII. Influenza de' papi ne' governi d'Italia. Esilio di Dante.

[1290-1302.]

Quanto fosse sensibile a Dante la perdita dell' amata Beatrice, non potrebbe a parole significarsi. « In tanto dolore » (dice il Boccaccio), in tanta afflizione, in tante lagrime >> rimase, che molti de' suoi congiunti, parenti ed amici niuna » fine a quelle credettero, altro che solamente la morte; e >> quella estimarono dover essere in breve, vedendo lui a >> niuno conforto, a niuna consolazione pôrtagli dare orec>> chie. Li giorni alle notti erano eguali, e le notti a' giorni ; » delle quali niuna si trapassava senza guai, senza sospiri, » e senza copiosa quantità di lagrime, e parevano li suoi » occhi due abbondantissime fontane d'acqua surgente, in>> tantochè e' più si maravigliavano donde tanto umore egli » avesse, che al suo pianto bastasse. >>

Nelle subite e forti passioni le potenze dell' anima si rimangono quasi legate, sì che non è dato all' uomo, fin che rimane in tale stato, di potere operare. Poeta innamorato,

andava Dante celebrando ne' suoi versi le bellezze e le virtù della sua donna; amante sventurato, non potè per alcun tempo parlare della sua dipartita. «Ma poichè gli occhi miei, » (dice egli stesso nella Vita Nuova § XXXII) ebbero per » alquanto tempo lagrimato, e tanto affaticati erano, ch'io >> non potea disfogare la mia tristizia, pensai di voler disfo» garla con alquante parole dolorose: e però proposi di fare >> una canzone, nella quale piangendo ragionassi di lei, per >> cui tanto dolore erasi fatto distruggitore dell' anima mia; » e cominciai allora :

» Gli occhi dolenti per pietà del core
» Hanno di lagrimar sofferta pena
"Sì, che per vinti son rimasi omai.
"Ora s'io voglio sfogar lo dolore,

" Che appoco appoco alla morte mi mena,
» Convenemi parlar traendo guai: ec. "

E nonostantechè con questo e con altri poetici componimenti cercasse disfogare l'interna doglia; nonostantechè si ponesse a scrivere il libretto della Vita Nuova, ch'è una storia passionata del suo amore per Beatrice dalla prima origine fino a un anno dopo la morte di lei; pure le lagrime non ristavano: ond' egli pensò di trovare a ciò altro modo, e questo fu lo studio. « Come per me fu perduto (dic' egli >> nel Convito, tratt. II, cap. 13) il primo diletto della mia >> anima (cioè Beatrice), io rimasi di tanta tristizia punto, >> che alcuno conforto non mi valea. Tuttavia dopo alquanto >> tempo, la mia mente che s' argomentava di sanare, prov» vide...... ritornare al modo, che alcuno sconsolato avea >> tenuto a consolarsi. E misimi a leggere quello non cono>> sciuto da molti libro di Boezio, nel quale captivo e discac>> ciato consolato s' avea. E udendo ancora che Tullio scritto » avea un altro libro, nel quale, trattando dell' amistà, avea » toccate parole della consolazione di Lelio,..... misimi a leg>> gere quello. »

La consolazione peraltro ch'egli andava cercando, non

potea venirgli di subito, ma soltanto col tempo; perocchè troppo forte era il colpo, che la sua sensibilità avea provato, e troppo accesa era la sua fantasia della celeste immagine della donna, che avea perduta. « Egli era (prosegue a nar>> rare il Boccaccio) sì per lo lagrimare, e sì per l'afflizione » che al cuore sentiva dentro, e sì per lo non avere di sè >> alcuna cura, divenuto quasi una cosa salvatica a riguar» dare, magro, barbuto e quasi tutto trasformato da quello, >> che avanti essere soleva; intantochè il suo aspetto, non >> che negli amici, ma eziandio in ciascun altro che 'l ve» deva, a forza di sè metteva compassione. Questa compas»sione e dubitanza di peggio faceva li suoi parenti stare >> attenti alli suoi conforti; li quali, come alquanto videro le >> lagrime cessate, e conobbero li cocenti sospiri alquanto » dare sosta al faticato petto, colle consolazioni lungamente >> perdute ricominciarono a sollecitare lo sconsolato; il quale >> comecchè insino a quell' ora avesse a tutte ostinatamente >> tenuto l'orecchie chiuse, alquanto le cominciò non sola>> mente ad aprire, ma ad ascoltare volentieri ciò, che intorno >> al suo conforto gli fosse detto. La qual cosa veggendo li » suoi parenti, acciocchè del tutto non solamente de' dolori >> il traessino, ma il recassero in allegrezza, ragionarono in>> sieme di volergli dar moglie, acciocchè come la perduta » donna gli era stata di tristizia cagione, così di letizia gli » fosse la nuovamente acquistata. E trovata donna giovane, >> quale alla sua condizione era dicevole, con quelle ragioni >> che più loro parvero induttive, la loro intenzione gli sco>> prirono. E acciocchè io non tocchi particolarmente cia>> scuna cosa, dopo lunga tenzone, senza mettere guari di >> tempo in mezzo, al ragionamento seguì l'effetto, e fu >> sposato. >>

Pertanto nell' anno 1292, e nella sua età di anni ventisette, prese in moglie Gemma di Manetto Donati,1 non propriamente di quella famiglia, ond' era il celebre Corso, che avea le sue case e le torri sulla piazza di San Piero (oggi Mercatino), ma di quella probabilmente (affine all' altra) che abi

tava sulla piazzetta della Rena, che pur fino a' nostri giorni si è continuata a chiamare la piazza de' Donati. Or poichè le case degli Alighieri rispondevano a tergo contro a quelle de' Donati, io ho sempre avuto il sospetto, che la gentil donna, giovane e bella, la quale, dopo la morte di Beatrice, guardava Dante da una finestra molto pietosamente, sicchè tutta la pietade pureva in lei accolta (Vita Nuova, § XXXVI), non altra fosse che quella, ch' egli poi prese in moglie; quando mi sono imbattuto a vedere che questo sospetto ebbe pure il Balbo, il quale dice: «Fu egli poi il matri>> monio di Dante conseguenza immediata dell' aver esso la>> sciato il pensiero della gentil donna consolatrice? ovvero » fu ella una sola persona quella consolatrice dapprima ri>> gettata, e poi presa in donna ? »>

Secondo alcuni scrittori, la mutua corrispondenza fra marito e moglie non durò lungamente. Il Boccaccio afferma che Dante una volta partito da lei, mai nè dov' ella fosse volle venire, nè sofferse che dov' egli fosse ella venisse giammai. E il Manetti rincarando, dice: Uxorem habuit e clarissima Donatorum familia, nomine Gemmum, morosam admodum, ut de Xantippe, Socratis philosophi conjuge, scriptum esse legimus. Ma veramente di tutto questo non si ha particolar riscontro dalla storia; e quantunque io non trovi che in alcun luogo delle sue opere abbia Dante fatto menzione della sua moglie, pure nel breve corso di dieci anni avendo avuto da lei sette figli, e facendosi nel Paradiso (canto XVII, v. 55) dire a Cacciaguida :

Tu lascerai ogni cosa diletta

Più caramente; e questo è quello strale
Che l'arco dell' esilio pria saetta;

la quale espressione oltre i figli può comprendere eziandio. la consorte; io sono portato a credere che egli non provasse per lei quell' avversione, della quale quegli scrittori han tenuto, forse troppo gratuitamente, discorso. Narra il Boccaccio, che, confiscati i beni a Dante, potè la moglie salvarne

una piccola parte per le sue ragioni dotali, ed ella, non senza fatica ottenutala, de' frutti di essa sè e li piccoli figliuoli di lui assai sottilmente reggeva. Veramente non era questo un operare da novella Xantippe, siccome la chiama il Manetti. Che se il Poeta non la ricordò mai nelle sue opere, è da avvertirsi che mai non ricordò in esse i suoi figli: onde se l'argomento non prova per questa parte, non dee provare nemmeno per quella.

Fu nel 1292, nell'anno stesso in che prese moglie, ch'egli cominciò a darsi di proposito allo studio della filosofia e delle scienze sacre, proseguendo in esso assiduamente per quasi tre anni. Dopo avere scritto il sonetto

Oltre la spera che più larga gira,

che è l'ultimo da lui inserito nella Vita Nuova, dice: « Appresso a questo sonetto apparve a me una mirabil vi>>sione, nella quale vidi cose che mi fecero proporre di non >> dir più di questa benedetta (Beatrice) infintantochè io non >> potessi più degnamente trattare di lei. E di venire a ciò >> io studio quanto posso, sì com' ella sa veracementę. Sic» chè, se piacere sarà di Colui, per cui tutte le cose vivo» no, che la mia vita per alquanti anni perseveri, spero di » dire di lei quello, che mai non fu detto d'alcuna. » Or come di qui s'apprende, che fin da quel tempo aveva Dante concepito l'idea del suo Poema, nel quale volea dir di Beatrice quello che mai non fu detto d'alcuna, perciocchè di lei avrebbe formato l'altissimo simbolo della divina sapienza; così s'apprende che a ciò abbisognandogli la cognizione delle dottrine filosofiche e delle scienze sacre, queste si pose a studiare quanto poteva. Per trovare alcun sollievo alla sua afflizione, vedemmo di sopra ch' egli s' era posto a leggere il libro della consolazione di Boezio, e il trattato dell' amicizia di Cicerone. Da questa lettura venne (secondo ch' egli stesso racconta nel Convito, Tratt. II, cap. 13) ch' egli sʼinnamorasse della filosofia: « E siccome essere suole, che » l'uomo va cercando argento, e fuori della intenzione trova

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