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» d'ogni pace, d'ogni moderazione fu Carlo, fratello del re » Filippo. E quindi si spiega e si scusa in parte l'abban>> dono fatto da Dante di questa parte guelfa pervertita, non » più nazionale, e già straniera ancor essa. »

Adunque per opera di Carlo rimasti i Neri padroni della desolata città, nominarono a lor piacere i nuovi priori, cacciandone gli antichi, ed elessero a potestà Cante de' Gabbrielli da Gubbio; il quale, crudele di sua natura, e venduto a' Neri, non fu nel suo ufficio che un docile istrumento delle loro vendette. Confiscò dunque, condannò, esiliò fino e quanto parve a' suoi novelli padroni, tantochè (siccome dice Dino Compagni) più di seicento furono i condannati, i quali andarono stentando per lo mondo, chi qua e chi là.19 Fra questi sventurati fu il nostro Alighieri, al quale i Neri non potean perdonare, ch' egli avesse nel tempo del suo Priorato mandato a' confini alcuni de' principali della lor fazione, ch'egli avesse denegato d'accordare al papa cento militi siccome avea chiesto (vedi nota 2); ch' egli si fosse opposto ne' Consigli a che fosse data una somma, o come allor dicevasi provvisione, al Valois per far l'impresa di Sicilia; 20 e ch'egli si fosse assunto l'incarico di distogliere il pontefice dal voler mandare in Firenze quel principe. Adunque Cante nel 27 gennaio 1302 lo condannò insiem con altri tre, cioè Palmieri degli Altoviti, Lippo Becchi e Orlanduccio Orlandi, a una multa di cinquemila lire di fiorini piccoli (in libris quinque millibus florenorum parvorum), non pagata la quale dentro tre giorni, tutti i suoi beni fossero guastati, distrutti e messi in pubblico (vastentur, destruantur, et vastata et destructa remaneant in Communi). E quand' anche avesse dentro i tre giorni pagato la multa, ei lo condannava a star confinato per due anni fuor di Toscana (nihilhominus stare debeat extra provinciam Tuscia ad confines duobus annis); e che pagando o non pagando, stando a' confini o non stando, fosse escluso per sempre da ogni offizio e benefizio pubblico (nullo tempore possit habere aliquod offitium vel benefitium pro Communi, vel a Communi Florentiæ, in

civitate, comitatu vel districtu vel alibi, sive condepnationem solverit, sive non). « Questo merito (esclama il Boccaccio) ri» portò Dante del tenero amore avuto alla patria ! questo >> merito riportò Dante dello affanno avuto in voler tor via » le discordie cittadine! questo merito riportò Dante dello » avere con ogni sollecitudine cercato il bene, la pace e la >> tranquillità de' suoi cittadini! Per che assai manifesto ap>> pare quanto sieno vôti di verità i favori de' popoli, e >> quanta fidanza si possa in essi avere. Colui nel quale poco » avanti pareva ogni pubblica speranza essere posta, ogni >> affezione cittadina, ogni rifugio popolare, subitamente senza >> cagione legittima, senza offesa, senza peccato, di quel romo»re, il quale per addietro s' era molte volte udito le sue laudi >> portare sino alle stelle, è furiosamente mandato in irrevoca» bile esilio. Questa fu la marmorea statua fattagli ad eterna » memoria della sua virtù ! Con queste lettere fu il suo nome >> tra quelli de' padri della patria scritto in tavole d'oro ! »

Gli addebiti poi che gli furono dati, o, come diremmo oggi, i motivi della sentenza, furono i seguenti: che nel tempo del suo priorato, e fuori di quello, avesse commesso, secondo che era pervenuto alle orecchie del potestà (si noti bene questa gran prova, ex eo quod ad aures nostras, et curiæ nostræ, notitia, fama publica referente, pervenit) baratterie, lucri illeciti, e inique estorsioni in denari ed in robe; che avesse sottratto de' pubblici documenti; che durante il suo officio avesse percetto più di quello, che per diritto pervenivagli; che avesse sparso denaro per far contro il sommo pontefice e il principe Carlo, resistendo alla sua venuta ; che avesse fatta nascere la discordia in Pistoia, e n'avesse poi fatto cacciare i Neri, fedeli devoti della santa romana Chiesa.21 Non bastava pertanto a que' furibondi il cacciarlo in esilio, lo spogliarlo di tutti i beni, sì che dovesse andar per l'Italia limosinando,22 e provare

sì come sa di sale

Lo pane altrui, e com'è duro calle

Lo scendere e 'l salir per l' altrui scale;

ma volevan anco infamarlo. Voleano infamare un ottimo cittadino, un integerrimo magistrato, un Dante Alighieri, splendore di Firenze e d'Italia, esimio benefattore dell' umanità ! Ma ben fallì loro la prova; chè non fuvvi allora alcuno, nè vi sarà mai, che a quelle stolide accuse possa prestare la benchè minima credenza. La vera causa del suo esilio fu l' avere attraversato i rei disegni de' Neri, e l'essersi opposto alla venuta del principe francese, ch' ei ben prevedeva dover riuscire alla distruzione della città. Questa causa traspare chiaramente dalle parole stesse della sentenza, ov'è detto essersi egli adoperato contra summum pontificem et dominum Karolum pro resistentia sui adventus, e d'aver tentato che Pistoia si dividesse ab unione et voluntate civitatis Florentiæ, et subiectione sanctæ romanæ Ecclesiæ, vel domini Karoli in Tuscia paciarii. E questa causa fu attestata dal notaro della Signoria, il quale in margine dello stanziamento fatto dappoi, cioè nel 26 marzo 1302, per dare a Carlo la somma richiesta, notò essere stato Dante esiliato per aver fatto opposizione ne regi (Siciliæ) Karolo daretur subsidium postulatum. Il barattiere, il trafficante degli officii, il ladro della pecunia pubblica non fu l' Alighieri, ma quel principe francese, il re Senzaterra, e poi tutto il partito de' Neri.

Di questi ecco quello che racconta Dino Compagni, testimone oculare, e storico fedele: «Grandissimi mali fecio> no..... molta gente sforzarono e rubarono ;........... rubati i pu» pilli; uomini impotenti spogliati de' loro beni, e' caccia>> vanli della loro città: e molti ordini feciono, quelli che » voleano, e quanto e come. Molti furono accusati, e conve>> nia loro confessare aveano fatto congiura, che non l'aveano >> fatta, ed erano condannati in fiorini mille per uno. E chi » non si difendea era accusato, e per contumace condannato >> nell' avere e nella persona..... e di questi fu Dante Alighieri, » ch' era ambasciatore a Roma; (il quale per conseguenza non potè obbedire alla citazione fattagli per numptium Communis Florentie, ut certo termino jam elapso coram nobis

et nostra curia comparere deberet ac venire..... ad se defen dendum et excusandum ab inquisitione premissa). E chi » ubbidiva, pagava; e dipoi accusati di nuove colpe erano » cacciati di Firenze sanza nulla pietà ;..... patto, pietà, nè » mercè in niuno mai si trovò. >>

Di Carlo, a cui il papa, mandandolo a Firenze, avea detto che il mandava alla fonte dell' oro, e a cui furono dapprima dati settantamila fiorini pel soldo suo e de' suoi cavalieri, e poi altri diciassettemila perchè affrettasse la sua venuta, ecco quello che dice lo storico medesimo: «Messer Carlo di Va>> lois, signore di grande e disordinata spesa, convenne pale» sare la sua rea intenzione. E' cominciò a volere trarre da>> nari da' cittadini: fece richiedere i priori vecchi (quelli >> cioè che i Neri avean costretto a lasciare l'officio)..... e » volea da loro trarre danari, apponendo gli aveano vietato » il passo..... e così gli perseguitava per trarne danari..... >> Uno ricco popolano e di gran bontà, chiamato per nome >> Rinuccio di Senno Rinucci, il quale avea molto onorato » messer Carlo a uno suo bel luogo (di campagna) quando » andava a uccellare..... fece pigliare, e posegli di taglia fio>> rini quattromila, o lo manderebbe preso (prigione) in Pu» glia pure per preghiere di suoi amici lo lasciò per fiorini » ottocento; e per simil modo ritrasse molti danari..... Il » simile avvenne a più richiesti che partiti erano gli con» dannava nell' avere e nella persona, e i beni confiscava in » comune; per modo che il Comune ebbe fiorini ventiquat>> tromila, ed egli finì tutto ciò, che gli avea applicato sotto » il titolo di paciaro. »

Col titolo di paciaro estorceva, col titolo di paciaro confiscava ed applicava al Comune, e col titolo di paciaro si mangiava tutto quello, che al Comune era stato applicato. Veggano i popoli a che conducano le discordie intestine, e qual pace e qual prosperità apporti lo straniero. Dopo aver dimorato in Firenze cinque interi mesi, cioè dal primo o 4 novembre 1301 al 4 aprile 1302, partì Carlo dalla desolata città per alla volta della Sicilia.

Tornando ora alla sentenza contro Dante, dirò che Cante de' Gabbrielli, o per meglio dire il partito de' Neri, non si contentò di condannarlo a un esilio perpetuo e alla confisca di tutti i beni; ma quaranta giorni dopo (cioè nel 10 marzo) prendendo motivo dal non aver egli dapprima obbedito alla citazione, e poi dal non aver pagato la multa, donde argomentavasi per reo confesso di ciò che gli era stato imputato, lo condannava, qualora nelle forze della repubblica pervenisse, ad esser bruciato vivo.23

ILLUSTRAZIONI E DOCUMENTI

AL CAPITOLO QUINTO.

1 Che Gemma Donati fosse figliuola d'un Manetto, e nipote d'un Donato, apparisce da due istrumenti; il primo del 1297, l'altro del 1332. Così dice il Pelli, promettendo di riportare in appresso i detti documenti; ma il fatto si è che poi non ne riporta che un solo, cioè quello del 1332 (v. la nota 8 al cap. III), l' altro l'abbiamo riportato noi (v. ivi, nota medesima), ma in questo non si fa parola di Gemma.

2 Da alcuni frammenti d'un codice cartaceo, che tuttora si conservano nell' archivio centrale di Stato (frammenti di minute di consulte) si vede che Dante discusse nel 5 giugno del 1296 nel Consiglio del capitano (in Consilio Centum virorum) sopra alcune proposte, leggendovisi: Dante Alagherii consuluit secundum propositiones prædictas. La data, per esser le carte andate a male, non vi și legge chiaramente, ma il Segretario dell' archivio, mio buon amico e collega, mi scrive (28 settembre 1860): « Tenga » per fermo, che la data della consulta di Dante, che esa» minammo insieme ieri mattina è del 5 giugno 1296. » Dunque mi sono apposto al vero, dicendo che Dante si fu ascritto alle arti non nel 1297, come dice il Pelli, ma sì nel 1295.

Nel 1301 discusse due volte nel Consiglio delle Capitudini, ed una volta nel Consiglio de' cento. Queste discussioni, che pur io ho vedute nel libro di consulte dal 1300

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