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8 Vedansi Balutius, in Vit. pontif. Avenion. vol. II, pag. 90 e 96; Ptolom. Lucens. Histor. Eccles. in Script. rer. italic. tomo XI, col. 1227 e 1242; Bernard. Guidon. ivi, tomo III, col. 674.

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"Ecco le parole del biografo: « Egli era suo costume, qualora sei o otto, o più o meno canti fatti n'avea, » quelli, prima che alcun altro li vedesse, dove ch' egli fosse, mandare a messer Cane della Scala, il quale egli oltre » ad ogni uomo aveva in reverenza e poichè da lui erano " stati veduti, ne facea copia a chi la voleva. E in così » fatta maniera avendogliele tutti, fuor che gli ultimi tre» dici canti, mandati; e quelli avendo fatti, nè ancora mandatigli, avvenne che egli, senza avere alcuna memoria di lasciarli, si morì. E qui il Boccaccio, che spesso presta fede alle visioni ed a' sogni, racconta come da' figliuoli e discepoli del Poeta non trovandosi questi tredici canti, Dante vestito di candidissimi vestimenti, e di una luce non usata risplendente nel viso, apparve una notte a Jacopo suo figlio, e gl' indicò il luogo, ove i detti tredici canti erano stati da lui riposti. Per la qual cosa lietissimi (i figli "e i discepoli) quelli riscritti, secondo l'usanza dell' autore, prima gli mandarono a messer Cane della Scala, e poi alla imperfetta opera ricongiunsero come si conve» nia. In cotal maniera l'opera in molti anni compilata, " si vide finita. »

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10 Quantunque il conte Troya ritenga fermamente, che l'Inferno fosse dedicato ad Uguccione della Faggiuola, il Purgatorio a Moroello Malaspina, il Paradiso a Can della Scala; pure, credendo egli che il Moroello, amico di Dante, fosse il marchese di Giovagallo, si manifesta impacciato nel determinare se la dedica avesse poi luogo: perocchè da' documenti storici, che ci restano, sembra che nel 1315 Moroello di Giovagallo non fosse più tra' viventi. Questa difficoltà non sarebbesi affacciata al Troya, s'egli avesse considerato, che il Moroello Malaspina, amico di Dante, non poteva essere il marchese di Giovagallo (il capitano della taglia guelfa, il vapor di Valdimagra, che sconfisse i Bianchi in Campo piceno), ma esser doveva o il marchese di Villafranca, pel quale procurò Dante la pace col vescovo di Luni, o il marchese di Valditrebbia.

11 Il Boccaccio è il solo tra gli antichi, che abbia accennato questa data del 1301. Ecco le sue parole (Com

mento al canto III): « Quando l'autore entrò in questo » cammino, il quale egli descrive, e nel quale dice aver > veduta e conosciuta l'ombra di colui che fece per viltà » il gran rifiuto, questo san Piero non era ancora canoniz

zato: perciocchè, siccome apparisce nel vigesimoprimo " canto di questo libro, l'autore entrò in questo cammino " nel MCCCI, e questo santo uomo fu canonizzato molti " anni dopo, cioè al tempo di papa Giovanni vigesimose» condo. "

CAPITOLO NONO.

Dei figli di Dante. Albero de' suoi discendenti fino all' estinzione della famiglia Alighieri in Verona.

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Ebbe Dante sette figli, cinque maschi e due femmine. Due de' maschi, cioè Eliseo ed Alighiero, morirono in tenera età: gli altri tre, che sopravvissero al padre, furono Pietro, Jacopo e Gabbriello. <«<< Ebbe Dante un figliuolo tra gli >> altri chiamato Pietro (dice Leonardo Bruni), il quale stu» diò in legge, e divenne valente; e per propria virtù e » per favore della memoria del padre si fece grand' uomo, » e guadagnò assai; e fermò suo stato in Verona con assai >> buone facoltà. » Il Filelfo poi racconta, che cominciò a studiare in patria il diritto civile, e che, avendo seguitato il padre suo nell'esilio, passò a Siena e quindi a Bologna, ove a suo tempo prese la laurea dottorale. Quantunque Pietro fosse tra i figli di Dante il maggiore, e lo si possa ritener nato nel 1293, pure non è ammissibile ch' egli proseguisse in Siena i suoi studii di diritto civile, mentre quivi per l'esilio trovavasi il padre suò, perciocchè questo avvenne nel 1302 quando Pietro non avea che 9 anni d'età può dunque solo ritenersi, che egli studiasse dapprima in patria; che fattosi poi d'età conveniente si portasse a Bologna, e quivi, compiti i suoi studii, prendesse la laurea; e poi nel 1317 (quand' egli era in età di 24 o 25 anni) si trasferisse a Verona a convivere col genitore. In Verona dunque fermò Pietro la sua dimora, ed ivi esercitò la nobil professione di giureconsulto. Hassi dai documenti che nel 1337 egli era giudice in Verona, e nel 1361 vicario del Collegio di detta città, e del potestà Niccolò Giustiniani. Fu uomo molto dotto; ed è

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perciò che da alcuni gli viene attribuito un commento latino sulla Divina Commedia, che va oggi sotto il suo nome, e che nel 1845 fu messo in luce a spese di lord Vernon, mentre da altri si crede non potere a lui appartenere. * Io non pretendo pronunziar sentenza su questa difficil questione; ma se dovessi dir semplicemente l'opinion mia, direi che quel commento, almeno nella forma che oggi l'abbiamo, non è di Pietro. Fu egli anco in relazione col Petrarca, trovandosi che questi in una sua lettera lo chiama florentinum causidicum. Ebbe in moglie una donna, la quale avea nome Jacopa, che gli mori nel 1358, ma che non sappiamo a qual famiglia appartenesse. Dicono alcuni (e fra questi il Pelli) che, trasferitosi per suoi affari in Treviso, quiyi morisse nel 1364, e che il suo corpo fosse deposto nella chiesa di santa Caterina (altri dicono in quella di santa Margherita), in un bel deposito, a cui fu apposta la seguente iscrizione:

Clauditur hic Petrus tumulatus corpore tetrus,
Ast anima clara cælesti fulget in ara:
Nam pius et justus juvenis fuit atque venustus,
Ac jure quoque simul inde peritus utroque:
Extitit expertus multorum et scripta refertus,
Ut librum patris punctis aperiret in atris,
Cum genitus Dantis fuerit super astra volantis,
Carmine materno decurso prorsus Averno,
Menteque purgatas animas revelante beatas,
Quo sane dive gaudet Florentia cive.

Ma il Dionisi disse esser tutto questo una favola. L'iscrizione parla più del padre che del figliuolo; non dice nè in qual anno fu posta, nè da chi, nè indica quando Pietro morisse. Quell'iscrizione fa morto Pietro da giovine, mentre morì di anni 71; lo fa credere morto in Treviso, in una chiesa di essa città sepolto, mentre i documenti provano, che egli fece testamento e morì in Verona nel 1364, e fu sepolto nella chiesa di San Michele in campagna, presso le mura di questa

città. Il Maffei sull'autorità d'un necrologio delle monachc di essa chiesa, riporta: anno 1364. Dominus Petrus judex, filius quondam Dantis de Alegheriis, condidil testamentum Veronæ, præsentibus inter alios domino Francisco judice, filio domini Rolandini de Mafeis de sancto Benedicto: heredem fecit Dantem filium suum: legavit societati sanctæ Marie de Orlo populi sancti Michelis domum suam positam in populo sancti Martini Episcopi de Florentia. Giovan Battista Biancolini, nelle Notizie storiche delle Chiese di Verona (parte I del lib. V, pag. 194 a 220) riporta per intero il detto necrologio, ed in esso si legge: X1 Kalendis Majas obitus domini Petri Dantis de Aligeris, patris sororum Allegerie, Gemme et Lucie; MCCCLX1111. Comunque sia, dirò che il monumento fu da molto tempo distrutto, e che la riportata iscrizione si trova oggi nella libreria capitolare di Treviso.

Di Jacopo, che si ritiene essere stato il secondogenito di Dante, pochissime notizie abbiamo. I due documenti riportati nel capitolo III; nell' uno de' quali si vede Jacopo fare un contratto col suo zio Francesco, nell' altro si ha notizia che dal governo di Firenze gli furono restituiti i beni confiscati al padre suo; mostrano com' egli nel 1332 e nel 1342 trovavasi in Firenze: anzi negli Spogli del capitan Della Rena è detto che abitava nel popolo di Sant' Ambrogio, probabilmente in quella casa che apparteneva agli Alighieri, e della quale facemmo parola a suo luogo. In uno Spoglio esistente nella Magliabechiana, trovasi scritto: Jacopo del già Dante piglia e' due primi ordini minori da m. Tedice vescovo di Fiesole gli 8 ottobre 1326. Se questa notizia è vera, convien dire ch' ei non proseguisse più avanti, e si spogliasse l'abito ecclesiastico, poichè troviamo che egli ebbe in moglie Teresa, o (com' altri dice) Jacopa di Biliotto degli Alfani; la quale lo rese padre di due figli. Sembra insomma, che non in Verona insieme col fratel suo, ma stabilisse in Firenze la sua dimora. Fu a lui attribuito un commento, dettato in lingua volgare, sopra la prima cantica della Divina Commedia; e

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