Sayfadaki görseller
PDF
ePub
[ocr errors]

"

[ocr errors]

» etiam græcis, qui suos vel aliorum amores decantassent. " Cum vero in summo honore, ut nunc quoque, haberetur Dantes, præclarus auctor nobilitatis tuæ, ac Franciscus Petrarca, qui elegantissima poemata etrusco sermone conscripserant, ec. » Egli poi esercitò varii officii per la repubblica veneta: nel 1526 fu vicario della casa de' mercanti in Verona, nel 1528, 1536, 1539 provveditore del comune. Si accasò con Teodora Frisoni, dalla quale ebbe soltanto una figliuola, per nome Ginevra. Morì (non si sa in qual anno) e fu sepolto insiem colla moglie nella chiesa di san Fermo maggiore di Verona, nella cappella a mano sinistra dell'altar maggiore, la quale Francesco suo fratello avea fatto a proprie spese costruire; ed al suo sepolcro (secondo che riferiscono il Maffei, loc. cit., e il Biancolini, Chiese di Verona, lib. VIII, pag. 169) fu apposta la seguente breve, ma decorosa iscrizione:

Petro Aligero Dantis III filio

Græce et latine docto

Et Theodoræ conjugi incomparabili.

18 Secondogenito di Dante III, e fratello di Pietro III, fu Lodovico, il quale esercitò la giurisprudenza, non lasciando d' applicare eziandio agli studii più geniali delle umane lettere, secondo che riferisce il più volte citato marchese Maffei, riferendosi a varie lettere dei Nogarola, ad esso Lodovico dirette, le quali parlano di greca erudizione. Nel 1526 fu ascritto al collegio de' giudici di Verona, ove poi fu pretore urbano, ed eziandio vicario de' mercanti, secondo che dice il Pelli; dignità considerevole in quella città; ed uno de' deputati alla riforma degli statuti del collegio. Si accasò con Eleonora del conte Antonio Bevilacqua, ma non ne ebbe figli: onde con suo testamento del 1547 istituì erede il suo fratello Francesco, il quale lo fece tumulare nella suddetta sua cappella di San Fermo maggiore, in un sepolcro distinto da quello di suo fratello Pietro III. L'iscrizione appostavi (Biancolini, loc. cit.) dice così:

Ludovico Aligero jurisconsulto
Omnibus virtutibus ornatissimo

Fratribus amantissimis

Et sibi Franciscus Aliger fieri curavit.

H. M. H. N. S.

Le sigle, secondo il p. Zaccaria (Istituz. antiquario-lapi

daria, Roma 1770, pag. 278 e 430), si spiegano: Hoc monumentum hæredem non sequitur.

19 Questo Francesco, fratello di Pietro III e di Lodovico, del quale (com' è stato notato qui sopra) rimase erede, fu uomo fornito di molta dottrina. Il conte Lodovico Nogarola, rispondendo a Daniel Barbaro, il quale lo avea pregato a procurargli da' suoi più dotti concittadini qualche aiuto per la versione di Vitruvio, intorno alla quale stava egli lavorando, così gli risponde: Vitruvium jam vidi a Bernardino Donato nostro in linguam hetruscam conver> sum, additis etiam nonnullis scholiis, quæ quidem omnia suspicor inaniter periisse. Hoc idem postea fecit, rogatu » Alexandri Vitellii, Franciscus Dantis Aliger, quo nemi"nem Veronæ arbitror ad Vitruvii intelligentiam propius » accedere. Cum hoc viro doctissimo magnus olim mihi fuit usus; nunc vero nullus; nam ruri continenter vitam agit, nec nisi raro ad nos revertitur: si forte tamen accidat, ut urbem repetat, hominem aggrediar.» (Maffei, Scritt. Veron., pag. 54). Questo lavoro di Francesco intorno Vitruvio pare essersi perduto, poichè il dotto Poleni (Exercitationes Vitruvianæ, pag. 83) dice non averne potuto mai rintracciare notizia.

[ocr errors]

Un altro lavoro fece Francesco, ma questo hassi alle stampe, ed ha per titolo Antiquitates Valentine Francisci Aligeri, Dantis tertii filii. È una dotta illustrazione delle iscrizioni e statue antiche, raccolte nel suo palazzo di Trevi nell' Umbria da Benedetto Valenti, che fu pontificii ærarii tribunus sotto Clemente VII e Paolo III. La prima e maggior parte dell' opera, che contiene l'illustrazione delle lapidi ed il primo dialogo sopra le statue, fu pubblicata Romæ apud Antonium Bladum Asulanum, senz' anno, ma probabilmente nel 1537, come vedevasi segnato a penna in un esemplare posseduto da Filippo de Romanis. Il secondo dialogo sopra le statue (ove, come nel primo, sono interlocutori lo stesso Francesco, Benedetto Valenti e Xanto Porzio) che non era stato dato alle stampe, e che credevasi perduto, fu poi nel 1769 ritrovato manoscritto nell' archivio della ricordata nobil famiglia Valenti dal professor Cristoforo Amaduzzi, dal quale nel 1773 fu con dotta prefazione pubblicato Romæ apud Benedictum France

sium.

Questo Francesco fu l'ultimo maschio della famiglia Alighieri non si trova ch' ei prendesse moglie: testò nel 1558, e morì probabilmente in quello stesso anno.

20 Ginevra, figlia di Pietro III e nipote di Lodovico e di Francesco, fu l'ultimo fiato della famiglia Alighieri. Nel 1549 ella si maritò col conte Antonio Sarego di Verona, ed in questa nobil casata portò le facoltà e la nuova arme degli Alighieri. Il Maffei (Scrittori Veronesi, pag. 54) attesta che l'istrumento dotale di essa Ginevra, del detto anno 1549, trovavasi al suo tempo nell' archivio di Verona ai rogiti di Girolamo Piacentini. Ma come tutte le cose di quaggiù hanno lor morte, così la famiglia Sarego, in cui s'era innestato il sangue degli Alighieri, s'estinse pochi anni fa in una donna, cioè nella contessa Maria Teresa ne' Gozzadini di Bologna.

CAPITOLO DECIMO.

Del sepolcro di Dante in Ravenna,
e delle iscrizioni appostevi.

Varii scrittori delle cose di Dante sono andati ripetendo, che la nota iscrizione Jura Monarchiæ ec., la quale si legge al sepolcro del nostro Poeta in Ravenna, fosse dettata da lui stesso qualche tempo innanzi della sua morte. E poichè nel concetto racchiuso ne' due primi versi di quella, il signor Gabriele Rossetti credè trovar una piena giustificazione del modo tutto suo particolare, col quale andò interpretando le parole, non che le frasi della Divina Commedia, non sarà discaro a chi ama le realtà più che le fantasie, che io prenda a mostrare come la detta iscrizione nè fu, nè poteva essere dettata da Dante. Una tale indagine ne trae seco un'altra: cioè quale si fosse veramente l'iscrizione posta dapprima, quali le altre poste in appresso al sepolcro; e questo pure, dietro le tracce segnate già dal canonico Dionisi, non che da altri, prenderò a dichiarare.

La controversa iscrizione dice adunque così:

S. V. F.

Jura Monarchiæ, Superos, Flegetonta Lacusque
Lustrando, cecini, voluerunt fata quousque;
Sed quia pars cessit melioribus hospita castris,
Auctoremque suum petiit felicior astris,

Hic claudor Dantes, patriis extorris ab oris,
Quem genuit parvi Florentia mater amoris.

Domandando su quali autorità dobbiamo noi ritenere che questa epigrafe fosse dettata da Dante, odo rispondere

che l'iscrizione parla in prima persona, e tal persona si è Dante; e che il fatto è comprovato dalla testimonianza di parecchi scrittori. La prima parte della risposta non prova nulla; perciocchè quante mai iscrizioni non sono, che parlano in prima persona, e pure non furono dettate da coloro che nel sepolcro riposano? Anzi dirò, che un tal modo era assai familiare agli antichi, e il riportarne degli esempii non sarebbe che vana mostra di erudizione, dappoichè ella è cosa notissima.

La seconda parte della risposta, cioè che il fatto è comprovato dalla testimonianza di parecchi scrittori, è debole e vacillante pur essa; perciocchè non sull'autorità di scrittori del secolo XIV, ma su quella d' uno storico di ben picciola fede, e posteriore di oltre due secoli al fatto preteso, e sulla interpretazione delle sigle S. V. F., i moderni biografi e illustratori di Dante sono andati ripetendo una tal voce.

Dice Giovanni Villani, che Guido da Polenta tanto amò l'amico poeta, che appresso la morte di lui pensò di erigergli un onorevole monumento, e che questo « fu a certo >> tempo adornato d'alti e sottilissimi versi, i quali com» puose e dittò il grande e valente poeta maestro Giovanni » Del Virgilio di Bologna, e furono iscolpiti in esso monu» mento. » Il Boccaccio poi dice che il Polentano « avea disposto di si egregia sepoltura onorarlo, che se mai alcun » altro suo merito non lo avesse renduto a' futuri, quella lo » avrebbe fatto. Questo laudevole proponimento infra breve >> spazio fu manifesto ad alquanti, li quali in quel tempo >> erano in poesia solennissimi in Romagna: sicchè ciascuno » si per mostrare la sua sufficienza, si per rendere testimo>> nianza della portata benevoglienza al morto poeta, si per >> accattare la grazia del signore, il quale sapevano ciò de» siderare, ciascuno per sè fece versi, li quali, posti per epi» taffio alla futura sepoltura, con debite lodi facessino la » posterità certa, chi dentro ad essa giacesse ; ed al magni>> fico signore gli mandarono, il quale per gran peccato della » fortuna, non dopo molto tempo, toltogli lo stato, si mori

« ÖncekiDevam »