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Danti Alighiero

Poeta sui temporis primo

Restitutori politioris humanitatis
Guido et Hostasius Polentani
Clienti et hospiti peregre defuncto
Monumentum fecerunt.

Bernardus Bembus prætor venet. Ravenn.
Pro meritis ejus ornatu excoluit.
Aloysius Valentius Gonzaga card.
Leg. Prov. Emil.

Superiorum temporum negligentia corruptum
Operibus ampliatis

Munificentia sua restituendum
Curavit

Anno MDCCLXXX.

Riepilogando pertanto gli argomenti finora discorsi, avremo: 1° che al tempo che il Boccaccio portossi a Ravenna (e ciò fu nella sua gioventù), non esisteva al sepolcro di Dante iscrizione veruna; 2° che la prima e sola iscrizione apposta a quel sepolcro, fu quella di Giovanni Del Virgilio; 3o che la controversa epigrafe Jura Monarchiæ fu ignorata da' tre più antichi biografi del Poeta, o, se fu mai da loro conosciuta, non la ritennero per iscrittura di Dante, chè altrimenti non avrebbon mancato di farne parola; 4o che questa epigrafe fu solo posta da Bernardo Bembo, quando nel 1483 ricostruì il sepolcro di Dante, e che solo in quell'anno fu tolta l'antica del Del Virgilio; 5o che se la detta epigrafe, dappoichè riscontrasi in codici anteriori al 1483, non fu composta per ordin del Bembo; e se per avventura può supporsi una di quelle che gli amici del Polentano, appresso la morte di Dante, inviarongli, non potrà mai ritenersi per componimento di Dante medesimo. Dal Bembo peraltro, agevolmente tratto in inganno dalla forma di quell' epigrafe, furono aggiunte le sigle S. V. F., e questo fatto agevolmente deducesi dall' osservare, come nelle copie manoscritte anteriori al Bembo, le tre suddette sigle non si riscontrano.

DANTE.

Vita.

21

Dimostrato dunque che questa epigrafe non fu dettata da Dante, il concetto racchiuso ne' due primi versi di quella, cioè che, descrivendo l' Inferno, il Purgatorio e il Paradiso, intendesse il Poeta cantare i diritti della imperial monarchia, si rimane una semplice opinione dell' anonimo scrittore di essa. Non ha dubbio che Dante, più per la brama ardente di veder ricostituita l'Italia, che per quella di trar vendetta de' suoi ostinati nemici, si volse tutto alla parte imperiale; ma il voler fare della Divina Commedia un libro di setta, e il voler qualificar Dante per un precursor di Lutero (siccome pretende il Rossetti), è cosa che non può affatto ammettersi. I diritti della monarchia non furon da Dante cantati nel Poema, siccome dice l'epigrafe, e siccome vuol credere il citato scrittore, ma furon da lui esposti in apposito Trattato, che porta appunto il titolo Della Monarchia: nel Poema la monarchia non è che uno de' mezzi, i quali poteano procurare il riordinamento d'Italia e il bene dell'umanità; l'altro essendo, anzi il primo, la religione di Cristo. Il gergo settario, architettato in un modo fanciullesco e ridicolo, che il Rossetti vuol trovare nel divino Poema, non è che un portato mostruoso della sua fantasia. Non in gergo, non con frasi a mosaico, non timidamente, ma arditamente e con parole chiare ed aperte ha parlato Dante contro quei re, quei papi e quei grandi personaggi, che coi loro vizii e delitti avean disonorata l'umanità, e malmenato e corrotto l'Italia. Dunque la frase lustrando Superos, Flegetonta, lacusque, cecini jura Monarchiæ, non può attribuirsi all' autore della Divina Commedia.

ILLUSTRAZIONI E DOCUMENTI

AL CAPITOLO DECIMO.

1 La lezione, che di questi versi abbiamo in varie stampe, anche recentissime, è lacera e guasta oltremodo. Col confronto delle varie copie sì stampate che manoscritte ho potuto correggere parecchi errori, sei dei quali pur riscontransi nell' edizione di Padova, ch'è la meno scorretta di tutte le altre. Pongo qui a confronto le due lezioni.

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E poichè son qui a far parola degli errori corsi in questa iscrizione, dirò d' un altro sbaglio intorno di essa commesso. Nell' edizione della Vita di Dante stampata dal Sermartelli, Firenze 1576 (edizione, che quantunque citata dall'Accademia, è piena di alterazioni), dopo il periodo, nel quale il Boccaccio dice, che i versi da lui stimati i migliori di tutti gli altri mostratigli, furono quattordici di Giovanni Del Virgilio, i quali (egli soggiunge) sono questi appresso scritti, si riportano non già i quattordici del poeta bolognese, ma (cosa veramente strana) tredici soltanto, che sono un miscuglio di tre differenti iscrizioni. Ma conciossiachè nelle due edizioni antecedenti (Ven. 1477, Roma 1544), e nelle due susseguenti (Fir. 1723, Ven. 1825) i versi del Del Virgilio hannosi in quella forma, in che sono stati da me riferiti, e nella forma (aggiungerò) che si leggono ne' codici mss., evidente che la sunnotata differenza non è che uno strafalcione, o un arbitrio dell' editor Sermartelli.

2 Taluno opina che il sepolcro di Dante nessuna iscrizione s'avesse fino a che, per cura del Bembo, non risorse a nuovo splendore. Ma oltrechè le parole surriferite de' tre più antichi biografi del Poeta non ammettono ragionevol dubbiezza, abbiamo la testimonianza di Giannozzo Manetti, il quale nella vita del Poeta, scritta varii anni avanti che il Bembo andasse a Ravenna, disse così: « Sepultus est » Ravennæ in sacra minorum aede, egregio quodam atque >> eminenti tumulo, lapide quadrato et amussim constructo, compluribus insuper egregiis carminibus inciso insignitoque. Epitaphium ab initio hujusmodi in quadrato sepulchri lapide incisum fuit:

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"

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Theologus Dantes, nullius dogmatis expers,

n Quod foveat claro philosophia sinu;

» et quæ sequuntur. Quum deinde postea sex dumtaxat carmina longe prioribus illis elegantiora (che fossero più elenganti lasciamolo pure al giudizio del Manetti) a doctissimo quodam viro edita essent, veteribus e tumulo abolitis, nova " hæc incisa fuerunt carmina :

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"Jura Monarchia, Superos, Flegetonta, Lacusque n Lustrando cecini ec. n

Qui dunque il Manetti dice, che al sepolcro di Dante fu apposta una iscrizione, e che questa fu quella che incomincia Theologus Dantes, cioè quella dettata dal Del Virgilio. E mentre poi continua dicendo, che tolta in processo di tempo quella prima iscrizione, vi fu sostituita l'altra Jura Monarchiæ, cioè quella in questione; non dice punto che quei sei versi rimati fossero stati scritti da Dante, ma li dice anzi composti a doctissimo quodam viro. Le parole del Manetti conferman dunque quello, che sono andato esponendo, ma discordano rispetto al tempo della sostituzione d' un' epigrafe all' altra. Non farò peraltro questione su questo particolare, poichè, mentre mancano i dati per risolverla con sicurezza, a me basta l' aver provato, che la prima iscrizione fu quella del bolognese Giovanni, e la seconda non fu composta da Dante.

3 Fra le molte testimonianze, che potrei citare a far prova come, ricostruito dal Bembo il sepolcro, non più vi si lesse l'iscrizione del Del Virgilio, piacemi di citarne una sola. Il sassone Lorenzo Schradero Halberstadien fece nel 1567

un erudito viaggio per l'Italia, e trascrisse una gran parte delle pubbliche iscrizioni, che a quel tempo nella nostra penisola si trovavano. Venticinque anni appresso pubblicò quella sua raccolta in un volume in foglio così intitolato : Monumentorum Italiæ, quæ hoc nostro sæculo a Cristianis posita sunt, libri quatuor, editi a Laurentio Schradero Halberstadien saxone; Helmæstadii 1592. Fra queste iscrizioni non mancano quelle, che allora (1567) si trovavano al sepolcro di Dante in Ravenna, e sono due soltanto (car. 288 verso); la prima composta di sei versi, ed è quella che comincia Jura Monarchiæ; la seconda composta di tre distici, ed è l'altra che principia Exigua tumuli, e che ricorda l'opera generosa del Bembo. Se il collettore non riporta che due sole iscrizioni, è chiaro che la terza, vale a dire la prima in ordine di tempo, non più esisteva.

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