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CAPITOLO DECIMOSECONDO.

Il Veltro. Uguccione della Faggiuola.
La lettera di frate Ilario.

Fino dal canto primo dell' Inferno palesa Dante la sua speranza in un liberatore d'Italia. Quella lupa,

.. che di tutte brame

Sembrava carca nella sua magrezza,
E molte genti fe già viver grame ;

la quale nella selva si para davanti al Poeta, impedendogli di salir su pel colle, e la quale è figura della curia romana o della guelfa potenza, proseguirà nelle sue male arti, e sarà causa del disordine e della infelicità d'Italia,

infin che il Veltro

Verrà, che la farà morir di doglia.
Questi non ciberà terra nè peltro,
Ma sapienza ed amore e virtute;
E sua nazion sarà tra Feltro e Feltro.

Di quell'umile Italia fia salute,

Per cui morío la vergine Cammilla,
Eurialo e Niso e Turno di ferute.

Questi la caccerà per ogni villa,

Fin che l'avrà rimessa nell' Inferno,
Là onde invidia prima dipartilla.

Non solamente nel primo canto dell' Inferno preconizza Dante un liberatore d'Italia, ma altresì nel canto ultimo del Purgatorio, ov' egli dice sotto figura allegorica, che un capitan ghibellino verrà in breve ad uccidere la scostumata

femmina (la curia papale) e quel gigante (il re di Francia), che con lei delinque:

Non sarà tutto tempo senza reda

L'aguglia, che lasciò le penne al carro,
Per che divenne mostro, e poscia preda :
Ch' io veggo certamente, e però il narro,
A darne tempo già stelle propinque,
Sicure d' ogn' intoppo e d'ogni sbarro;
Nel quale un cinquecento dieci e cinque (DVX),
Messo di Dio, anciderà la fuia,

E quel gigante che con lei delinque.

E questa speranza, che in lui non venne mai meno, la palesa eziandio nel canto XXVII del Paradiso dicendo, che la provvidenza divina soccorrerà prestamente l'Italia e Roma, straziate da' papi caorsini e guasconi, vale a dire da quel partito guelfo e francese, ch' era allora la causa del disordine politico e morale d'Italia:

Del sangue nostro Caorsini e Guaschi

S'apparecchian di bere. O buon principio,
A che vil fine convien che tu caschi!
Ma l'alta provvidenza, che con Scipio
Difese a Roma la gloria del mondo,
Soccorrà tosto, sì com' io concipio.

Vaticinando un distruttore della potenza guelfa, non è possibile che il Poeta non abbia quando a quando posto la mira sopra alcun prode guerriero ghibellino, suo contemporaneo, che più viva gli facea sorger nel petto quella speranza. Il dir (come fece alcuno) che preconizzando l' uccisor della lupa, il restaurator dell' impero latino, il liberatore d'Italia, Dante non volgeva il pensiero che ai secoli futuri, dappoichè non potea sperare in alcun principe de' tempi suoi, è un mal conoscere l' umana natura, sempre proclive a credere di poter presto conseguire quel che desidera, e sempre pronta a por sua speranza in ogni

cosa, eziandio la più piccola, che sembri porgerne comecchessia un favorevole indizio. Quanto infatti non sperò Dante in Arrigo! le sue tre lettere del 1311 lo manifestano. Se Arrigo pertanto, ne' tre anni che dimorò in Italia (1311-1313) potè per Dante essere l'uccisor della lupa, come avrebbe potuto esserlo negli anni avanti, quand' egli non era stato chiamato all'impero, e non era forse da Dante conosciuto nemmeno di nome? E se lo fu nel 1311 al 1313, come poteva proseguire ad esserlo negli anni dopo, quand' egli era morto? La prima cantica del Poema fu dal Poeta scritta negli anni 1302-1308, ed il Veltro è nominato nel canto primo di essa dunque quel simbolo non può storicamente accennare ad Arrigo.

Il magnifico elogio, che nel canto XVII del Paradiso fa il Poeta del signor di Verona, indusse molti a credere, che il vaticinato distruttor della lupa potesse, nel concetto di Dante, essere stato Cane Scaligero; tanto più che molta somiglianza di significato vi ha tra le voci Veltro e Cane, e che le parole sua nazion sarà tra Feltro e Feltro potean designare il tratto di paese posto tra la provincia del Montefeltro e quella della Marca trivigiana, della quale era Feltre una delle città principali. Ma fu rilevato che nessun argomento potea trarsi dalla somiglianza del nome dello Scaligero con veltro, perciocchè il Poeta per armonizzare fra loro le varie parti dell' allegoria, e non commettere un' improprietà di figura, doveva usare e la frase e la voce che usò, essendo il veltro il nemico naturale della lupa: che se, per esempio, egli avesse posto un'aquila, quantunque fosse il simbolo dell' impero, male avrebbe questa figura corrisposto colla natura dell' altra. Il voler poi, che la frase tra Feltro e Feltro accenni Verona, è induzione troppo ardita, poichè i termini, fra i quali quella città resterebbe compresa, sono di soverchio lontani, mal fra loro corrispondenti, e nulla di preciso e determinato designano: onde il Poeta avrebbe anco qui commesso un' improprietà, volendo con quella frase indicar geograficamente Verona. Oltre a queste vi hanno le

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considerazioni storiche, le quali finiscono di rendere improbabile, che il Veltro accenni a Can della Scala. In qual anno faceva Dante quel suo vaticinio? - Al più tardi nella fine del 1308. Qual' età aveva allora lo Scaligero? Al più 17 anni o 18, perchè nato nel 1291. — Ed aveva egli a quel tempo dato tali speranze di sè, che promettesse di giunger presto all' apice della civile e militare grandezza, e divenir l'eroe quivi vaticinato? - No; perocchè Cane non consegui interamente la signoria di Verona che nel 1311, cioè allorquando mori Alboino; non levò qualche fama di sè e del suo valor militare, che nello stesso anno impadronendosi di Vicenza, e nel 1314 dando una grande sconfitta ai Padovani ; non giunse al supremo onore di capo della lega ghibellina che nel 1318: date tutte posteriori alla pubblicazione della prima cantica del Poema. E come mai in Cane Scaligero, ancora imberbe ed ancor digiuno di fatti grandiosi, potea Dante vedere e preconizzare nel 1308 il salvatore d'Italia?

Queste considerazioni, accompagnate da molte ricerche storiche in proposito, fecero ritenere al conte Carlo Troya, che nel Veltro non altri fosse indicato che Uguccione della Faggiuola, valoroso capitano ghibellino, a cui l' Alighieri dedicò la prima cantica del suo Poema. Allora la frase sua nazion sarà tra Feltro e Feltro si fa piana ed aperta, poichè dice che la famiglia, la schiatta (non altro significando qui nazione) di Uguccione avrebbe sua dimora tra i monti del Montefeltro (provincia d'Urbino), vale a dire nel castello della Faggiuola, posto in mezzo tra Macerata feltria ed il feltrio Sanleo. Intorno questo subietto pubblicò quello scrittore un volume nel 1826, ed un altro più esteso nel 1846; il primo col titolo Del Veltro allegorico di Dante, il secondo con quello Del Veltro allegorico de' Ghibellini: e per dir vero, la sua trattazione non va priva di solidi raziocinii e di stringenti argomentazioni storiche; tantochè se alla frase surriferita si vuol dare un vero e proprio significato, e se si vuole che in quel vaticinio sia dal Poeta designato alcun capitano suo contemporaneo, questi non può essere stato altri che il Faggiolano.

Dalle parole più sopra riportate delle tre cantiche noi veggiamo, che la speranza in un liberatore d' Italia, quantunque rimasta sempre vuota d'effetto, non lasciò mai di tenersi ferma nel cuore di Dante; tantochè in mezzo agli acri rimproveri contro il caorsino papa Giovanni XXII (i quali si leggono nel canto XXVII del Paradiso, scritto da Dante nel penultimo anno della sua vita), il Poeta sospirava nuovamente un liberatore. Onde il lettore comprenderà agevolmente che, dicendo io d'assentire all' opinione del Troya, non intendo di limitare ad un solo personaggio, cioè ad Uguccione, tutte le allegorie dantesche di siffatta specie. Come il Poeta sperò dapprima in Uguccione, così sperò dappoi in Arrigo (e di questo non può muoversi dubbio): e nel 1318, quando Uguccione avea perduto la signoria di Pisa e di Lucca, quando Arrigo era morto, non potrà egli essere che sperasse in Cane Scaligero, veggendolo gridato capitano della lega ghibellina? Altra è la persona avuta in mira nel Veltro, altra quella nel Messo di Dio, altra quella in Colui che ne soccorrerà: ovvero una è la speranza, ma varii sono i personaggi in cui ella si fonda, secondo i tempi e secondo le circostanze; poichè chi ha fermo il pensiero ad un fine, non può variare in altro che nei mezzi. Infatti chi si farà a considerare le vicende politiche di quei tempi, gli avvenimenti ora prosperi, ora avversi alle sorti d'Italia, i principi, i capitani dapprima grandi e nel sommo della potenza, poi in breve caduti in basso, o discesi nel sepolcro, non troverà improprobabile, che il nostro Poeta riponesse ora in questo, ora in quello le sue speranze. Ond'è che, senza entrare in ulteriori indagini, ed ammettendo che Dante, come nel 1311-1313 ripose le sue speranze in Arrigo, così nel 1318 possa avérle riposte nello Scaligero, dico che l' opinione del Troya rispetto al Veltro del primo canto dell' Inferno, è la più probabile d'ogni altra.

Certamente fu Uguccione uno de' primi capitani di quell'età; ma il Troya non a solo questo argomento storico s' appoggiava, ma altresì alla testimonianza del Boccaccio,

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